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[Verso Wuhan] Prepartenza

Il
mio amico di Wuhan mi ha mandato questa mail, ieri:

I’m
very happy that you finally come to SJC of Wuhan University to
give a speech. This is the first time that a alternative media
activitist lecturing in Chinese university. This school, it’s said,
is one of the best ones among the journalism and communication
schools in China. But the BEST always filtered many really
alternative knowledges…but this time would be a great time to give
new experience, though i’m not sure how many students would be
interested in the new things. Anyway, it deserves to step into the
conservative zones. I read your doc for the speech, very
interesting:
precarity is really inspiring subject to get deeper in.

Quindi
domani parto e inizierà questa breve avventura a Wuhan, che
vuol dire: preoccupazione di essere chiaro, preoccupazione di non
destare facili entusiasmi (siamo in Cina, non in Europa), curiosità
per la possibilità di scrutare parti di passato che mi
interessano molto. E che non ho perso di vista.

Non
per suggerire colonne sonore a demoni
vari, ma Schyzophrenic Prayer
mi sta accompagnando come un mantra infinito in questa stramba
esperienza.

Hypnos
give us your hand
We so tire of this life
Need to rest and
finally disappear
In your arms
Feels like a better us
In
your arms

Posted in Pizi Wenxue.


[Pechino] Scary World Theory

E
vabbè che io sia intrippato con Sorrentino e i suoi film non
posso negarlo. Qualche giorno fa hanno proiettato Le conseguenze
dell’amore
all’istituto italiano di cultura e allora ho invitato
la mia insegnante di cinese, e non solo lei, a vederlo. Ne abbiamo
parlato per settimane, che tanto si devono trovare argomenti di
discussione, ma sembra sempre si vada a parare su discorsi che pure
in italiano faticherei. Cioè discussioni belle dense e poiché si parla in cinese si va al sodo con molta più facilità, anche perché non sono in grado di romanzarci su. Per niente.

Però
ho imparato finalmente a dire anima in chinao. Insomma lei è
venuta a vedere il film e oggi ci siamo rivisti per la lezione e ne
abbiamo parlato. Le è piaciuto molto – ma sapeva che non
poteva non dirmelo – ed è interessante vedere come una
cinese interpreta alcuni aspetti del film. Abbiamo sezionato l’ora e mezzo di Sorrentino, i sentimenti, le emozioni, le incomprensioni e l’ignoto di nuove conoscenze, le conseguenze di qualsiasi cosa, la lucidtà mista a rassegnazione e i biglietti senza ritorno.

Purtroppo
ho scoperto che si è persa alcune chicche. Ad esempio nei sottotitoli in cinese
non hanno tradotto una canzone fondamentale. Quella della
Vanoni, sussurrata e canticchiata dal mafioso, verso il finale del
film.

E
allora oggi le ho tradotto (più in inglese che cinese…) Rossetto e Cioccolato, ambigua e bizzarra, melensa e peccaminosa. Qui invece piazzo su la canzone che abbiamo deciso essere la migliore del film, che pure ha una grande colonna sonora…
e alla fine di tutto penso che ha ben piccole foglie la pianta del the.

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[Pechino] Il pomeriggio del 12 dicembre

Y’en
a pas un sur cent

et
pourtant ils existent

Ci
sono delle mattine in cui ci si sveglia già incazzati, con Leo
Ferrè a cantare e a consolare. Poi ci si ricorda la data e si
capisce. Quando arrivai a Milano, per me Milano era il Circolo
Anarchico Ponte della Ghisolfa
. E’ il primo posto in cui sono
voluto andare e ho finito per frequentarlo fino a poco prima di
partire per la Cina.

Un
paio di anni dopo morì Pietro Valpreda, una persona che faccio
fatica a considerare solo come uomo. Un simbolo, un immaginario che
significava 12 dicembre, piazza Fontana, strage di stato, vittime
innocenti, contro inchiesta e forza di raccontare, subire, rialzarsi
e provare a foderare il cuore di ferro finto.

