Eh vabbè prima o poi bisognava farlo. Tra sport e processi genovesi mi diletto da un annetto e mezzo, forse, a solcare le pagine di uno dei quotidiani mainstream di sinistra. Non è Liberazione. Allora insomma lo sport mi piace e poi con tutti i difetti ho il ricordo di quando a 16 anni avevo quel giornale sempre in mano. E quindi sono vecchi retaggi, il ricordo delle litigate con il mio nonno picciastro, che smadonnava
ogni volta che riportavo le parole dei blasfemi eretici rinnegati, promesse, assensi ai racconti di staffette notturne nei boschi piemontesi, di imboscate di tedeschi, di martiri e Benedicte, e sacramenti e gotti di vino e fragole – e…mica ti saiè anarchic? Ou belin, nu ti saiè mica anche sandurian? – che mi fanno proseguire, nuove amicizie, per fortuna esiste la Libera Repubblica dello Sport e qualche alleato…:-) Poi uno cresce e discerne e insomma nonostante alterne, ma soprattutto interne – e se a Milano fischiano orecchie, proprio me ne fotto – alchimie maligne, insomma eccomi qua.
Fin dall'inizio del mio periodo chinao anche agli abbastanza compagni del mostro, dunque, avevo proposto simpatiche storielle cinesi. Esattamente un mese fa, come qualcuno probabilmente già sa, avevo notato la condanna a morte di Zheng Xiaoyu, il Male Assoluto cinese per quanto riguarda i controlli di qualità su tutti i simpatici prodottini che la China esporta nel mondo. Ma niente, boh non interessava forse. Due giorni fa il tipo è stato sparato a morte e insomma ne ha parlato perfino Repubblica, Corriere, La Stampa eh, bisogna rin-cor-re-re!
Quindi andiamo dietro alla notizia, parliamone. E allora incursione mainstream che vi ripropongo qui. Per una volta non ho usato il mio pseudonimo, ma il mio nome vero, beirut…socio al 50% di Blackswift…:-)
Corrotto: la Cina fucila il suo «uomo-qualità»
Pechino replica alla marea montante di scandali e scandaletti per i prodotti cinesi scadenti o dannosi: giustiziato Zheng Xiaoyu, capo dell'agenzia per la qualità di farmaci e alimenti
di S. Beirut
Zheng Xiaoyu è stato giustiziato ieri a Beijing. 63 anni, nato a Fuzhou, nel Fujian, laureato in biologia alla Fudan University e iscritto al partito comunista dal 1979, è stato il capo della Food & Drug Administration cinese dal 1998 al 2005. Era stato condannato a morte alla fine di maggio. L'accusa era di avere intascato tangenti per una cifra pari a 850 mila dollari circa, in cambio di un'approvazione senza gli adeguati controlli, tappandosi bocca naso e occhi, di sei diverse medicine, tra le quali un antibiotico che avrebbe causato la morte almeno di 10 persone, secondo le fonti giornalistiche e governative cinesi, 13 bambini a parere di osservatori occidentali. Zheng Xiaoyu, che godeva del rango di ministro, non proprio l'ultimo dei comunisti cinesi, in appello ha provato a difendersi chiedendo di rivedere il verdetto. La Corte Suprema del popolo, lo scorso 22 giugno, ha respinto le sue richieste confermando la sentenza per il «grave danno inflitto al popolo e al Paese». Giustiziato nel giorno in cui a Palermo, per guardarci in casa, la Coldiretti protesta contro le marche cinesi contraffatte. Per i cinesi invece poco importa: il risultato da portare a casa è che il Governo c'è, punisce i colpevoli e difende il popolo e il suo lavoro agli occhi del mondo.
La società armoniosa è attenta a tutto: ai simboli, da quando ancora non lo era, al tempismo di alcune iniziative, all'interesse nazionale e al suo decantato progresso economico, sempre. Lieve e confortevole agisce a ondate, di cui di volta in volta ne fanno le spese funzionari di alto rango, come era Zheng Xiaoyu. Il destino di ognuno è appeso sia alle correnti di partito, sia alle anomalie relazionali delle autorità amministrative di ogni singola città, protese tra meritocrazia spiccia, e necessità di arrotondare anche durante la seconda fatale ventata di boom economico. E Beijing, in quel senso brucia, come l'asfalto e i cantieri in attesa delle Olimpiadi del prossimo anno.
Zheng Xiaoyu diventa un nuovo simbolo, a doppia mandata: per i cinesi, ma anche per il mondo occidentale nella sua totalità, non solo per i Měi Guó, gli americani, così suscettibili su argomenti quali contraffazione, pirateria, e proprietà intellettuale.
Non è un caso che proprio dopo l'ennesimo scandalo di prodotti cinesi contraffatti, il Colgate nostrano, le autorità decidano di denunciare da un lato la necessità di provvedere a controlli più serrati e alla qualità della propria produzione, dall'altro a dare l'esempio di integrità morale condannando a morte proprio l'uomo che personificava tali negligenze. Corruzione, la giustificazione tattica, mettere le mani avanti, bloccare ogni possibile instabilità sociale, fornire di segnali inequivocabili il resto del mondo, la strategia.
Una strategia che ha la propria applicazione anche all'interno del territorio cinese, da terra di bassi costi, ora anche mercato che appare infinito. Piccoli white collars crescono. E con loro il potere di acquisto dello yuan, la moneta locale. Siamo la fabbrica del mondo, sussurra un businessman cinese, se miglioriamo in qualità non ce ne sarà per nessuno. E il nostro mercato è un test che non possiamo fallire. Dopo l'Apertura di Deng sembra affievolirsi il periodo della cuccagna per le società straniere. Da tempo il Governo cinese le tiene d'occhio, o nel mirino, lanciando con motti e sovvenzioni marche e prodotti locali. Brand stranieri così shining e ancora così appeal per i consumatori cinesi, come dimostra una ricerca del China National Commercial Information Centre. Europei e Americani ci sguazzano, e allora interviene il Governo. A marzo alcuni intraprendenti giornalisti del New Express si sono fatti assumere part time dai locali McDonald e Kentucky Fried Chicken. Avendo piena libertà a tirare fuori le magagne dei Dollaroni stranieri, hanno scatenato il putiferio: le paghe erano addirittura sotto il minimo stabilito dalla legge. Orari lunghi e stipendi da fame nera, tra i 4 e i 6 yuan all’ora (circa 50 centesimi di euro). McScandal titolarono i giornali cinesi.
Anche per la francese Danone il mercato cinese sta cominciando a diventare ostico, qualcuno giura sia finito il suo tempo in Cina: a maggio le bottiglie d'acqua Evian sono state bloccate per controlli sanitari. Ma ancora più clamorosa è la vicenda legale che la vede protagonista in Cina contro la Wahaha. Ovvero la società cinese della Danone. Un controsenso, retto dall'accusa nei confronti della società cinese, di vendere succhi e prodotti uguali a quelli della Danone. Altre grosse multinazionali, rispetto a questa nuova ondata di scetticismo o bastoni tra le ruote, si muovono in maniera decisamente diversa e prendono le precauzioni necessarie. In China si chiamano come in Italia, guanxi, i ganci: basta inserire nel board una società governativa cinese e non si avranno problemi. Almeno fino a che non cambierà l'aria.