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[Pechino] Terra

Non
esco di casa
no e no
fuori c’è la crisi

Fuori
dalla finestra scende il buio. Qualche giorno fa sciroccato dal jet leg, sono stato fuori casa sì e no
tre ore in totale. Era l’ora in cui c’erano: un sole e via via una luce gialla che si appoggiava a terra. Poi buio. Prima, nel momento in cui il cielo cambia colore, sembrava che una Piramide di sabbia fosse appoggiata lì, a fare ombra, da qualche parte. E sembrava talmente grossa, che mi pareva impossibile non essermene accorto appena uscito. L’ho
cercata, con lo sguardo. Cercavo un colosso giallo a irradiare quella
luce. Macché violetta: gialla.

Si
parla di crisi, economica, finanziaria. Si dice: è
interessante capire cosa faccia, cosa pensi, come vive la crisi, la Cina. Perché è
chiaro che ora il pallino è qui. Già le Tigri Asiatiche
avevano sancito una bella fregatura per i balzelli del capitale, in
spostamento dagli Usa all’Asia. Ma non avevano avuto la forza (geopolitica, geografica, congiunturale) di reggere
alcune dicotomie. La Cina si. E ora sono quelli che hanno più
soldi. I cinesi allora, alla crisi finanziaria rispondono a loro modo, attraverso dibattiti e articoli, editoriali, analisi (e critiche agli Usa, con la consapevolezza che a sto giro però è meglio salvargli il culo). Ma al solito rispondono anche obliquamente: tutti parlano di crisi e loro sono concentrati più su altro: sulla terra.

Marx
disse che la rivoluzione cinese fu “asiatica”. Una parola per
dire un sacco di cose, semplicemente. I cinesi alla crisi hanno
risposto da asiatici: hanno fatto partire la riforma delle campagne.
Poiché è inutile ripetersi, posto qui un articolo
tradotto dal New York Times e pubblicato da Repubblica qualche giorno
fa.

– I
leader cinesi consentiranno ai contadini di comprare e vendere i
diritti di sfruttamento agricolo dei terreni
: è una misura che
dovrebbe integrare centinaia di milioni di contadini all’economia di
mercato, al momento incentrata sulle aree urbane. La nuova linea, che
i vertici del Partito comunista hanno discusso in questo fine
settimana, è la più grande riforma economica introdotta
in Cina da diversi anni e rappresenta un’ altra importante rottura
con il sistema di proprietà collettiva e controllo pubblico
messo in piedi dalle autorità comuniste dopo la rivoluzione
del 1949. Il cambiamento più importante è quello che
consentirà ai contadini cinesi, circa 800 milioni di persone,
di vendere i contratti di sfruttamento agricolo dei terreni ad altri
contadini o a società. Secondo alcuni economisti, questa
trasformazione porterà a un utilizzo più efficiente dei
terreni e consentirà di creare aziende agricole molto più
grandi.

La
leadership cinese insiste da tempo che il Paese deve restare
autosufficiente nella produzione delle derrate fondamentali, ed è
improbabile che venga consentito ai contadini di vendere i diritti
sui terreni per usi diversi da quello agricolo. Ma se si creerà
un mercato per lo scambio di terreni agricoli, i contadini otterranno
una nuova fonte di reddito che potrà contribuire a
rivitalizzare l’ economia rurale. «Una misura che libererebbe
capitali che giacciono inutilizzati e consentirebbe a questa
ricchezza di materializzarsi», dice Keliang Zhu, avvocato del
Rural Development Institute, un’ organizzazione di Seattle che si
batte per i diritti fondiari ai contadini poveri. Zhu aggiunge che
questo cambiamento darebbe alla Cina «una spinta straordinaria
dal punto di vista dello sviluppo agricolo».

I
leader cinesi sono allarmati dalla prospettiva di una grave
recessione nei principali mercati di esportazione
in un momento in
cui la loro economia, dopo un lungo periodo di crescita a due cifre,
sta rallentando. Il governo si sforza di stimolare i consumi interni,
e una fonte di domanda potenzialmente gigantesca, ma ancora poco
sfruttata, è la popolazione contadina, in gran parte esclusa
dalla crescita delle città. Il reddito medio nelle aree rurali
ha perso molto terreno rispetto alle aree urbane, dando alla Cina un
differenziale di reddito tra i più marcati al mondo, secondo
le stime del governo. Molti contadini lavorano in minuscoli
appezzamenti di terreno assegnati dallo Stato per una piccola parte
dell’ anno, investendo poco nell’ attività agricola. Hanno
contratti che garantiscono loro lo sfruttamento dei terreni per 30
anni, ma lo Stato conserva la proprietà delle terre agricole e
i funzionari locali spesso le confiscano o le riassegnano in funzione
delle loro priorità di sviluppo. Le dispute sulle terre
agricole rappresentano forse la principale fonte di disordini sociali
in Cina.

Le
proteste e le rivolte nelle aree rurali ogni anno si contano a
migliaia, secondo le stime della polizia nazionale, scatenate spesso
da casi di corruzione e confische illegali dei terreni. Molti
contadini lasciano i campi per cercare lavoro in città, ma in
base alle politiche nazionali di controllo della popolazione
continuano a essere classificati come contadini e di solito lavorano
malpagati nelle fabbriche o lavorano come manovali nell’edilizia su
base stagionale. I fautori della riforma agraria sostengono che i
cambiamenti proposti accrescerebbero il patrimonio delle famiglie
contadine e garantirebbero una maggiore sicurezza della proprietà
fondiaria, incoraggiando i contadini a investire nell’ attività
agricola e incrementare la produttività. Una legge approvata
nel 2002, dice Keliang Zhu, consente un limitato commercio dei
diritti di sfruttamento dei terreni tra singoli contadini, ma impone
vincoli allo scambio di questi diritti tra contadini e aziende
agricole, alla vendita diretta dei diritti di sfruttamento o alla
possibilità di usare i terreni come garanzia collaterale per
ottenere un prestito.

La
proprietà privata della terra non è consentita dalla
Costituzione e i terreni agricoli rimangono sotto il controllo dei
leader degli enti locali e dei villaggi. Secondo i funzionari, i
cambiamenti consentiranno ai contadini di noleggiare o vendere i
propri contratti di sfruttamento agricolo trentennali a singoli
individui o aziende.

[Edward
Wong, Pechino]

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