La
parte della fortuna è un libro che si legge rapido, il cui
inizio molto promettente, non trova poi un suo sviluppo altrettanto
fascinoso. Scrive bene Casarini, molto lirico in alcune parti,
dialoghi a volte un po’ strozzati, linguaggio mix tra italiano (molto
buono) e slang (molto interessante). Un mix tra l’ultimo Carlotto
(prevedibile nella storia, ma sempre interessante nello stile e nel
divenire dei personaggi), la struttura narrativa di Dazieri (e il
finale a ricordare il primo ending della saga del Gorilla dove il
Leoncavallo di milanese memoria è sostituito dal Rivolta) e
ammiccamenti alla letteratura delle rape di Bunker, seppure con meno
foga, più sarcasmo, più quiete e meno rabbia.
Riferimenti, naturalmente, perché un’opera prima o è un
capolavoro o è sempre un passo intermedio nella vita di un
autore.
La
storia in sé, a mio parere, è lenta e prevedibile, ma
ha un grande merito: quello di aprire un varco, narrativo, sulle
squallide dinamiche dei CPT e di tutto quanto vi gira intorno. Un
morto, una fuga, un’organizzazione di amici che corre in aiuto.
Dinamiche
un po’ infantili, adolescenziali, non in senso negativo, portate
avanti con uno stile rigoroso e in alcuni momenti molto poetico.
Marghera, Venezia, Pantelleria sono gli sfondi contrastanti dei
movimenti inconsueti e schizofrenici della fortuna, che pare non
abbandonare mai i protagonisti del libro. Come in tutte le opere
prime c’è troppo, in alcuni casi (troppa insistenza su alcuni
modi per caratterizzare il personaggio principale, vedi le ricette) e
troppo poco in altri punti.
L’inizio
del libro mi aveva convinto: quando si affacciano i personaggi e il
piccolo intrigo che fa da sfondo al libro, Casarini promette al
lettore alcune ore di svago intelligente e divertente. E’ la stretta
di mano, dell’incipit, tra autore e lettore, come sostiene Baricco.
Io la mano l’ho stretta, ho accettato il viaggio.
Poi
il ritmo si perde un po’, la storia si dipana per lo più in
azione, e non in mistero, e la categoria del noir cui il libro è
associato, richiede la sua dose di suspence che nel libro non c’è
più. Finale prevedibile e aperto a un nuovo episodio della
strana cooperativa, protagonista del romanzo.
In
epoca di gialli e noir un po’ spenti sotto il profilo della trama –
ammetto il mio amore per trame complicate con colpi di scena continui
– ma anche deboli sotto il profilo della più pura ricerca
sociale, La Parte della Fortuna, ha il merito di essere un
noir militante.
Ce
ne vorrebbero altri.
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Casarini manco riesce a parlare l’Italiano corrente, figuriamoci scrivere un libro. Chissà chi è il ghost writer