Metto
qui una panoramica, uscita su Liberazione, di quest’ultimo mese
cinese. Tra Cio, fiaccole, Tibet, boicottaggi e riflessioni di
carattere generale. Una summa dell’ultimo mese cinese, visto da
Pechino. Tutti gli spunti e le polemiche.
Durante
l’ultimo mese di delirio mediatico su Tibet, percorso della fiaccola
– blindata, nascosta e protetta come un capo di Stato – proteste e
richieste, la Cina ha proseguito imperterrita sul proprio cammino
sulla scena internazionale. Ha siglato un accordo commerciale con la
Nuova Zelanda, ha aperto il convegno internazionale di Boao e il
business prosegue sia a Pechino, sia a Shanghai dove si corre verso
il World Expo del 2010, tra salone nautico per yacht di lusso e altri
incontri d’affari. Protagonisti: paesi europei, Italia compresa,
Stati Uniti, Giappone, Australia. Come se le polemiche tra Europa,
Usa e Cina fossero veicolate solo dai mezzi di informazione. Come se
le accuse alla Cina facessero da obliquo corollario a ciò che
più conta per la Cina come per i suoi partner commerciali: gli
affari. Perché è opinione generalizzata che la Cina,
nonostante le critiche e le accuse in relazione a repressione e
rispetto dei diritti umani, esca vincitrice da questo mese sballato e
colmo di grattacapi, grazie alla sua enorme potenzialità
economica. Nessun paese al mondo può permettersi sgarri con la
Cina, come dimostra il tentennamento generale nell’esprimere critiche
all’ex Celeste Impero sulla questione tibetana. Perfino gli organi
sportivi: i comitati olimpici nel loro documento conclusivo hanno
omesso la parola Tibet. Proprio come volevano le autorità
cinesi. Non stupisce dunque il rientro delle polemiche e il rilancio
fatto dai governanti cinesi, in un’ottica che vede un’esposizione
internazionale da gestire, una questione interna da chiarire e un
arroccamento nazionalista che si evince dai siti web e dai blog dei
milioni di internauti cinesi. Sullo sfondo i Tibet, gli uiguri e i
tanti problemi che la Cina affronta per difendere il proprio
prestigio di potenza mondiale.
Il rilancio cinese
La Cina
rilancia e chiarisce. Un altro monito è giunto agli Stati
Uniti e alla risoluzione sul Tibet, partorita giorni fa dalla camera
dei rappresentanti, che distorcerebbe «in modo flagrante la
storia e la realtà del Tibet». La portavoce del
ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, non ha usato parafrasi: si
sarebbe trattato di «una rude interferenza negli affari interni
della Cina ed ha gravemente ferito i sentimenti del popolo cinese. La
Cina è fortemente indignata e contraria a questa risoluzione».
Poi ci ha pensato anche Hu Juntao, il presidente cinese, che ha
affermato come il Tibet sia un «affare interno della Cina»,
lamentando l’ingerenza e accusando il parlamento europeo di
«interferire nei propri affari interni», ribadendo la
lettura cinese sui fatti tibetani: «il nostro conflitto con la
cricca del Dalai Lama non è un problema etnico, religioso o di
diritti umani, un problema di difesa dell’unità della Nazione
o di divisione della madrepatria». Non stupisce, dunque, la
notizia della chiusura sine die del Tibet gli stranieri, venendo meno
alla promessa di aprire il territorio tibetano a giornalisti e
turisti dal primo maggio. Una decisione che, forse, dimostra quanto
ancora sia complicata la situazione in Tibet, sotto il profilo della
repressione e della chiarezza. La Cina, è opinione di molti
osservatori, si sarebbe fatta trovare stranamente impreparata da tale
rivolta, tanto che, non pochi anche in Cina, ritengono che sia stato
creato tutto ad arte, per affrontare le problematiche con molto
anticipo sui giochi olimpici. Gestire una rivolta in Tibet o nello
Xinjang in agosto, sarebbe stato molto più complicato e
difficile, con il paese invaso da turisti e impiccioni giornalisti
occidentali. Rimane il fatto che la Cina ora deve affrontare la
questione, in un momento in cui l’onda appare placarsi. Il Dalai Lama
fa la star negli Stati Uniti – 150 mila assisteranno alle sue
conferenze – mentre il percorso della fiaccola, in terra d’Africa
attualmente, sembra poter progredire senza eccessivi problemi.
L’attenzione dei cinesi allora si rivolge al proprio governo e ai
suoi movimenti per gestire il disagio e le polemiche che giungono
dall’ovest, nonostante una ulteriore stretta a internet e alla
possibilità di raggiungere siti bannati (come quelli della Cnn
e della Bbc).
