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Stranger in the Genoa

I
genoani hanno la consapevolezza della loro specialità, nel
bene e nel male. C’è chi dice che è genoano perché
il mare è blu e le creuze, le mulattiere, sono rosse. Da oggi
c’è chi potrà dire di essere genoano perché
anche Frank Sinatra lo era. The Voice va a fare compagnia ai vari
Vittorio Gassman, Sandro Pertini, Pier Paolo Pasolini (celebre la sua
foto in maglia rossoblu e fascia di capitano al braccio), Gianni
Brera che coniò il termine Vecchio Balordo per indicare il
ruspante e malinconico progredire calcistico del Genoa e
l’indimenticabile Fabrizio De André. Un altro personaggio da
aggiungere alla lista illustre. E poco male se in vita non ce ne sia
neanche uno: conta l’emozione e le immagini di maglie rossoblu
sorrette da tifosi particolari, ché la memoria calcistica è
fato, fiaba e leggenda, mica televisione e proclami. Da Genova agli
States, passando proprio per Old Blue Eyes.

Le rivelazioni sulla
fede calcistica di Frank Sinatra sono raccontate da un altro genovese
e genoano doc, Giorgio Calabrese, classe 1929: «sono nato nel
quartiere di Marassi, mi hanno battezzato dietro lo stadio, non
potevo che essere genoano». Altro prodotto importante della
Genova musicale e la sua scuola cantautoriale, Calabrese ha scritto
canzoni per Umberto Bindi, Adriano Celentano, Gino Paoli, Mina,
Aznavour e Astor Piazzolla, firmando capolavori come E se domani e
Domani è un altro giorno. Fu anche il primo a tradurre
l’antimilitarista Le déserteur di Boris Vian, tanto per
capirci. A Genova per un convegno sulle origini liguri di Sinatra che
si svolgerà sabato nel capoluogo, ci racconta la storia
dell’illustre genoano d’America, passeggiando tra le bancarelle del
mercato locale. «Mi confessò di essere genoano fin dalla
nascita. Sua madre era genovese, nata nel 1896, tre anni dopo la
fondazione del Genoa. Divenne genoana, facendone un simbolo delle sue
origini italiane. E Sinatra il Genoa lo chiamava CFC Genoa, Cricket
and Football Club. Genoano, anche perché prima che a Genova
venisse fuori un’altra squadra, dalla nascita di Sinatra sarebbero
dovuti passare trentuno anni». Un filo leggero e emozionale a
unire colori e città e grande musica. Genoa, you are red and
blue, cantava De André in coppia con Baccini, più di
quindici anni fa. Tempi di Coppa Uefa e sogni, in un inglese
internazionale alla ricerca di quel collegamento tra dialetto già
celebrato coraggiosamente in Creuza de Mä e il resto del mondo.
Ed ecco Frank Sinatra genoano. Un bel regalo di immaginari, fascino e
notorietà per il vecchio Grifone in procinto di compiere 115
anni, di riabbracciare la stella Milito e provare a volare sopra le
proprie macerie storiche fatte di burrasche, retrocessioni, grandi e
mezzi calciatori e sfighe di ogni genere. Grazie alla madre di Frank,
originaria di Rossi di Lumarzo, nell’entroterra della Riviera ligure
di Levante: 1500 anime, il paese degli americani, come era chiamato.
La casa di Natalina Dolly Garaventa è ancora in piedi con i
lavatoi e i segni dei tempi andati. Una donna determinata, impegnata
anche politicamente con i Democratici del New Jersey e che trasferì
la fede rossoblu al figlio. E lui la tenne sempre con sé.