E
anche quella parte del mondo anarchico fatto di feste anticlericali,
canzoni, antimilitarismo, obiezione, casolari antichi e boschi che
odorano di quella resistenza poco conosciuta. E la Spagna e cazzo,
Barcellona che roba!, Berneri ucciso sulla Rambla e il botto di
Blanco, ma anche viale Monza, il freddo, le riunioni del Tessuto
Connettivo Metropolitano (!) e la preparazione del camion per la
MayDay, sotto una pioggia allucinante, con un pilone di marmo
abbattuto da un autista inferocito, ma vaffanculo che erano le
quattro di notte e si che M. diceva: porcodiquaedilà dobbiamo
trovare un
argano!
Ma che
argano!
E che cazzo è un
argano?
E c’era ancora Kappa. E tutta quella parte più artistica e
bizzarra di tutte quelle persone che si definiscono
anarchiche.

Ma
più di tutto: Piazza Fontana: strage di stato, Valpreda
innocente, Pinelli assassinato.

Oggi
è un altro 12 dicembre, tra tre giorni sarà un altro 15
dicembre. Numeri, ormai, in prossimità del Natale. Numeri da
giocarsi per il jackpot.

16 vittime più uno, Giuseppe Pinelli,
ferroviere.

Però
c’è uno sciopero generale.

Figli
di troppo poco

o
di origine oscura

non
li si vede mai

e
quando fan paura

sono
gli anarchici.

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[Pechino] Svegliarsi succhiando un limone

Se
ti svegliassi a un’ora diversa in un posto diverso, ti sveglieresti
come una persona diversa?

Quando
una fuga diventa noiosa?

Quando
alcuni discorsi non possono più essere accettati?

O
quando alcuni discorsi non vengono fatti?

Non
siamo speciali, non siamo un pezzo bello, unico e raro. Siamo materia
organica che si decompone come ogni altra cosa. Siamo la
canticchiante e danzante merda del mondo.

Quando
ci si perde nei meandri del proprio ombelico?

O
quando ci si incontra nel momento sbagliato?

Lo
sai che mescolando parti uguali di benzina e succo d’arancia congelato
si può fare il Napalm?

 

Mi
hai conosciuto

in un momento

molto strano della mia vita…

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[Pechino] Intelligenza collettiva (?) 1. L’invito

Come
al solito: stavo pensando a una cosa e me ne è venuta in mente un’altra
da aggiungere. Questo post è un invito, vediamo se
succede qualcosa. Faccio una premessa e poi vengo al sodo.
Quest’estate a Pechino mi hanno presentato un ragazzo di Wuhan: dolce e
silenzioso, ma non per questo immune dalla misteriosità dei
luoghi oscuri, o almeno mi ha dato questa impressione. Voce appena
percettibile, ma intelligenza veloce.

Sta
studiando all’università di comunicazione di Wuhan e sta
lavorando a una tesi su Indymedia. Ci siamo fatti una chiacchierata e
abbiamo finito per parlare di simboli, immaginari, brand e gli ho
raccontato l’esperienza di MayDay, San Precario, Serpica Naro.
Abbiamo parlato a lungo, abbiamo proseguito via mail e infine, quando
sono tornato in Cina, lui ha tirato dentro un professore e hanno organizzato
questo speech, credo si dica così, all’Università
di Wuhan, a metà dicembre. Oggetto: raccontare esperienze di attivismo sui media nel mondo occidentale. Per fare questo ho dovuto spedire
documenti, fotografie, abstract di cose scritte e garantire sulla mia
integrità ideologica in favore dell’Armonia Suprema
rappresentata dal Popolo che mi ospita. Pare che i controlli siano
andati a buon fine e quindi mi hanno invitato. Penso che il mio
racconto inviato ai Signori Commissari sul tentativo di strappare la
bandiera del Tibet esposta dai miei vicini di casa a Milano, abbia
avuto il suo peso.

Ora,
dopo chiacchiere via mail si è circoscritto il tema, che
potrebbe essere così espresso: Brand, Comunicazione e
Immaginari: da Indymedia a Serpica Naro
. I motivi di questa
scelta sono tanti, ne riassumo velocemente un paio: non posso parlare
di cose in cui non ho preso completamente parte, anche perché
nemmeno posso pretendere in due ore di racchiudere 10 anni di
attivismo. Mi interessa indagare quel processo che dal noto, dont
hate the media, become the media
, ha portato alcune realtà
del movimento ad affrontare il tema della Comunicazione e
della sua importanza nella società attuale, votata a creare
condizioni precarie di vita, in generale, non solo lavorativa (i
famosi cinque assi della precarietà: reddito, casa, affetti, accesso alla tecnologia e ai trasporti ecc).

