Skip to content


Le lunghe estati del calcio

Breve retrospettiva su cent'anni di vizi del football italiano

Pastette, combine, arbitri comprati, giocatori venduti, calci d'angolo diventati gol, plusvalenze e bilanci contraffatti, anzi creativi, scommesse, doping, diritti televisivi, calciopoli. La storia, anche quella del calcio, disegna traiettorie a seconda dell'impostazione con cui la si legge. Magnifiche squadre, grandi successi, mirabolanti interpreti, aneddoti succosi, nuove regole, oppure magagne, scandali, mutazione del «prodotto». Dipende da cosa si guarda, da cosa si cerca.

Dal lato affaristico delle cose, calciopoli ha saputo unire il vecchio vizio del calcio (l'aggiustamento delle partite, gli arbitri, le scommesse), con gli elementi nuovi emersi negli ultimi trent'anni, la comunicazione, l'importanza dell'immagine, ma anche lo scopo di lucro: da qui l'interessamento nello scandalo di banche, società di procuratori e professionisti della comunicazione, i giornalisti. Non è un caso che Moggi considerasse importante influire tanto sulle griglie arbitrali, quanto sui giornalisti e commentatori tv: la compensazione creata dall'imbonimento dell'opinione pubblica è fondamentale per i propri giochetti, specie se si è in borsa, dove contano le promesse, non quello che si combina davvero, dove conta più un articolo che dica che i bilanci sono a posto, perfetti, piuttosto che un gol di Trezeguet: sono tutte aspettative, un mondo parallelo e la sua rappresentazione nell'immaginario collettivo.

La storia del calcio in Italia può essere così divisa in fasi che ne rievocano i fasti «internazionali» o in periodi in cui ogni trasformazione portava con sé il suo scandalo: dopo la fase pionieristica in cui le prepotenze dipendevano dal «rango» storico della squadra, un passaggio rilevante avvenne dopo la prima guerra mondiale. Le regole con le quali Vittorio Pozzo, vero deus ex machina del periodo, nel primo dopoguerra concepì il campionato italiano furono il primo scossone «economico». I criteri per l'ammissione erano infatti i seguenti: «il valore tecnico al momento, l'anzianità, la saldezza finanziaria: è chiaro che dietro una simile impostazione del problema organizzativo c'è una realtà economica, che non è più né romantica, né dilettantistica» (A. Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Einaudi).

Fu scisma: i ricchi con la propria Confederazione Calcistica Italiana e il campionato della Figc, vinto dalla Novese. Nel 1922 la separazione rientrò con una mediazione che portò il campionato italiano a 36 squadre divise in tre gironi. Inizia la fase del «professionismo imperfetto» e finisce quella del gentleman- amateur (Storia sociale del calcio in Italia, Il Mulino).

Ancora di più il calcio cambia dal 24 gennaio 1954 quando la partita Italia Egitto fu per la prima volta «diretta» televisiva con Carosio telecronista: la televisione chiuderà la sua fase pionieristica e di assestamento sul calcio con i primi collegamenti ad effetto dai campi: è durante un Novantesimo Minuto del 1980 che Galeazzi mostrerà le immagini dei calciatori arrestati sul terreno di gioco da polizia e carabinieri. Calcioscommesse, mundial vinto (i sospetti sul Camerun nascosti per amore di patria), amnistia, ma il calcio non è più lo stesso: la vittoria in Spagna è un volano di comunicazione e sponsor. Lo capisce un imprenditore che tra una costruzione e l'altra, «aggiusta televisioni». L'ingresso nel mondo del calcio di Silvio Berlusconi, nel 1986, rappresenta simbolicamente (anche per il recupero del Milan sull'orlo del tracollo) un altro passaggio che acuì di molto l'importanza della comunicazione e del marketing, modificando gli assetti radio televisivi e anche quelli impliciti del calcio. Il governo di centro sinistra poi, nel 1996, fece la sua parte: un decreto tramutato in legge (586) trasformava le società di calcio in società con fini di lucro. Giraudo e Galliani avevano vinto. Tutti insieme appassionatamente (S. Napolitano – M. Liguori, Il pallone nel burrone, Editori Riuniti).

Il passaggio era compiuto, il calcio non è più un prodotto in sé, con i suoi difetti strutturali, ma uno strumento attraverso il quale vendere il reale prodotto: le persone sul divano che guardano in tivù le partite. La gara è semplicemente un espediente che gli sponsor hanno consacrato al proprio target di tifosi a casa. La dice lunga il fatto che in cinquant'anni l'impatto degli incassi (gli spettatori vivi) è divenuta una minima parte del bilancio delle società: «nel giro di un trentennio il campo colorato costituito dalla casacca del club ha subito una colonizzazione sfrenata per fare spazio al logo del cosiddetto sponsor tecnico» (Pippo Russo, L'invasione dell'ultracalcio, Ombre Corte). Calciopoli, in questo senso altro non è che uno scossone di fine ciclo, dal quale rinascerà una nuova geopolitica e socialità del calcio.

