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La mano aperta di Cuba

Compañeros
musicos, tomando en cuenta
esas politonales y audaces
canciones,
quisiera preguntar, me urge,
que tipo de armonia se
debe usar,
para hacer la cancion de este barco
con hombres de
poca niñez,
hombres y solamente,
hombres sobre
cubierta,
hombres negros y rojos, y azules,
los hombres que
puedan del playa girón…

Lazaro
è un fisioterapista cubano. Sei anni di università e
poi la fortuna di diventare medico factotum di una squadra di calcio
di italiani e cubani de L’Havana (quella in cui giocano Alviero
Chiorri, ha giocato Enzo Gambaro e gioca Manuel Bodevilla, che non vi
dirà un cazzo e invece si tratta del più volte miglior
calciatore del Centro America. Lo acquisto il Marsiglia ma
Cuba non lo lasciò partire. Ora ha quasi quarant’anni, ma il talento coi piedi è rimasto cristallino).

Essere medico dell’Associazione
che organizza anche la squadra di calcio, accompagnato da un
cartellino portato orgogliosamente al collo, ha consentito a Lazaro
di potersi permetter cose cui molti cubani non possono arrivare (ad
esempio sostare all’interno della lobby di alberghi, permettersi
qualche cena sontuosa, a loro modo, utilizzare anche aiuti diretti
degli italiani cubani e una platea per il suo sterminato parlare).

Pesa più o meno 130 chili, ha mani grosse come le foglie dei
platani grossi, una parlantina infinita, che unisce spagnolo a
parolacce italiane, una camminata possente, durante la quale le mani
non stanno mai ferme. Ha sempre qualcuno da salutare, qualcosa di
indicare, pensieri da aiutare. Di
Miriam, invece, ho meno informazioni. E’ Dottoressa al Pronto
Soccorso della zona de L’Havana, vicino ai campi di calcio dove
abbiamo giocato. Si è presentata con la sigaretta in bocca,
capelli rasta e un dialogo che più o meno è andato
così:

Miriam:
come ti chiami?

Io
(steso su un lettino di metallo e circondato da quattro tende verdi):
Beirut

Miriam:
ok Beirut ora ti faccio l’anestesia locale, sentirai male, ma è
un attimo.

Io:
ok, mi fai anche l’antitetanica che mi sono sguarato contro…

Lazaro:
era una roba di ferro, di mierda…

(L’assistente
porta, avvolte in carta come quella della focaccia a Genova, gli
strumenti del mestiere. L’autista del pullman è più
bianco di me. Avrò modo di rassicurarlo, che ci manca che gli
faccio causa. Mala suerte. Sembrerà meno bianco,
più tardi.)

 

Miriam:
no no. Fino a che non diventi rigido e hai spasmi da morto, non ti
serve.

Io: ah ok.

Miriam:
non guardarmi così, altrimenti rischi di innamorarti.

Io:

Lazaro:
uh uh

Io:

Miriam:
e in ogni caso…

Io:
si?

Miriam:
l’antitetanica non ce l’abbiamo.

Io:

Lazaro:
non è importante, non ti preoccupare.

Io:
allora posso giocare?

Miriam,
Lazaro: no.

Io:
la troveremo?

Lazaro:
non lo so. Ma non è importante! Ora non rompere i coglioni.

Io: ok, senti Miriam, quanti punti mi hai messo?

Miriam:
non mi ricordo. Cinque, sei, forse otto. Torna tra due giorni, ciao Beirut.

Pantaloncini
da calcio numero 29 (come Fabiano del Genoa), maglietta commemorativa
della sfida tra Commissari Europei (io avrei dovuto giocare con loro, divisa stile Pescara di Junior e Sliskovic, strisce bianco e azzurre con numeri rossi. Prima partita, derrota: 0-2, ma avremmo ampiamente meritato di pareggiare. Il clima torrido, il campo duro e Manuel Bodevilla hanno fatto la differenza)
e Italiani e Cubani, mi accomodo in panchina, smadonnando e
guardandomi la mano sinistra fasciata. Uno sguaro che mi ha
permesso di toccare con mano (è una battuta che avrebbe potuto
fare Lazaro) il socialismo reale cubano. Avrei preferito me lo avessero raccontato. Chiedo se posso fare almeno
5 minuti. No, è la risposta di Lazaro, che mi parla per tutta
la durata della partita, di posti dove mangiare squisitamente, di
posti da vedere, di cose da fare, di musica, di posti dove si balla e
del suo curriculum. Ci vediamo due giorni dopo. Programma
prestabilito: visita da Miriam, ricerca dell’antitetanica e delle
medicine.

Perché
Lazaro mi ha messo in una situazione particolare: in pratica mi sto
facendo curare clandestinamente dai medici cubani. Io, in teoria,
sarei dovuto andare all’ospedale internazionale. Le relazioni e la
socialità di Lazaro hanno disegnato però, altre
traiettorie, tra sale d’aspetto, stanze per la vaccinazione dei
bambini – “è il nostro progetto medico rivoluzionario” –
stanzette di medici cubani intenti a compilare fogli per dire a quei
bastardi dell’Iberia che il loro overbooking bastardo dovevano
metterselo in quel posto, perché io avrei potuto volare e
tornare a casa.