Per
fare questo devo partire da lontano, non posso certo cominciare dal
99, devo un po’ svolazzare ed essere estremamente semplice. I cinesi, che saranno la platea, non ne sanno un cazzo delle
nostre belle storielle e maestri, belli brutti e cattivi. Come mi è
stato suggerito da persone che vivono qui da più tempo di me,
non posso presumere che tante cose siano date per scontato. In più
devo tenere conto che tutto ciò di cui parlerò, qui in
Cina è clamorosamente sensitive (per questo lavorerà
una Commissione Speciale ad hoc che esaminerà tutto e
garantirà la possibilità di esporre. La mia insegnante
e sinologhe, anch’esse un po’ saturnine, ma determinate, sono della
squadra. Esempio: alla mia insegnante l’altra volta ho detto, dirò
che anche in occidente i media non sono liberi
. Lei impassibile,
mi ha detto, quell’”anche”…, , ho fatto
io, levalo, mi ha detto lei.).

Quindi
pensavo di cominciare il tutto, aiutandomi con video che possano dare
l’idea di un ipotetico, da dove arriviamo. Per me
imprescindibile sarà mettere un pezzullo di Stallmann sul free
software
, il concetto di hacking e magari ci aggiungo
quello di reality hacking, sempre
non sia troppo sovversivo qui
e poi, a mò proprio di
introduzione alla larghissima, pensavo a un pezzo di Naomi Klein che
c’è su Youtube, in cui spiega il meccanismo perverso del
brand. Roba vecchia, ma da qualche parte bisogna partire.

Poi
ci sarà Indymedia, come quando e perché, la policy,
il concetto di open publish, il newswire, le mailing
list
, ecc. Poi EuroMayDay, San Precario e Serpica
Naro
a dare la possibilità di specificare che i media
sociali non sono icone, come i brand, bensì attitudini
eccetera eccetera. Ovvero devo arrivare e fermarmi lì,
all’importanza della narrazione. Anche perché sono in Cina.

Ora, tutto questo è brainstorming, ma prendendo spunto dal blog del grande Henry Jenkins…chiedo agli amichetti e alle amichette, ma non solo, che ogni tanto
piombano sul blog, di consigliarmi qualcosa al riguardo. Video interessanti, esplicativi, semplici (in inglese!),
spunti, anche citazioni (pensavo di aiutarmi con un power
point che faccia da sfondo)…idee, che voi ritenete imprescindibili per fare capire a un
cinese come si sia arrivati alla riflessione sui mezzi di
comunicazione, negli ultimi 20 anni
che non è che vado a
parlare ai cinesi di Marx…

Accetto perfino Debord, ma avendolo già
detto io, non vale…

Tenendo presente, inoltre, che se magari venisse
fuori una bella discussione e del materiale interessante, questo sarà
il punto di partenza delle quattro belinate che andrò a dire,
per dare l’idea di un processo, seppure minimo, comune anche
nella costruzione del documentino che porterò là
.

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[Genoa a Pechino] Io non ho cugini

http://www.youtube.com/watch?v=jW8OfBzESM0

 

Quelli
là – Genoa 0-1

Streaming
perfetto e tempo perso a cercare di scovare il gigante che da una settimana cercava di
uscire a pugni dal mio stomaco. Solito derby: inguardabile, botte,
calci, risse, isterie, sceneggiate, colpetti, insulti, camionate di Voltaren. Tensione e tanta voglia che finisca presto e mano famelica a cercare un foglio per firmare per un pareggino. 

Invece,
mentre il nano butterato con la maglia da ciclista ripensava alle
minchiate dette in settimana, Il Principe, in silenzio, la
piazzava ai galusci, proprio sotto la Nord.

Roba
da andare a Tien An Men e sputare in alto, fino a vedere formarsi la fontana
di De Ferrari.

Un’altra
cartolina di natale.

Io
non ho cugini.

Posted in Pizi Wenxue.


