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E vabbé. Questa è reality fiction, il cavallo di
battaglia di Blackswift. Per l'occasione la firma è, in onore
delle S.H.E. che hanno riscosso grande successo, Dian Guang
Blackswift, il mio socio cooperante a distanza è d'accordo nel tributo. Ah grazie
alieno, anche per la segnalazione…:-) e pure al tipo che ha
giustamente notato come il mio socio sia italianissimo (buh) e come
invece nella sigla di Blackswift scorra l'internazionalismo
attraverso il sangue armeno, il mio…ok. Saluti anche a cla e al suo noblogs granata…
Reality Fiction,
trasposizione del reale nel fantastico, nell'invenzione, in qualcosa
che poteva succedere, o che magari è accaduto ma non
esattamente così, o che ancora si sarebbe voluto potesse
accadere…E per oggi ho consumato tutta la consecutio di cui
dispongo. Alleluja. Butto su subito la prima parte…e poi anche la
seconda eccheccazzo prossimi giorni non so se avrò tempo e poi soundtrack…:-***
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La
ragazza è senza nome e porta una gonna corta e larga bianca.
Va di moda a Shanghai, a Beijing è un lusso, una specie di
avanguardia. Si guarda in giro, l'uomo la stava seguendo, ma è
entrata in una zona fatta di viuzze strette, tra vecchie case di
pietra, ancora lucide, ma in cui il passare degli anni si può
ancora toccare, specie allungando furtivamente le mani sui portoni
leggermente aperti. Panni stesi, vapori, odore di cibo. Probabilmente
l'uomo ha deciso di starle più a distanza, hanno molti modi
per pedinare la gente, questo sembra fare il proprio lavoro con
metodo. Fa troppo caldo, all'una a Beijing il caldo ti asciuga le
ossa, talmente è secco e assordante il calore del sole. Ma
almeno si vede, il sole. Avrebbe bisogno di guardarsi allo specchio,
contemplare la propria pelle, è preoccupata di avere le
occhiaie e invece vorrebbe essere scintillante come nelle notti
migliori di Shanghai. E sente le proprie labbra screpolate, ma non
ha tempo di usare il suo burro di cacao, le sue creme per le mani e
per il viso, deve agire e ragionare in fretta.Osserva
qualche turista, chiede un'informazione a una vecchia signora che
trova indaffarata a scendere da una bicicletta che sta in piedi per
miracolo. La ragazza pensa che gli abitanti di Beijing siano quasi
provinciali nella loro vita calma, nelle loro passeggiate languide e
nelle loro stanche letture dei giornali inseriti nei grandi
espositori per strada, nei parchi, nelle piazze. Non capisce il gusto
di leggere di politica. Non capisce cosa abbiano da capire. Specie
quando la loro città cambia ogni giorno, sotto i colpi delle
gru e dei martelli che spaccano le pietre dei marciapiedi, per
ridurne le dimensioni e aumentare il verde. La società
armoniosa deve essere più verde. Un cinese può essere
motivato solo dai soldi, non dall'ambiente.
La
donna, vecchia e vestita con dei larghi pantaloni porta ai piedi un
paio di ex ciabatte, ha lunghi baffi e rughe a solcare zigomi e
fronte, dopo anni di vento asciutto, mattina e sera, tutto quanto il
giorno, un'ora per mangiare un'ora per dormire. Indossa una camicia
sudicia e sfregandosi le mani sulla vita, le conferma che la zona
delle case vecchie riporta direttamente nella via parallela alla
Città Proibita. E' l'informazione che le serve. Prova a
superare diversi turisti, qualche ragazzo in bicicletta che
stancamente consuma un gelato, di quelli che vendono in Tien An Men,
quelli che è impossibile mangiarli senza sporcarsi, poi si
ferma un attimo. Cambia posizione alla propria borsa, le tira la
camicetta, nera, che attillata le stringe i fianchi, lo stomaco e
quel poco di seno che si ritrova. Le piacciono le camicie nere: anche
se sono sporche, non si vede.
Si
riporta sulla via principale, uno sguardo a destra, uno a sinistra.