Arriviamo
e i piani sono cambiati. C’è sempre tempo a Cuba, per cambiare
i programmi. In un baretto un turista ha chiesto a un vecchietto
l’ora. Questo era il trombettista di un trio che sembrava di essere in Buena Vista Social Club o al cospetto di Atahualpa o qualche altro dio.
Fanno tre canzoni e poi si riposano. Il chitarrista ha un purito cubano bello lungo e largo che lo aspetta, dopo ogni trittico. poi il trombettista si alza, da’ un colpetto di fiato, si spegne la radio e si ricomincia a suonare. Al giovane che gli chiedeva l’ora, il musicista, appoggiato a
una sedia, intento a fumarsi la sigaretta, ha alzato lo sguardo e gli
ha risposto: “Hombre, c’è sicuramente tempo”.

Insomma,
Miriam non c’è, o non si trova, o chissà cosa e allora
si va in un altro ospedale. “Abbiamo studiato tutti insieme,
qualche favore ce lo facciamo sempre, tra medici”. Lazaro mi parla
sul divanetto della sua casa. “Muy humilde, pero linda”, mi dice.
Ci sono sua figlia piccola e sua moglie, incinta di qualche mese.
Un’altra bambina. Poi la madre, la sorella. La mamma di Lazaro è
stata a Roma. Dalla porta si affacciano un po’ tutti. La strada è
bianca, sterrata e su quella si affacciano piccole casette: basse,
con piccoli portici e piante di ogni tipo. Tutti sono interessati
alla mia mano fasciata. Mentre ci facciamo un caffè squisito
Lazaro mi programma la giornata: andiamo qua, facciamo questo, poi
quello e infine andiamo a mangiare. Con quella. E mi indica una
macchina azzurra e bianca, americana, anni 50. Ci staremo in 6 e
sembrerà di avere il culo per terra. Dovremo fare strade
secondarie, perché quel coso se ci becca la polizia, insomma,
mica potrebbe girare quella macchina. Però c’è vento,
aria e dopo un chilometro si spacca il sedile davanti e ci finiscono
sulle gambe i primi tre. Fortuna Lazaro è dall’altra parte. Sennò pure le gambe. Hellas è schiacciata tra me e la moglie del doctor. Tiriamo su il sedile e si andrà
che è un piacere.

Intanto,
giunti all’ospedale, dopo due giorni in cui mi ha detto che in ogni
caso l’antitetanica non è importante, la troviamo. Mi fanno la
punturina, “l’infermiera migliore de L’Havana, mica cazzi”, e
Lazaro mi dice che finalmente ha l’animo in pace. “Era molto
pericoloso senza l’antitetanica”. Eh.

Poi
due infermerie in minigonna e calze a rete mi cambiano la fasciatura.
Mi cede la pressione, fa un caldo dell’orso. Hellas tira fuori uno
dei suoi conigli: un chupa chupa comprato in una stazione di benzina
mentre si andava a Playa Giron. Mi riprendo, mentre si sprecano le
battute. Infine a pranzo con Lazaro e signora: lechon al carbone. Buonerrimo.

Lazaro
ci racconta, della sanità gratis, dello stipendio di un
medico, più o meno 25 pesos convrtibili, o cuc (quella dei due
pesos è proprio una bella merda escogitata dai costruttori del
socialismo cubano), più o meno 20 euro, di come si tiri a
campare, dell’umanità straordinaria dei cubani. Sul
socialismo, Fidel, Raul e compagnia, un sonoro “vaffanculo”, ma
non di rabbia. Di chi, semplicemente, ha una famiglia da mantenere
tra salti mortali e botte di culo e apprezzerebbe un tenore di vita
vagamente migliore. Poi torniamo a casa, ci si scambia numeri e indirizzi, abbracciandosi e dicendosi, "a presto". Ora lo devo
chiamare, per dirgli che tutto è ok.

Posted in Pizi Wenxue.


7 Responses

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  1. b. says

    azz…sarò in Cina, mi sa.
    cmq vi devo una partita, cercherò di rimediare appena possibile…al massimo verrò a Bruxelles!

    Ora appeno arrivo in Cina scatta l’organizzazione Filini per il match del prossimo anno. Escluderei un incontro contro i monaci di Lhasa, sempre ne rimangano nei monasteri…

    b.

  2. Teoz says

    Trasferta in Repubblica Ceca a Karlovy Vary il 4 maggio 2008.

    E quella dopo perché non in Mongolia ?

  3. b. says

    ciao Gianluca!! :-))

    ahahah io pensavo, una volta in Cina, di organizzarne una lì, o in Corea del Nord…o che so, in Nepal, sempre vincano i maoisti…:-)

    un abbraccio
    b.

  4. gianluca says

    Ciao Simone, mi è piaciuto il tuo racconto, mi ci sono identificato, complimenti. Sono contento che stai meglio. Ora rimettiti del tutto che c’è una nuova trasferta all’orizzonte… dove? in repubblica ceca!

    Gianluca

  5. b. says

    🙂
    Hai ragione sono andato a memoria, po ho controllato sul sito dei tricolori…
    tu hai trovato altro?
    non hanno le foto sul sito! altrimenti avrei trovato anche lazaro…:-)

  6. zack says

    si chiama bobadilla, lo zidane dei caraibi…
    😉