[Pechino] Montagne Russe

Le
jour se lève il faut tenter de vivre

Ieri
sera doveva esserci una cosa electro pop con amici vari che mettevano
musica. Il locale è carino, mi piace, ma solo in un’occasione
l’ho visto pieno di gente. Era una delle prime serate pechinesi, mesi
fa prima delle Olimpiadi, e suonava un cantante folk cinese. Erano anni che non faceva
concerti. Per l’occasione arrivò parecchia gente. Mi erano piaciuti: l’atmosfera, vedere tante teste andare su e giù a tempo, la compagnia e una passeggiata. Ieri sera
non si può dire che il posto fosse molto pieno. Ho visto una cinese, tacchi
altissimi, scendere le scale come manco l’Imperatrice Cixi, gonna
lunga, con spacco alto, maglietta stretta a stringere un corpo fin
troppo sottile. E cadere dopo avere messo male il piede.

Mi
sono ritrovato a chiacchierare con un’amica con cui condivido gusti
musicali. Mi piace perché è una cui puoi stare accanto
senza dovere parlare per forza. Abbiamo solo accennato a un concerto
dei Dark Tranquillity, proprio in quel posto lì e dei
Gathering. Mentre il locale mezzo vuoto si riempiva di fumo, ci si
guardava attorno, qualcuno provava qualche mossa retorica, altri
appoggiavano il consueto braccio sul bancone, altri sfoggiavano
pantaloni e giacche da corso Como. Qualche cinese accennava passi da
danza, guardandosi intorno a incrociare sguardi e promesse.

   

Per
dieci minuti siamo stati ipnotizzati da un batterista: immobili a
guardare fisso davanti. Io pensavo al concerto in cui Annekke (la
vocalist dei Gathering…) ci è passata davanti: era bello
tardi e quasi neanche ce ne accorgevamo. Eravamo al Tunnel,
parlandone da vivo. Passò vicino, così vicino, che a un
mio amico cadde un dente e fine delle trasmissioni.
 

Posted in Pizi Wenxue.


[Pechino] E io lo so perché non resto a casa

Oggi
la mia insegnante di cinese è arrivata e io quasi non riuscivo a vederle la faccia. Siamo ben ben sotto zero e ci si copre come in Alaska, o
insomma dove fa molto freddo. Si sfumano le facce, si nascondono le
dita, si vede il fumo dei propri pensieri condensarsi davanti alla
bocca. La mia insegnante ha impiegato dieci minuti a togliersi guanti
sciarpe berretti e giacche. Poi mi ha guardato storto, perché ho avuto un mezzo
svenimento.

Sotto
il diluvio di lana è rimasta con un maglione rosso, forte e
scuro e una mega sciarpa blu. Talmente grossa che le cadeva su metà
del maglione. Mi sono ritrovato così, davanti a una cinese con
la maglia del Genoa.

E
quindi: potevo assumere un cannibale al giorno, per farmi insegnare
la mia distanza dalle stelle, potevo scrivere che devo andare
all’università di Wuhan a fare un seminario su Simboli,
Miti, San Precario e Serpica Naro
, potevo scrivere che sono letteralmente invasato dei caratteri cinesi, che fa un freddo cane con un
vento che ti azzera la voce, ma ti scalda il passo, che stasera la
nostra squadra di calcetto, Drink Team, affronterà un
difficile scoglio sulla via del passaggio del turno (CF: ahahah
preparati!). Potevo scrivere che sto ricevendo mail di amici che mi
riempiono di gioia e calore, che forse Hellas chissà, non
voglio dirlo… che forse il progetto che stiamo per mettere in piedi
qui avrà finalmente una piccola e flebile, ma esistente, luce,
che giorni fa ho passato una sera con un’amica e un chitarrista
messicano che mi ha risvegliato alcune idee assopite, che la mia insegnante adora Impero di Toni Negri e te pareva che non beccavo l’unica chinese disobba sulla terra, e giù a parlare di rappresentazione e di robe che io cioè vorrei parlarle in italiano, altro che cinese! Che, insomma, si
tira avanti che la Cina ti prende e fa un po’ come cazzo vuole: un giorno su, uno giù, uno su, un altro su e tre giorni di down. Non si capisce il perché: forse è che un po’ tutt* qui ci si sente appesi, in attesa di un segnale, un segno, una svolta o una voglia di partire, tornare o ripartire ancora. Ed è difficile concepire qualcosa di duraturo, in un posto in cui non sai mai quanto finirai per starci. 

