Stanotte
tirava un vento fortissimo che scuoteva alberi e tutto quanto poteva
muoversi, anche solo al respiro. Per una volta la notte era limpida,
si vedeva distante, i grattacieli brillavano, perché qui le
luci non sono solo luci. Sono identità. Una strana
Shanghai, dopo un giorno caldo, spolverato dalla brezza pomeridiana e
asciugato nel sudore del pranzo, da fresche cene all’aperto. Le donne
che vanno e vengono, gonne che svolazzano, ordini che urlano. Per un
attimo, voltandomi indietro nella via alberata dei ristoranti di
Xinhua Lu, mi è parso di scorgere una Shanghai antica nel suo
scorrere mondano e divertito.
Ognuno
poi – pensavo mentre cercavo di afferrare pezzi di pollo viscidi
immersi nella soia e accompagnati da centinaia di frammenti da mezzo
chilo di aglio – si vive il pezzo di umanità che incontra e su
di esso pone le proprie aspettative e da esso trae le proprie
emozioni.
Questa
notte che ha preceduto il 30 aprile, che precederà la May Day
cinese, è: un buio ovattato e fin troppo lineare e fluido. Il
vento sembra voler scacciare sensazioni negative, allarmate da
sentori, discorsi, sguardi. Solitamente sono circondato da persone
che tendono a snobbare quelli che per noi occidentali sono problemi o
questioni aperte. Solitamente mi viene detto: sono problemi degli
occidentali e del nostro governo, non nostri.
Invece.
Invece le Olimpiadi e le contestazioni alla fiaccola hanno aperto
spiragli di discorsi inaspettati. Un mio amico si è lamentato
della moda lanciata nelle chat cinesi di anticipare il proprio
nickname con la scritta I Love China. Si è lamentato
anche del boicottaggio a Carrefour, definito una trovata
nazionalistica, come se noi, poi, ci guadagnassimo qualcosa, ha
aggiunto.
E
il boicottaggio riempie la testa di idee e sensazioni.
Andando
con ordine: scoppia il casino in Tibet. Scoppiano i casini in Europa,
specie in Francia, intorno alla fiaccola. I cinesi dicono che in
Francia hanno tentato di rubare la fiaccola. Scatta l’ondata
nazionalistica: siti anti Cnn, magliette, boicottaggio alla Carrefour
(Ja Le Fu, in cinese: casa felice e prospera). I politici di qua
parlano di cricca del Dalai Lama, blindano il Tibet (fino a
quando non si sa), ottengono l’ok dal Comitato Olimpico a proseguire
come niente fosse e confermano la data di fine giugno per il
passaggio della fiaccola sull’Everest (in Tibet). Il percorso è
armonioso, perché la Cina è armoniosa.
Poi.
Qualcuno dice: secondo me i cinesi si sono fatti tutto da solo,
per affrontare ora il problema e non ad agosto e togliersi dalla
palle una volta per sempre il Dalai Lama e le sue ciabattine. Poi.
Il Governo dice: no no no. Questo nazionalismo non va bene. E:
proibiscono la produzione di magliette anti Cnn (salvo scoprire ieri
che le bandiere Free Tibet sono Made in China, of course),
placano gli animi sul boicottaggio, calmano i bollenti spiriti, si
dissociano da iniziative personali e vagamente popolari (ci sono pur
sempre un miliardo e passa di persone). Poi.
Qualcuno dice: stai a vedere che: il casino del Tibet lo hanno
fatto gli americani, per fottere mediaticamente la Cina. E il
Governo ha vacillato. Incredibile: il Governo così attento e
premuroso, ha cannato in pieno. Si è fatto prendere di
sorpresa! Qualcuno dice: qualcuno, nel partito, rimescola nel
torbido e spinge per il nazionalismo, per pressare il governo per
chissà quali altri scopi. Un grande partito è fatto
di: grandi correnti, grandi cricche, grandi competizioni, puntuali
epurazioni. Vincitori e vinti. E gli ultimi non scrivono certo
la storia. La rendono, semplicemente, più avvincente.
Contemporaneamente:
il Governo, tramite il tribunale di Lhasa, condanna a pene dai 3 anni
all’ergastolo i tibetani protagonisti degli scontri. Un treno super
veloce deraglia nello Shandong, si schianta contro un altro e muoiono 66 persone. La velocità,
nuovo mito tardo futurista della Cina Campeon vacilla, pure agli
occhi dei cinesi.
Contemporaneamente:
il Governo stringe sui visti: delirio. Tra expat (fa schifo il
termine, ma credo si scriva così…) si parla solo di quello.
Come fare? Gli inglesi, al solito si sono premuniti: hanno detto al
Governo cinese: non scherziamo. E per loro mei wen ti (no
fucking problems). Per gli altri. Chissà. Alcuni romani
irrompono: Me ne frego! – dicono. Gli ricordiamo che siamo in
Cina. Comunismo! E noi siamo tutti in coda davanti al bagno. E noi
siamo tutti in fila davanti a un segno.
A
cena un amico mi dice: se ci fosse stato Mao, col cazzo che
succedeva tutto sto casino. Questi invece parlano di armonia.
Attenzione. Tanti Mozi (maestro Mo) crescono: abbasso Hu
Juntao e il suo confucianesimo moderno. Un altro ammette che, da
ambienti politici, il Partito sarebbe nel panico: il timore che
qualcuno ciurli nel manico dell’ondata nazionalistica aprirebbe un
varco oscuro e che non verrebbe a galla, a meno non succedano danni
il primo maggio. Chi può dire, ad esempio, che qualche
frangia del partito non stia preparando l’imboscata a Hu Juntao e
compagnia armonica?
Chi
può dirlo?
E
si arriva a oggi, 30 aprile, vigilia di questo primo maggio così
teso e vibrante, lucido e carenato, rinfrescato da una colazione al Sofa Bar, navigando in wireless,
ascoltando musica mooooolto chill out e asciugando la lacrimuccia
perché mi ricorda la Cafeteria di Pergola (Move).
Sul
web: Danwei.org, orecchia e antenna ben ben tesa sull’umore
sociale cinese, anche se un po’ intellettualoide, riposta sul blog
alcuni articoli degli anni 80, sugli attacchi ai giornalisti
stranieri in Cina.
In
questo clima ci si appresta a farsi i giri dei Ja Le Fu cittadini.
In
questo clima andrò, se andrà tutto bene, a sciropparmi
Metal nella notte rovente della May Day di Shanghai.
When
Im walking a dark road
I am a man who walkes alone
in che sens?
ahahaha ho visto le foto…:-)
ciao
b.
ok, vedo che lasciare la mail qui non serve a molto :p
direi di si. se se in contatto con ottidia o gi0 fatti dare la mia mail…magari ci conosciamo pure già eh…
ciao!
b.
c’e’ caso che prima o poi passi da quelle parti, che dici, ci becchiamo?