Per
la cronaca: Russo ha vinto argento e Cammarelle, poco fa, l’oro…
Prenderle
e darle, ferire e incassare, agilità e pesantezza. Sport
letterario e affascinante di suo, la boxe a Pechino ha trovato una
brigata italiana dai toni variabili, capace di condensare in una
squadra la ricchezza dei sentimenti sportivi e umani. Uno è un
fiume in piena, estroverso, rapido, agile, dal soprannome Tatanka,
che, anche senza saperne la ragione, incute già personalità.
L’altro è introverso, composto, tecnico e ha il colpo pesante
come un macigno. Avevano già tutti e due il culo sul podio,
come ha detto uno di loro, ma questi sono ragazzi che non si
accontentano, che si rincorrono tra balletti sul ring e fama.
Clemente Russo e Roberto Cammarelle hanno vinto le semifinali di
pugilato e combatteranno per l’oro e un traguardo storico: non ci
giochiamo la prima piazza olimpica da Seul 88 con Parisi nei pesi
piuma e dal 60 addirittura quella dei massimi.
Uno dei momenti
clou della giornata arriva nel primo pomeriggio, perché è
il turno di Clemente Russo, peso massimo, da Marcianise, appassionato
di cavalli, in odore di professionismo ammericano. Parole, battute,
un diluvio di personalità, ritratti di strada, di vita. Lui è
uno che ha iniziato a fare il pugile, perché si era stufato di
stare al bar e non fare niente. Si era stufato di aspettare. Una
tempesta di sensazioni forti è riservata al di fuori dal ring,
perché dentro Tatanka – il bisonte dei Lakota Sioux,
soprannome datogli dal suo maestro dopo aver visto Balla coi Lupi – è
uno scienziato romantico e preciso e sembra avere tutto il tempo del
mondo per sferrare i colpi. Guarda un punto là in fondo che a
cercarlo ti perdi i ganci che dà all’avversario. Scruta quello
sfondo, come ci fosse uno schermo per assistere al suo film
personale: Tatanka si immagina di vincere e come farlo. Poi durante
il match insegue il sogno, eseguendone le note.
Ha una musica tutta
sua e quando Damiani nei break gli dice di darsi una mossa, proprio a
lui, l’incontenibile, Russo annuisce, ma sembra non sentire. Perché
ha già tutto chiaro in testa.
Ieri pomeriggio davanti aveva
Deontay Wilder, statunitense. Un lungagnone, di quelli che non si
capisce se sono goffi e macchinosi, o sono i finti gatti di marmo,
quelli che stanno lì, rimbalzano per terra ma da un momento
all’altro sembra possano fare male. Ma Tatanka è più
forte e lo sanno tutti e due. Russo lo studia, poi con un gancio
destro va in vantaggio. Un tonfo che lo sentono anche a Tian’anmen,
che significa mettere l’incontro sui binari giusti, perché
l’italiano non è uno che si fa prendere tanto facilmente. Per
scuotere la sua concentrazione potrebbe passare anche un treno in
corsa sul ring: non se ne accorgerebbe. Comincia allora la danza e
poi centimetro per centimetro accorcia la distanza e va a vincere.
Come si era immaginato la sera precedente, prima di dormire. A quel
punto diventa il Tatanka che conosciamo: balla, abbassa la guardia,
scherza un po’ con l’avversario, colpisce ancora. Perché
quando sente aria di vittoria Russo perde l’aplomb e diventa lo spot
per la boxe: non picchia, ma colpisce, si diverte e quasi sembra di
vederlo ridere sotto il caschetto. 7-1, il finale. Dopo il match
Damiani racchiude il suo pugile in poche parole: «quando questo
inizia a boxare, non ce n’è per nessuno». Infatti è
il favorito, lui a Chicago nel 2007 è diventato il campione
del mondo, ed è pronto a portare la medaglia alla ministro
Meloni di An. Dopo essersi dichiarato di destra, non ha esitato a
bacchettare la Meloni per la richiesta agli atleti di non sfilare
alla cerimonia inaugurale. Russo non ha gradito e non l’ha mandato a
dire: «i politici devono fare i politici, e io sono qui per
fare sport. E poi come posso essere contro la Cina se neanche la
conosco?» Oggi si gioca l’oro: per ora solo lui sa come
finirà.
Roberto Cammarelle voleva Zhang Zhilei in finale.
Voleva il cinese in Cina e lo avrà. La folla locale lasciava
il palazzetto, dopo che l’eroe di casa aveva ottenuto la finale per
il ritiro dell’ucraino Glazko, mentre Cammarelle, da Cinisiello
Balsamo, saliva sul ring. Sguardo tranquillo, sembrava uno che avesse
da sbrigare una faccenda e poi tornare a cose più serie. O
forse era lo sguardo di chi ha presente i sacrifici, complici due
operazioni alla schiena, per arrivare su quel ring a Pechino. Damiani
appariva tranquillo: dopo una semifinale così così
sembrava essere certo che Cammarelle avrebbe reagito. Davanti
all’italiano c’era inchiodato al suolo un inglese, Price, che con i
giornalisti dopo il match aveva l’aria di chi non aveva capito niente
di quanto successo. Cammarelle ha fatto quello che pare sappia fare
meglio: è stato veloce con la testa e pesante con la mano.
Alla seconda ripresa il match sembra non avere più storia,
quando un destro sinistro di Cammarelle butta alle corde l’inglese.
Conteggio e fine.
D’altronde con il cinese che ha riposato,
Cammarelle non poteva stare a perdere troppo tempo. Ha esultato in un
modo che definire composto carica di leggerezza un sorriso appena
accennato. E’ il capitano, campione del mondo dei super massimi e
sente l’oro olimpico lì vicino. Nel palazzetto si celebra
l’italiano, con la voce di Nada.
Le due vittorie sono state
annunciate da una sconfitta: il primo pugile italiano della giornata
è l’unico che perde. Vincenzo Picardi esce dal ring con le
vene azzurre ancora in ebollizione, ma ha lo sguardo tranquillo di
chi sa di avere incontrato uno più forte. Ha perso 7-1 contro
il thailandese di 33 anni Jongjohor, vice campione del mondo in
carica della categoria. Picardi sorride perché negli occhi e
nelle gambe ha già la certezza di avere imparato qualcosa. Le
braccia lunghe del thailandese lo tenevano distante, a lui che ama
avvicinarsi e colpire, ma va bene così. Ha dato tutto e per un
pugile non c’è niente di meglio. Esperienza, ghigna il ct
Francesco Damiani. E quella non la vendono e non la si impara nel
cortile di casa: bisogna andare a farsela prendendo scoppole in giro
per il mondo e mettendo astuzie e colpi in cascina, +a fare legna per
quando il favorito sarà lui. [da il manifesto]
grazie.
leggerti è davvero una bella opportunità.
oltre ogni luogo comune.