Ma:
domenica c’è un’incudine sull’umore delle prossime giornate,
settimane, mesi. Si chiama, volgarmente, derby della Lanterna, ma
è q
ualcosa che non si può spiegare se a 4 anni
uno o una non è mai stata in uno posto. In quel luogo c’era un
piccolo tunnel che arrivava su un prato verde. Da quel cunicolo
misterioso, improvvisamente due volte all’anno, uscivano uomini con
la maglia rosso blu (quella più bella del mondo) e altri con
una maglia inguardabile. E quel mal di stomaco di agitazioni, quei
flash back di antenati e mare, dialetto e chissà cos’altro,
trasmesso di nonno in madre e di madre in figlio, è più
di una parola. E’ ben più che dire: calcio.

Il
Corsaro Nero, al secolo Mino Francioso (unico insieme a Nicola Caccia ad avere i pantaloncini da calcio con le tasche per farsi i cazzi propri durante le partite), nel 2001 ha messo a
segno il gol della nostra ultima vittoria nel derby. Per questo a Francioso sarò eternamente grato. Ero lì,
nel parterre, e la palla all’incrocio sembrò arrivarmi dritta
in faccia. Vennero anche Paglia e Ceyenne. Quest’ultimo dopo venti
minuti che era in gradinata (loro mai stati nella Nord, poiché
milanoidi…) torna con un cartoccio di vino e mi dice, “Bella
Beirut (!?!?) domenica andiamo con i ragazzi a Cosenza”. Meno male
che poi non andammo perché mi ricordo un secco 2-0 contro,
ovviamente. Però valeva la pena divertirvi le serate estive
(e pure quelle invernali) con un semplicissimo "Mi ricordo".

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[Pechino] [quasi dicembre]

E
mentre le lancette camminano
i due si dividono il fungo e intanto
mangiando
ingannano il tempo ma non dovranno ingannarlo a lungo.

 

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[26.11.08] Sparring Partner

  Un
macaco senza storia, dice lei di lui.

Che
poi uno dice, che gran cosa essere lì. E certe mattine con il
vento che ti spacca le dita e ti confonde i pensieri, non sono per
niente convinto che sia una gran cosa. Le foglie calpestano
l’asfalto, ma sono rimosse: è disordine. Gli alberi
tentano di allungarsi per abbracciare i taxi e le auto e i pensieri
all’interno, ma sono rimossi: è disordine. Tanti uomini indaffarati a ordinare, pulire, spazzare, rimuovere, cancelllare.

E
allora mi piacerebbe che qualcuno di quegli omini si infittisse nelle
teste e potesse potarne tutti i pensieri in più, quelli che
circondano un viso, dei pantaloni e si attaccano alle maniglie delle
case. Vorrei venissero recuperati e messi in fila uno dietro l’altro,
così da poterli ammirare e fotografare. E potrei spedirli,
senza troppe parole e senza tanti arrivederci.

Oggi
vorrei che qualcuno mi si avvicinasse dicendomi, lo sa che io ho
perduto due figli
. E vorrei poter dire, signora lei è
una donna piuttosto distratta
. Si vive di risposte fulminanti e
di spirito della scala. E’ quello spirito della frase in
ritardo, quella che viene in mente sempre dopo il momento in cui
sarebbe dovuta uscire. Quella che, di solito, arriva mentre si
scendono le scale, dopo un altro arrivederci.

Ma
il suo sguardo una veranda, tempo al tempo e lo vedrai, che si
addentra nella giungla, no, non incontrarlo mai.
E’ logorante lo
spirito della scala, tanto che i francesi gli hanno dato un nome e una teoria psicologica, chiamata esprit de l’escalier: perché costringe a rincorse e affanni per
mille anni. E se la tendenza grandiosa di questo posto ridicolizza
l’espressione più semplice e coincisa, non significa che sia
giusto. E allora mi sento così: sempre alla ricerca delle
parole giuste. Il problema è quando si ha la sensazione di
averle trovate. E manca uno scrigno, di qualche legno pregiato, da
sotterrare di fronte al mare. E tirarlo fuori quando se ne ha
bisogno. E le parole, quando non ne ho, dovrei preferire il silenzio,
e lo so
. Sono
un vecchio sparring partner, e non ho visto mai, una calma più
tigrata, più segreta di così, prendi il primo pullman,
via, tutto il resto è già poesia.

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