«Non comprate Luis Vitton»
A
pochi giorni dai fatti di Lhasa il mondo internet cinese si è
stretto attorno ai propri governanti. E’ uscito anche un instant book
che metterebbe in evidenza la verità sul Tibet, ovvero di come
i media occidentali abbiano travisato la realtà, dando vita ad
una campagna più anti cinese, che non pro Tibet. Una posizione
che in Italia ha trovato il supporto del filosofo Vattimo, attraverso
l’appello fatto circolare in internet che ha acceso discussioni e
polemiche, specie in relazione all’ambiguità della richiesta
di un’autonomia, spesso confusa in Occidente con il termine
indipendenza, dai risvolti storici e culturali tutt’altro che
semplici. E’ opinione del professore Stefano Cammelli, autore di
Ombre Cinesi, che «trasformando il problema tibetano in una
questione nazionale la protesta occidentale è andata a
stimolare corde e accenti pericolosissimi e che garantiscono una
risposta schematica, brutale, retrograda. Era questo che si stava
cercando?».
I cinesi, dal canto loro, non si capacitano
delle proteste tibetane: «da un paese medioevale, con una
teocrazia religiosa, gli abbiamo portato soldi, grandi opere e
turisti. Cosa vogliono ancora?» E’ la posizione preminente
delle opinioni e dei commenti sui blog. Sono nati anche siti di
contro informazione, a loro modo: quello anti Cnn ha raggiunto picchi
di collegamenti, mentre Sina.com ha lanciato una petizione contro i
media occidentali: milioni le adesioni. Non solo. Nei meandri dei
blog cinesi – spesso l’unico modo per arrivare a notizie censurate
dai media filo governativi – sono partite anche iniziative di
boicottaggio. Anche il prestigioso Guardian ha ripreso la polemica
lanciata da un blog su una pubblicità della Coca Cola, apparsa
in Germania, che sosterrebbe la causa tibetana. Più
importante, invece, in termini di reale efficacia, appare il
boicottaggio contro i prodotti francesi. Il Financial Times vi ha
dedicato un focus: ai cinesi non è piaciuto l’atteggiamento
ufficiale dei francesi. Ecco allora le liste dei prodotti da
boicottare tra i quali spiccano L’Oreal (e il mercato dei cosmetici
in Cina può considerarsi un boom in piena regola), Luis
Vitton, Givenchy. Non è una novità per i cinesi: tre
anni fa venne lanciata una campagna anti giapponese. Un impatto
sensibile sul mercato, seppure di breve durata. I brand stranieri
sono costantemente sotto l’occhio dei consumatori. La stessa Nike,
anni fa, fu costretta a chiedere scusa «al popolo cinese»
per una campagna pubblicitaria che ledeva la cultura del paese.
Nonostante il boicottaggio, ironizza un blog del Celeste Impero, è
un anonimo collezionista cinese che si è aggiudicato i nudi di
Carla Bruni, moglie di Sarkozy, per 91 mila dollari ad un’asta di
Christie’s.
Il fronte tibetano
Ieri il gruppo di esuli
tibetani "Studenti per il Tibet Libero" ha «condannato
con forza» la decisione del Comitato Olimpico Internazionale di
confermare il passaggio della fiaccola olimpica in Tibet. «Consentire
alla Cina di portare la fiaccola olimpica in Tibet mentre i tibetani
vivono sotto la legge marziale è da incoscienti», ha
affermato il direttore esecutivo del gruppo Lhadon Tethong. «Non
è un problema di sport – ha aggiunto – è un problema di
vite umane in una nazione che lotta per sopravvivere. Le persone di
coscienza in tutto il mondo riterranno i membri del Comitato
Esecutivo del Cio personalmente responsabili delle azioni del governo
cinese in Tibet durante la staffetta della torcia». Un altro
gruppo di esuli tibetani, la Campagna per il Tibet Libero, ha
affermato che alcuni dei 50 monaci che giovedì scorso hanno
manifestato contro la Cina davanti a un gruppo di giornalisti nel
monastero di Labrang, nella provincia del Gansu, sono stati
arrestati. Il gruppo non ha precisato quanti sono i monaci arrestati,
e di quale reato siano accusati. I cinesi hanno smentito, ma è
il segnale che in Tibet la questione è tutt’altro che chiusa.
L’Asia Times ha aperto un varco di osservazione interno alle forze
che protestano contro il governo cinese. Il fronte tibetano si
starebbe frammentando: alcune frange del Tibetan Youth Congress, nato
nel 1970, non condividerebbero la linea morbida del Dalai Lama. Non
solo sarebbero più propensi a richiedere una esplicita
indipendenza, ma non appaiono contrari anche a metodi violenti. I
portatori di tali istanze sono per lo più giovani, educati in
occidente, senza quello zelo religioso dei loro genitori. Rispettano
il Dalai Lama, ma non lo considererebbero la propria guida
spirituale. La questione, è più che mai aperta.
(da
Liberazione, 16.04.08, Roberto Onorati)
Un po’ permalosi, i cinesi di Cina …