Come
al solito: stavo pensando a una cosa e me ne è venuta in mente un’altra
da aggiungere. Questo post è un invito, vediamo se
succede qualcosa. Faccio una premessa e poi vengo al sodo.
Quest’estate a Pechino mi hanno presentato un ragazzo di Wuhan: dolce e
silenzioso, ma non per questo immune dalla misteriosità dei
luoghi oscuri, o almeno mi ha dato questa impressione. Voce appena
percettibile, ma intelligenza veloce.
Sta
studiando all’università di comunicazione di Wuhan e sta
lavorando a una tesi su Indymedia. Ci siamo fatti una chiacchierata e
abbiamo finito per parlare di simboli, immaginari, brand e gli ho
raccontato l’esperienza di MayDay, San Precario, Serpica Naro.
Abbiamo parlato a lungo, abbiamo proseguito via mail e infine, quando
sono tornato in Cina, lui ha tirato dentro un professore e hanno organizzato
questo speech, credo si dica così, all’Università
di Wuhan, a metà dicembre. Oggetto: raccontare esperienze di attivismo sui media nel mondo occidentale. Per fare questo ho dovuto spedire
documenti, fotografie, abstract di cose scritte e garantire sulla mia
integrità ideologica in favore dell’Armonia Suprema
rappresentata dal Popolo che mi ospita. Pare che i controlli siano
andati a buon fine e quindi mi hanno invitato. Penso che il mio
racconto inviato ai Signori Commissari sul tentativo di strappare la
bandiera del Tibet esposta dai miei vicini di casa a Milano, abbia
avuto il suo peso.
Ora,
dopo chiacchiere via mail si è circoscritto il tema, che
potrebbe essere così espresso: Brand, Comunicazione e
Immaginari: da Indymedia a Serpica Naro. I motivi di questa
scelta sono tanti, ne riassumo velocemente un paio: non posso parlare
di cose in cui non ho preso completamente parte, anche perché
nemmeno posso pretendere in due ore di racchiudere 10 anni di
attivismo. Mi interessa indagare quel processo che dal noto, dont
hate the media, become the media, ha portato alcune realtà
del movimento ad affrontare il tema della Comunicazione e
della sua importanza nella società attuale, votata a creare
condizioni precarie di vita, in generale, non solo lavorativa (i
famosi cinque assi della precarietà: reddito, casa, affetti, accesso alla tecnologia e ai trasporti ecc).
Per
fare questo devo partire da lontano, non posso certo cominciare dal
99, devo un po’ svolazzare ed essere estremamente semplice. I cinesi, che saranno la platea, non ne sanno un cazzo delle
nostre belle storielle e maestri, belli brutti e cattivi. Come mi è
stato suggerito da persone che vivono qui da più tempo di me,
non posso presumere che tante cose siano date per scontato. In più
devo tenere conto che tutto ciò di cui parlerò, qui in
Cina è clamorosamente sensitive (per questo lavorerà
una Commissione Speciale ad hoc che esaminerà tutto e
garantirà la possibilità di esporre. La mia insegnante
e sinologhe, anch’esse un po’ saturnine, ma determinate, sono della
squadra. Esempio: alla mia insegnante l’altra volta ho detto, dirò
che anche in occidente i media non sono liberi. Lei impassibile,
mi ha detto, quell’”anche”…, sì, ho fatto
io, levalo, mi ha detto lei.).
Quindi
pensavo di cominciare il tutto, aiutandomi con video che possano dare
l’idea di un ipotetico, da dove arriviamo. Per me
imprescindibile sarà mettere un pezzullo di Stallmann sul free
software, il concetto di hacking e magari ci aggiungo
quello di reality hacking, sempre
non sia troppo sovversivo qui e poi, a mò proprio di
introduzione alla larghissima, pensavo a un pezzo di Naomi Klein che
c’è su Youtube, in cui spiega il meccanismo perverso del
brand. Roba vecchia, ma da qualche parte bisogna partire.
Poi
ci sarà Indymedia, come quando e perché, la policy,
il concetto di open publish, il newswire, le mailing
list, ecc. Poi EuroMayDay, San Precario e Serpica
Naro a dare la possibilità di specificare che i media
sociali non sono icone, come i brand, bensì attitudini
eccetera eccetera. Ovvero devo arrivare e fermarmi lì,
all’importanza della narrazione. Anche perché sono in Cina.
Ora, tutto questo è brainstorming, ma prendendo spunto dal blog del grande Henry Jenkins…chiedo agli amichetti e alle amichette, ma non solo, che ogni tanto
piombano sul blog, di consigliarmi qualcosa al riguardo. Video interessanti, esplicativi, semplici (in inglese!),
spunti, anche citazioni (pensavo di aiutarmi con un power
point che faccia da sfondo)…idee, che voi ritenete imprescindibili per fare capire a un
cinese come si sia arrivati alla riflessione sui mezzi di
comunicazione, negli ultimi 20 anni che non è che vado a
parlare ai cinesi di Marx…
Accetto perfino Debord, ma avendolo già
detto io, non vale…
Tenendo presente, inoltre, che se magari venisse
fuori una bella discussione e del materiale interessante, questo sarà
il punto di partenza delle quattro belinate che andrò a dire,
per dare l’idea di un processo, seppure minimo, comune anche
nella costruzione del documentino che porterò là.
il mediattivismo – dont hate the media become the media – è una delle forme in cui l’individuo cerca di passare dalla condizione di spettatore a quella di attore.
con qualche speranza di successo? a volte mi pare che il destino del mediattivista o militante di oggi sia quello di una comparsa, o uno di quei gruppi minori che suonano prima dei concerti e che nessuno ascolta, o ancora una parentesi buffa tra due tempi di uno spettacolo comunque e sempre diretto da altri.
disturbatori che quando iniziano a dare troppo fastidio vengono buttati fuori dalla scena.