«Ci sarebbe da parlà con coso, come si chiama? Porca miseria quello di Torino? Con Laudi», «Ah, con Maurizio? Ci parlo io direttamente con Maurizio». Il dialogo è tra tale Guglielmo Pepe, un autista presso il Csm, e Massimo De Santis, l'ex arbitro sospettato di essere a capo della combriccola romana e già condannato dalla giustizia sportiva per calciopoli. Nel febbraio 2005 gira voce che Guarinello stia indagando sugli arbitri: De Santis muove il proprio gancio al Csm e scopre di giocare in casa, potendo riferire a Maurizio Laudi, procuratore aggiunto di Torino e giudice federale.
Pieghe di calciopoli, interrogatori affossati dal più mediatico interesse per strafalcioni e rozzezza espressiva, si ritrovano improvvisamente ieri, quando giunge la notizia dell'archiviazione dell'indagine sui magistrati intercettati nell'ambito di calciopoli, «non essendovi provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare e risultando informati il ministro della Giustizia e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione», ai quali compete l'iniziativa disciplinare. Il plenum del Csm ha così liberato dal fardello di calciopoli Cosimo Maria Ferri, giudice del tribunale di Massa Carrara componente della commissione vertenze economiche della Figc (e dal luglio scorso eletto al Csm per Magistratura Indipendente); Giuseppe Marabotto, procuratore della Repubblica di Pinerolo; Maurizio Laudi e Antonio Rinaudo, procuratore aggiunto e sostituto procuratore a Torino. Erano stati i consiglieri di Magistratura Democratica a chiedere l'apertura del fascicolo sui «magistrati in servizio, in qualunque modo interessati dalle indagini»: rapporti di amicizia, piccoli favori, intercessioni, anche se Moggi, in una intercettazione, sembra nutrire dubbi sulla strana liason, quando si sfoga al telefono con un amico, «eh, va beh, tanto questi qua sò tutti la stessa pasta, sti magistrati».
Storie minori di un uragano, quello di calciopoli, che pur avendo tirato in mezzo arbitri, presidenti, giornalisti e infine anche magistrati, rischia di essere archiviato agli annali come una tiepida ventata di agosto. Ad accusare Maurizio Laudi – già noto per le tristi vicende torinesi che portarono nel 1998 al suicidio di Sole e Baleno accusati di essere gli autori di alcuni attentati avvenuti in Val Susa contro i primi cantieri dell'alta velocità, ex di MD, oggi al comitato centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati e ascoltato a giugno dal Csm – è Armando Carbone, uno dei tanti personaggi stravaganti del mondo calcistico, già finito in carcere nel 1986 per lo scandalo del totonero. E' lui a ritenere Landi e Marabotto in combutta con Moggi già dai tempi dell'indagine torinese che pose fine alla carriera di Allodi, facendo spazio al giovane Luciano. L'interrogatorio di Carbone è del 20 maggio 2006: «quell’operazione fu architettata da Luciano Moggi per colpire il sistema di potere di Italo Allodi e prendere il suo posto. Non ho esitazioni a riferire che i giudici Marabotto e Laudi furono strumenti di Moggi e sono persone con le quali Moggi ha continuato a intrattenere rapporti stretti sino ad oggi».
Il rapporto confidenziale supposto dalla telefonata di De Santis insospettisce gli inquirenti, che vedono poi confermata la vicinanza di Laudi con Moggi attraverso intercettazioni nelle quali il procuratore chiede biglietti e posti auto per le gare dei bianconeri. Una rapporto con la magistratura curato con particolare attenzione da Moggi, tenuto conto anche – scrivono i carabinieri nella propria informativa – della delicatezza della posizione della Juventus in ambito giudiziario torinese, in particolare in relazione alla questione doping.
Non meno intensa sembra essere per i carabinieri l'amicizia tra Moggi e l'altro magistrato ddi Torino Antonio Rinaudo, che «partecipa a cene organizzate dal direttore generale della Juventus anche con le rispettive consorti e fruisce settimanalmente dei biglietti omaggio per assistere alle partite casalinghe della squadra».
La posizione di Ferri invece sembra muoversi su una linea comune a tante inchieste italiane dell'ultimo anno: considerato «persona molto vicina a Lotito», durante calciopoli vede la propria amicizia con il presidente vacillare e infine cadere. Galeotte furono le parole di Ferri su Chievo Lazio, una delle partite contestate da Borrelli e il suo staff alla società biancoceleste. Sentito dai pm napoletani Ferri aveva riferito di aver saputo da Mazzini dei favori riservati alla Lazio, grazie all'arbitraggio di Rocchi: «ricordo di averne parlato con Lotito e ricordo pure che lui mi confermò, magari in termini non espliciti, che Rocchi aveva arbitrato la partita in favore della Lazio». I legali della società giudicarono «pasticciata, fondata su sensazioni e non fatti e successivamente ridimensionata in un interrogatorio fatto agli ispettori del ministero di Giustizia», la deposizione di Ferri.
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