Il poliziotto in borghese non c'è. In compenso una dozzina di
soldati percorrono la via a passo di marcia. Uno davanti, dieci
dietro, e uno in fondo a chiudere la fila. Sembrano talmente
concentrati che è sicura, certa, non costituiranno un problema
per lei. Riesce a immagazzinare una quantità di dati
impressionante, pensa sia una cosa genetica del suo popolo, come i
lunghi capelli lisci, fini e sottili e incandescenti al contatto e
riprende a camminare. Ha intenzione di circumnavigare l'area, ma ha
bisogno che trascorra qualche ora. E' troppo presto, caldo, afoso e
l'inseguitore è troppo vicino. Ha bisogno di un diversivo,
qualcosa che metta in difficoltà il suo strenuo uomo in
borghese. Quando ci si avvicina a certe zone, pensa, i mille
poliziotti si agitano, temono il peggio. Lei, invece, ha bisogno che
intuisca le sue intenzioni, che pensi sia una farabutta, ma non una
criminale. Meglio sgualdrina, che criminale. Ha fame, forse ha
bisogno di pranzare. Non ha fatto colazione, scesa dal treno si è
diretta in Tien An Men, aveva bisogno di capire per bene il flusso
dei turisti.
E'
stata la seconda volta che ha visto la piazza, la nostra piazza, le
viene da pensare. Non ha provato niente. Lei non sarebbe mai stata
una di quelle o di quelli che vanno in giro con il piccolo e unto
ritratto di Mao in macchina, pendente come un vecchio dio impiccato,
divenuto una superstizione, come se insieme a Servire il Popolo,
dicesse anche, E ricordati, guida con prudenza, il Popolo te ne sarà
grato. Non ha provato niente, neanche al pensiero della Città
Proibita. Niente, neanche un po' di interesse per una storia che non
le appartiene, lei è una di quelle che storia non ne ha, o è
talmente breve che basterebbe la prima pagina del libretto rosso per
racchiuderla tutta. La parola del Presidente, il Timoniere, Mao Ze
Dong, al Popolo Cinese. Fine.
Lei,
anche quella mattina in Tien An Men, ha visto solo fumo e un ragazzo
portato via, qualche tempo prima, nel piazzale della sua scuola. Lui
era tra una dozzina di poliziotti, inginocchiato e costretto a tenere
la testa alta per farsi guardare da tutti, mentre al centro si dava
vita al falò del male, droga bruciata, sogni infranti,
banalità quotidiana che ritorna. Poi il suo nome ha smesso di
esistere, dopo due giorni di condanna di giornali e dei loro stupidi
e folli dazibao. Oh c'è il suo nome sul giornale, le donne
andavano ripetendo nel vialetto del suo cortile, nel suo piccolo
villaggio. Le donne andavano e venivano parlando di Yu Hao. Potremo
mai superare l'onta, si chiedevano. Un condannato a morte, nella
nostra casa. Le donne andavano e venivano pregando il Cielo e
accarezzando i Leoni a protezione del Cortile.
Lei
è una delle poche persone che né durante la scuola
primaria, né durante quella secondaria, alla mattina, poco
prima dei consueti esercizi ginnici, ha mai alzato la bandiera della
Repubblica Popolare. Per uno scherzo del destino è nata il 30
settembre, esattamente un giorno prima del compleanno più
importante del continente, la data di nascita della Repubblica. Se è
vero che i numeri sono importanti, la sua vita era destinata al
fallimento. Mai avuto il privilegio di issare la bandiera rossa e di
essere, per qualche minuto, invidiata dai compagni di classe. I suoi
genitori erano molto preoccupati di questo. E ancora di più
quando il suo fidanzato è stato condannato a morte. Senza
futuro, senza speranza, vattene, non sei nostra figlia. Una delle
tante uniche figlie ripudiate con una scusa qualsiasi. Quando per il
padre e la madre è troppo tardi per pagare il Governo e avere
un altro figlio. Specie con il rischio che possa essere un'altra
inutile ragazza. Si era guardata i suoi capelli, e si era chiesta se
mai, quando sarebbero diventati bianchi e quando le pieghe dell'età
le avrebbero solcato le mani e i fianchi allargandoli, sarebbe mai
tornata lì. La risposta era un no, calmo e insipido, come la
pianta d'aglio, senza soia a condirla.
E
poi e poi, se ti scopri a ricordare,
Ti accorgerai che non te ne
importa niente.
E capirai che una sera o una stagione
Son come
lampi, luci accese e dopo spente.