C’è
chi diventa genoano perché portato a vedere un Genoa-Toro in
cui il tifo famigliare era a senso unico verso i colori granata,
decise di stare con gli apparentemente più deboli rossoblu (è
la storia della genoanità di De André e del suo andare
controcorrente in ogni campo, anche quello calcistico: nel 1982
espose la bandiera del Camerun fuori da casa sua) e chi invece
eredita la fede e la mantiene nel tempo. «Quando ci incontrammo
la prima volta – racconta ancora Calabrese – fu perché volle
conoscermi, avendo saputo che ero italiano. Mi chiese da dove
venissi. Quando gli dissi di essere nato a Genova, lui chiuse gli
occhi e mi disse che anche sua madre era genovese. E che da lei aveva
ereditato due fedi: Genova e il Genoa. Si creò un ponte
immediato tra di noi. Mi sembrava di averlo conosciuto da sempre».
Cose da Genoa, appunto. I paralleli si inseguono e per uno come De
André che da ogni parte d’Italia chiamava gli amici per
discutere degli anni terribili della C tra il 1970 e il 1971, c’era
Frank Sinatra che tra un pranzo e un giro nei carruggi, approfittava
del ritorno alle origini materne (il padre era siciliano) per andare
a vedere il Grifone. Faceva le scorte di pesto, cenava in un noto
ristorante genovese, Zeffirino – che creò un piatto ad hoc per
lui, le paffutelle , variante dei tradizionali pansoti – e si recava
a Marassi: «quando veniva a Genova so che andava anche allo
stadio. Non so in che modo perché la sua fama e la sua faccia
erano inconfondibili». Fede che dura nel tempo. Sempre a unire
le due voci genoane, mai stanche di Genoa. E così se De André
si interessò ai risultati del Genoa anche durante il tragico
rapimento di cui fu vittima insieme alla compagna Dori Ghezzi in
Sardegna, Frank Sinatra ancora dieci anni fa confermava la sua
passione calcistica, come racconta Calabrese: «nel 1997 a
Milano lo incontrai di nuovo. Eravamo al Palatrussardi, io per la Rai
ho fatto il suo traduttore e ho commentato le sue canzoni.
Incontrandolo gli dissi: tifi sempre Genoa? Sempre Genoa, mi rispose.
Poco male che quelli fossero anni di serie B. Per lui non importava
granché la serie in cui era la squadra».

Importavano i
colori, le origini, l’attaccamento a qualcosa che andasse oltre ai
luoghi fisici, che deperiscono, si perdono, scompaiono. Due colori
rimangono per sempre e li volle con sé anche alla sua morte.
La moglie Barbara, scrisse a Zeffirino: «Frank, da buon
genoano, ha voluto essere sepolto con la cravatta rossoblu». In
un momento tragico molti scoprirono la sua fede calcistica. Era il 14
maggio del 1998. Qualche mese dopo, a gennaio, tra le bandiere
anarchiche, anche uno stendardo rossoblu fu issato sulla bara di De
André, nel gennaio 1999. E se lo stadio di Marassi festeggia
il prepartita con Creuza de Mä, chissà che ora anche
qualche parola in inglese non venga utilizzata per celebrare un
tifoso speciale. [da Il Manifesto]

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In Italia

http://www.youtube.com/watch?v=blBwU7oYE8o

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Il Principe è tornato

Arrivo
alle 7 e mezza. Accendo il cellulare. Sms di mio fratello:
Bentornato: Il principe Milito è di nuovo con noi.

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[China] Sterpi e rovesci

 

Era
scomparsa quella mano e tutta la compagnia
e chissà se era
mai esistita.

I
vecchietti seduti sulle sedie per strada, per terra a giocare a
carte, scacchi, tra gente che gioca a badminton. Le signore che
camminano all’indietro, battendo le mani. I racconti di Feili. La
gentilezza della brigata italiana di Pechino. Due anziane che cantano
opera in un parco. Un tipo che canta per un’ora al microfono, mentre
quei due stanno su una pietra a mangiare. I lavori di Lucio. Shelly
del Sofa dai soliti saluti strazianti. E stavolta non torno, perché
vado a Pechino. Le dico. Se mi chiede di portare indietro degli
scarponi di pelle spagnola, penso, finisce che do di matto. Liu. Le
bombe alle quattro di notte, guardando la propaganda borghese della
Cnn. Giocare a janzi nel parco, andare a giocare a calcio e
frantumarsi una caviglia. La gemella, quella cattiva, di Feili. Carlo
e quello di cui ci sarà da parlare. Le cinesi e i cinesi che
ho visto, sentito parlare, osservato. L’Artista Disoccupato. Oscar e
il pass scambiato. Le vie di Urumqi, gli odori. Capelli arroccati,
occhi, mani, robaccia bevuta, le Hong Mei e le Shanghai, le macchine
contromano, gli striscioni, la metropolitana. I progetti, le cose da
fare, non fare. Gli odori delle case. Gas. Caffè.
L’inquinamento, le strade, le fabbriche, il piombo e i panorami
urbani.