Del resto il leit motiv degli ultimi anni di vita degli organi istituzionali del calcio (lega e federazione) è stato quello della divisione tra piccoli e grandi. Già da quel conflitto ne uscirono vincitori i grandi, con la riforma Pozzo: «fatalmente si andava profilando in Italia l'egemonia delle squadre più ricche» (G. Brera, Storia critica del calcio italiano, Bompiani)

E viene fuori il primo pasticcio risonante per l'epoca, addirittura in occasione di un derby Torino-Juventus, nel 1927, vinto dai granata: revoca dello scudetto al Toro e Allemandi, il giocatore della Juve sospettato di essere stato «comprato», squalificato a vita, poi amnistiato per il matrimonio di Umberto Savoia.

Niente a che vedere con il passaggio, nel secondo dopoguerra, al calcio definitivamente moderno, ovvero affaristico: nel 1946 parte il totocalcio che passa nelle mani del coni nel 1948 e che progredisce con la famosa legge del fifty-fifty a sancire la parità tra stato e coni nel dividersi il montepremi, sempre più alto, come il prezzo della schedina: il coni si arricchisce, così come lo stato, il football è consacrato come un affare per tutti.

Il calcio doveva però superare la seconda guerra mondiale, con intere generazioni di calciatori scomparsi: in Italia si scelsero gli ingaggi, le spese folli e la caccia agli stranieri, si diede vita ad una concorrenza tra i club mal gestita dai potenti dell'epoca. Ogni estate uno scandalo: celebre nel 1953 quello del Catania. Nel 1957 si ha una situazione più simile a quella di oggi: tra i consiglieri della Lega figuravano Agnelli, Moratti e Rizzoli: Juventus, Inter e Milan. Altri scandali su partite aggiustate e giocatori coinvolti. Moratti, l'Inter di Herrera, alla stregua, come potere calcistico, dell'ultima Juventus.

Si crearono le prime società azionarie, sancite nel 1967, con il danno di avere le «grandi» a controllare anche le «piccole», quando iniziò l'epoca di Artemio Franchi alla federazione, che pure fu una buona presidenza, dopo i disastri del fascismo e del secondo dopoguerra, con protagonista un altro «poltronissimo», Giuseppe Pasquale. Il debito delle società calcistiche inizia in questi anni, mentre le estati si passavano tra ricorsi e sentenze dei vari organi di giustizia sportiva e richieste continue di prestiti, ché le banche allora non erano meno consenzienti di adesso, con il mischione tra calcio, politica e banca molto simile ad oggi. Poi il Mondiale e vent'anni di «sospetti» e follia imprenditoriale oltre che calcistica (O. Beha – A. Di Caro, Indagine sul calcio, Rizzoli).

L'elenco sterminato di episodi su cui effettuare «indagini» è talmente vasto e intrecciato con il mondo della finanza e dell'economia, da non distinguere più le pratiche dell'uno dall'altro e le intercettazioni lo hanno dimostrato. Come del resto è vero che molto, lo si sapeva e lo si sospettava già. L'entrata in borsa di Lazio, Juventus e Roma rappresenta l'apice, un risultato di fase, di un mutamento iniziato nel secondo dopoguerra e che ha seguito, indubbiamente, le vicende socio economiche del paese. Un'economia «relazionale» che nel corso di anni ha creato legami e intrecci che sono proseguiti nel corso del tempo: lo dimostra la biografia dei personaggi coinvolti in calciopoli, con anni di presidenze, vice presidenze o ruoli di prestigio tra calcio, finanza, politica.

Perfino chi è chiamato a districarsi nel difficile ruolo di «riformare» il calcio non è esente da queste relazioni: Guido Rossi, il commissario figc chiamato da Prodi è ricordato soprattutto per la sua presidenza alla Consob. In realtà l'avvocato Rossi è molto di più: eletto come indipendente di sinistra in Senato dal 1987 al 1992, non è uomo senza contatti con il mondo del calcio, essendo stato consulente per la banca olandese Abn Amro, nonché avvocato nel 2003 di Cesare Geronzi (Capitalia) e consigliere d'amministrazione dell'Inter. Capitalia, la creazione di Geronzi, cui principale azionista era proprio l'Abn Amro è considerata la banca del calcio: nel patto di sindacato, si notano anche Pirelli e Fininvest (www.capitalia.it) e non sono poche le operazioni che ha gestito con le società di calcio. Dopo di lui Pancalli, volto pulito dello sport, ma dato per vicino agli ambienti carrariani. Il vecchio lupo di calcio, Franco Carraro, non può che essere impressionato dalla mole di soldi che potrebbe fare con euro2012 in Italia. Sommovimenti e l'elezione di Matarrese alla presidenza della Lega Calcio testimonia della forza conservativa del mondo del calcio italiano: calciopoli rischia già di diventare un «aneddoto» nei nuovi fantastici racconti del calcio giocato, dal quale dipendono troppe bocche. La folle corsa verso un calcio a porte chiuse, non può fermarsi.

Posted in General.