E
ancora: pedalare di notte e sapere che sarei potuto arrivare ovunque.
Guardare due seduti su un divano in mezzo a una strada, pedalando e
cercando di vedere dietro. Non trovare cibo e pensare: da che
parte si va per andare in Corea?

Giro
nel mio deserto e sto tranquillo
ho solo il vento per barriera

Ah, che cavaliere triste
in realtà avevo dato il cuore

alla luna
e la luna l’ho barattata col temporale
e il
temporale con un tempo ancor meno normale
e il tempo stesso con
una spada
che mi accompagnasse
fuori dei confini di quello
che è reale

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Come cazzo si fa

Posto
che certe cose le sanno anche i muri, al secondo esordio in A in
Cina, altra sconfitta. L’anno scorso era stato contro il Milan: ci
fecero tre pappine e ci mandarono a casa. Quest’anno siamo caduti a
Catania: saluto V., per Vediamo se a sto giro capisci perché
non chiamo e L.: a presto. Rimane il fatto che abbiamo la maglia più bella del mondo. 

Ieri sera già ero un po’ in amargura, in più la
CCTV trasmetteva Roma Napoli e io mi sono solo sentito Pinuccio alla radio via web, senza grandi speranze. Perfino la sua cronaca mi è apparsa dimessa, come la
prestazione dei ragazzi. Un po’ me lo aspettavo, vista la formazione
iniziale e per l’assenza per squalifica di Hannibal Milanetto. Che è
tutto dire.

Sto
arrivando e vorrei: parlare con Fillo di Gasperson, salutare Kortatub
e dirgli di fare un nuovo striscione, parlare direttamente con Il
Santone, chiamare Lucho Figueroa e invitarlo a casa per tirarlo su di
morale. Gasperson: Lucho deve giocare, sempre.

   

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In my time of need

http://www.youtube.com/watch?v=q5Yu8r1T8vs Rob Brezsny dice che devo ubriacarmi di un sacco di cose.

L’anima
è un registratore, che specie di notte non dà tregua.
ci sono uomini che non sanno aspettare, sono vini che tardano a
maturare, sono camion che stentano a rientrare, camion che tardano a
consegnare letteratura da consumare parole parole da buttare.

Per
vedere se c’è tempo ancora. Oppure non farsi più
trovare.

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A fine day to exit

   
http://www.youtube.com/watch?v=Ie5jo0wtI58

Finite.
E anche tu devi mettere le virgolette, o almeno le note delle
citazioni. Giorni da giudizi, valutazioni: bello però,
simpatico ma, interessante anche se. Ti dico che questa Olimpiade è
passata in fretta, quasi non ci ne siamo accorti, tra asfalto caldo,
ombrelli al contrario, cavi della luce a scontrare i capelli e quelle
spille di merda dei volontari.

Il tempo è
passato senza che cambiasse la tariffa, a smaltire incroci e
obliterare macchinette di plastica. Saturno passa lento e tu continui
a metterti su i capelli.

Ho dormito tra presagi e mi è venuta
in mente una cosa, tra fumi e luce e autobus delle sei del mattino.
Compratemi il biglietto per gli Scars on Broadway a Milano. Ho
voglia di Armenia. The inequity of fate, The pains of love and
hate, The heart-sick memories, That brought you to your knees.

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[Olympics] Mrs Wu and Mrs Wang

Due vecchiette che volevano manifestare a Pechino, sono state condannate a un anno di rieducazione. Qui la loro storia, da una inviata di channel 4.

I’m
trying to put myself in the mind of the official from the Beijing
Municipal Government who decided to send 79-year-old Mrs Wu and her
77-year-old neighbour Mrs Wang to the labour camp. Maybe it was
the way they wielded their walking sticks which made him decide they
were "disturbing public order". The two women have
applied five times for permission to protest in the designated
Olympic Protest Zones; when they refused to give up, they were
sentenced to one year’s "re-education through labour". We
found them in the single rooms they were allocated as temporary
accommodation seven years ago.

Candle wax had melted onto the
window ledge – they said the authorities had cut off their
electricity in 2002. Rain dripped through a leak in the roof. Their
complaint is like so many in Beijing. When their homes were
demolished in 2001, they thought the compensation offered was
inadequate so they’ve been protesting ever since.
They told us
they had demonstrated by holding up banners and setting off fireworks
which they carried in a plastic bucket(!). We asked where. Where
the emperor lives – the west gate of Zhongnanhai. Isn’t that the
emperor’s place?" replied Mrs Wu. Zhongnanhai is the where the
Chinese Communist Party leadership is based.
By the time they
applied for an Olympic Protest Zone permit, they had long been
identified as trouble-makers.

Translation
of protest application

Place:
World Park
Slogan: "Nobody helps the victims of forced
eviction. Government ruling by law comes first, harmonious society
comes after."
Noise-making device: None
Number
of people:
4
Vehicle used: Taxi
Time: Aug.
10th, 7am-7pm
Date of application: Aug. 5th

"Before
the Opening Ceremony, we were held in the police station for a day,"
said Mrs Wu. "They said they wanted to talk to us. They kept us
there all day and didn’t talk to us. They gave us two steamed buns
and a lunch box." Which was fine except that Mrs Wang,
apart from being blind in one eye, has no teeth, so couldn’t chew the
pickled cucumber provided. "I had to eat it for her,"
explained Mrs Wu, and gave out a huge chuckle. It was about this
point in our interview that Mrs Wu spotted someone earwigging outside
the door. The neighbours have been appointed as spies by the
local party officials – it gives a new meaning to the concept of
neighbourhood watch. Suddenly Mrs Wu was up off the bed where she
had been sitting, waving her walking stick. "Come in and talk to
us then!" she shouted. "Come and help me remember what
happened! Stop peeping!" She jabbed her stick through the
doorway. "How annoying!"
The sentence for "re-education
through labour" was delivered on Monday. Or was it Tuesday? They
weren’t quite sure, because neither lady’s memory is quite what it
was. The man wore uniform. Was he from the labour camp?
Or maybe the police?" wondered Mrs Wang. From the
re-education department," said Mrs Wu, sighing. "My brain
is no good anymore." They showed us the document. I
can’t read, but I can see my name," said Mrs Wu, pointing at it.
She asked Mrs Wang if she could read her name. "I can’t see it
all, dear, because of my eyesight."

Here
is the document in part:
Re-education
Through Labour

Decision
by Beijing Municipal People’s Government Management Committee of
Re-education Through Labour.
Illegal activities: From March
to June 2008, administrative detention 5 times for disturbing public
order;
Warning: Once.
Evidence: From March 2008,
she ignored the advice of the police and went many times to
Zhongnanhai and Tiananmen to hold banners and let off fireworks in
order to appeal their relocation issue. They seriously disturbed the
public order of key public areas and were caught by the police. She
admitted to the above facts. "According
to the trial regulations of the re-education through labour Article
10, Items 3, 5, and 14, we hereby decide to send her to labour camp
for one year, [backdated] from July 30, 2008 to July 29, 2009. We
have confiscated the criminal tools. [Author’s note: I think that
must be the plastic bucket of fireworks]
…According to the
relevant rules in the trial regulations, we decide to carry out the
sentence outside the camp. During the sentence term, you must obey
the laws and regulations, and report your activities to the Public
Security Bureau every 3 months… If you break the rules, the outside
the camp sentence will be revoked and you will be sent to the
relevant camp."

They
won’t, therefore, be sent directly to the gulag, but they have been
told that if they try to protest again they’ll be shipped off
immediately. "I’m not afraid," said Mrs Wu. "If
they hadn’t torn down our homes, this wouldn’t have happened. We’re
just ordinary people. We’re small people. One year! They can give us
three years and I won’t be afraid. I’m almost 80 years old." "I
don’t care," said Mrs Wang. "At least those who break the
law and live in gaol have electric light."

[da channelfour.com]

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[Olympics] La Boxe

Per
la cronaca: Russo ha vinto argento e Cammarelle, poco fa, l’oro…

Prenderle
e darle, ferire e incassare, agilità e pesantezza. Sport
letterario e affascinante di suo, la boxe a Pechino ha trovato una
brigata italiana dai toni variabili, capace di condensare in una
squadra la ricchezza dei sentimenti sportivi e umani. Uno è un
fiume in piena, estroverso, rapido, agile, dal soprannome Tatanka,
che, anche senza saperne la ragione, incute già personalità.
L’altro è introverso, composto, tecnico e ha il colpo pesante
come un macigno. Avevano già tutti e due il culo sul podio,
come ha detto uno di loro, ma questi sono ragazzi che non si
accontentano, che si rincorrono tra balletti sul ring e fama.
Clemente Russo e Roberto Cammarelle hanno vinto le semifinali di
pugilato e combatteranno per l’oro e un traguardo storico: non ci
giochiamo la prima piazza olimpica da Seul 88 con Parisi nei pesi
piuma e dal 60 addirittura quella dei massimi.

Uno dei momenti
clou della giornata arriva nel primo pomeriggio, perché è
il turno di Clemente Russo, peso massimo, da Marcianise, appassionato
di cavalli, in odore di professionismo ammericano. Parole, battute,
un diluvio di personalità, ritratti di strada, di vita. Lui è
uno che ha iniziato a fare il pugile, perché si era stufato di
stare al bar e non fare niente. Si era stufato di aspettare. Una
tempesta di sensazioni forti è riservata al di fuori dal ring,
perché dentro Tatanka – il bisonte dei Lakota Sioux,
soprannome datogli dal suo maestro dopo aver visto Balla coi Lupi – è
uno scienziato romantico e preciso e sembra avere tutto il tempo del
mondo per sferrare i colpi. Guarda un punto là in fondo che a
cercarlo ti perdi i ganci che dà all’avversario. Scruta quello
sfondo, come ci fosse uno schermo per assistere al suo film
personale: Tatanka si immagina di vincere e come farlo. Poi durante
il match insegue il sogno, eseguendone le note.

Ha una musica tutta
sua e quando Damiani nei break gli dice di darsi una mossa, proprio a
lui, l’incontenibile, Russo annuisce, ma sembra non sentire. Perché
ha già tutto chiaro in testa.
Ieri pomeriggio davanti aveva
Deontay Wilder, statunitense. Un lungagnone, di quelli che non si
capisce se sono goffi e macchinosi, o sono i finti gatti di marmo,
quelli che stanno lì, rimbalzano per terra ma da un momento
all’altro sembra possano fare male. Ma Tatanka è più
forte e lo sanno tutti e due. Russo lo studia, poi con un gancio
destro va in vantaggio. Un tonfo che lo sentono anche a Tian’anmen,
che significa mettere l’incontro sui binari giusti, perché
l’italiano non è uno che si fa prendere tanto facilmente. Per
scuotere la sua concentrazione potrebbe passare anche un treno in
corsa sul ring: non se ne accorgerebbe. Comincia allora la danza e
poi centimetro per centimetro accorcia la distanza e va a vincere.
Come si era immaginato la sera precedente, prima di dormire. A quel
punto diventa il Tatanka che conosciamo: balla, abbassa la guardia,
scherza un po’ con l’avversario, colpisce ancora. Perché
quando sente aria di vittoria Russo perde l’aplomb e diventa lo spot
per la boxe: non picchia, ma colpisce, si diverte e quasi sembra di
vederlo ridere sotto il caschetto. 7-1, il finale. Dopo il match
Damiani racchiude il suo pugile in poche parole: «quando questo
inizia a boxare, non ce n’è per nessuno». Infatti è
il favorito, lui a Chicago nel 2007 è diventato il campione
del mondo, ed è pronto a portare la medaglia alla ministro
Meloni di An. Dopo essersi dichiarato di destra, non ha esitato a
bacchettare la Meloni per la richiesta agli atleti di non sfilare
alla cerimonia inaugurale. Russo non ha gradito e non l’ha mandato a
dire: «i politici devono fare i politici, e io sono qui per
fare sport. E poi come posso essere contro la Cina se neanche la
conosco?» Oggi si gioca l’oro: per ora solo lui sa come
finirà.

Roberto Cammarelle voleva Zhang Zhilei in finale.
Voleva il cinese in Cina e lo avrà. La folla locale lasciava
il palazzetto, dopo che l’eroe di casa aveva ottenuto la finale per
il ritiro dell’ucraino Glazko, mentre Cammarelle, da Cinisiello
Balsamo, saliva sul ring. Sguardo tranquillo, sembrava uno che avesse
da sbrigare una faccenda e poi tornare a cose più serie. O
forse era lo sguardo di chi ha presente i sacrifici, complici due
operazioni alla schiena, per arrivare su quel ring a Pechino. Damiani
appariva tranquillo: dopo una semifinale così così
sembrava essere certo che Cammarelle avrebbe reagito. Davanti
all’italiano c’era inchiodato al suolo un inglese, Price, che con i
giornalisti dopo il match aveva l’aria di chi non aveva capito niente
di quanto successo. Cammarelle ha fatto quello che pare sappia fare
meglio: è stato veloce con la testa e pesante con la mano.
Alla seconda ripresa il match sembra non avere più storia,
quando un destro sinistro di Cammarelle butta alle corde l’inglese.
Conteggio e fine.

D’altronde con il cinese che ha riposato,
Cammarelle non poteva stare a perdere troppo tempo. Ha esultato in un
modo che definire composto carica di leggerezza un sorriso appena
accennato. E’ il capitano, campione del mondo dei super massimi e
sente l’oro olimpico lì vicino. Nel palazzetto si celebra
l’italiano, con la voce di Nada.
Le due vittorie sono state
annunciate da una sconfitta: il primo pugile italiano della giornata
è l’unico che perde. Vincenzo Picardi esce dal ring con le
vene azzurre ancora in ebollizione, ma ha lo sguardo tranquillo di
chi sa di avere incontrato uno più forte. Ha perso 7-1 contro
il thailandese di 33 anni Jongjohor, vice campione del mondo in
carica della categoria. Picardi sorride perché negli occhi e
nelle gambe ha già la certezza di avere imparato qualcosa. Le
braccia lunghe del thailandese lo tenevano distante, a lui che ama
avvicinarsi e colpire, ma va bene così. Ha dato tutto e per un
pugile non c’è niente di meglio. Esperienza, ghigna il ct
Francesco Damiani. E quella non la vendono e non la si impara nel
cortile di casa: bisogna andare a farsela prendendo scoppole in giro
per il mondo e mettendo astuzie e colpi in cascina, +a fare legna per
quando il favorito sarà lui. [da il manifesto]

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[Olympics_in_breve] Trappolone o biscottone

Consigliando
A Natural Disaster dal blog di muzik, stavo pensando a sta cosa del
Dalai Lama. Che pare essere caduto in un trappolone mediatico, dopo
aver detto e smentito di spari e numeri di morti. Non sto a menarla
perché Sisci spiega tutto bene, anche se nutro dubbi su questa
caduta di attenzione di quel furbacchione del Dalai Lama. Il giornale
che avrebbe scritto cose non dichiarate è Le Monde.

Mesto solenne si diffonde un canto
gracchiato da un altoparlante
vespo tra mare e monte in Cilento
piazza repubblicana
lapidi ai patrioti sui muri delle case
Ah! Le Monde! m’incanta il mondo.
M’incatena.

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