E
vabbè come ogni anno arriva il 20 luglio e per chi ha seguito
nel corso degli anni i processi legati al G8, diventa una sorta di
Santa Rosalia perpetua. Quando sono tornato dalla China alcuni
“compagne e compagni” mi hanno detto, “Ei minchia di Genova
finalmente se ne sono accorti! De Gennaro, i poliziotti eccetera”.
E io, "si certo, peccato che a rischiare il culo sono i 25 cristi
sotto processo per devastazione e saccheggio". Risposta: sguardi
vaghi, increduli, ehh?? Cioè?? Stuporone…Insomma nel marasma mediatico che ha suggerito
riflessioni macropolitiche e superintellectual dopo la vicenda
Fournier, Colucci, De Gennaro, ecco la rimozione del processo più
importante in corso a Genova, dove a rischiare il culo (dagli 8 ai 15
anni di condanna…) sono 25 persone tra le quali poteva esserci
chiunque sia stato a Genova in quei giorni. Non che gli altri siano meno interessanti, ma a mandare in galera la gente a me non interessa, neanche nel caso di poliziotti. I processi Diaz, soprattutto, e Bolzaneto sono serviti per svelare molto sul G8 e per non fare sentire soli i ragazzi e le ragazze vittime di quegli eventi. Ma, nel silenzio generale,
saranno i 25 "cattivi" a pagare per tutt*. Alla faccia di chi su quelle giornate si è costruito la sua bella carriera politica, in serie A e nel piccolo mondo antico e unto del movimento.
Il
G8 raccontato in aula tra violenze e assoluzioni
Per
sei anni ha aleggiato tra indagini, processi e chiacchiericci,
articoli di giornali, opinioni durante le mille serate seguite ai
fatti di Genova. Poi l'ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, tra
molotov sparite e reticenze dei suoi uomini, è finalmente
ricomparso sulla scena, da indagato, sollevando polveroni mediatici e
politici, compresa la sua sostituzione dopo sette anni da capo,
con giri di nomine che neanche un monarca.
Ma
a sei anni dai fatti del G8 non è De Gennaro, né altri
dirigenti di polizia sotto processo, a rischiare di più. Chi
nel 2008 potrebbe ritrovarsi tra capo e collo una condanna,
potenzialmente dagli 8 ai 15 anni, sono i 25 manifestanti accusati di
devastazione e saccheggio per i fatti accaduti a Genova. Il
primo processo a iniziare, il primo, forse, a finire. Migliaia di ore
di video, di foto, centinaia di testi, cinque udienze chieste dalla
Procura per la requisitoria. Numeri da capogiro, come gli anni che
rischiano i manifestanti, all'epoca dei fatti appartenenti alle più
diverse aree politiche. Un processo nel quale ognuno delle migliaia
di partecipanti al G8 poteva ritrovarsi. Per l'accusa infatti, è
bastato aver compartecipato, guardando e non facendo niente,
trovandosi lì per caso o meno, durante gli scontri, per essere
responsabile di devastazione e saccheggio. Compartecipazione
psichica, la giurisprudenza avanza.
Il
processo contro i 25 manifestanti è stato anche il
procedimento nel quale, prima di ogni altro, la famosa, e ormai
tristemente nota, catena di comando delle forze dell'ordine a Genova
ha vacillato. Carabinieri che in autonomia hanno caricato spezzoni
autorizzati, poliziotti alle prese con fantozziane comunicazioni via
radio per fermarli, accordi saltati, capitani negligenti, maggiori
Rambo. E' nel processo ai 25 che si è svelato per la prima
volta pubblicamente l'uso delle spranghe durante la madre di tutte le
cariche, quella al corteo di Tolemaide, regolarmente autorizzato e
tagliato in due dallo sciagurato attacco dei carabinieri: da lì
in un drammatico effetto domino di pestaggi, arrembaggi, camionette
in libertà, si sarebbe arrivati qualche ora dopo alla
disorganizzazione perfetta di piazza Alimonda. Un altro squarcio
aperto dal processo ai 25, sull'omicidio di Carlo, archiviato, nessun
processo, nessuna verità pubblica, con Placanica a conquistare
l'audience dei media a inizio anno: non ho sparato io, non ricordo,
mi hanno lasciato solo, forse, chi sa parli. Poi silenzio o troppe
poche parole quando richiamato in aula.
Genova
ebbe quattro tempi diversi: le botte in piazza, per strada, le
umiliazioni e le torture a Bolzaneto, il piano di rientro (fare
arresti) nella mattanza della Diaz, la declinazione nazionale dei
fatti, con l'accusa di associazione sovversiva per il sud ribelle
cosentino. Tra
le botte in piazza le telecamere di allora inchiodarono alcuni uomini
della Digos a pestare ragazzini seduti per terra: saranno i primi
poliziotti ad essere condannati. Tra loro Perugini, imputato anche
per Bolzaneto, allora vice capo della Digos. Uno di loro, De Rosa, ha
scelto il rito abbreviato ed è uscito di scena con una
condanna a un anno e otto mesi, per lesioni. Proprio
il procedimento per le violenze subite dai manifestanti nella caserma
temporanea di Bolzaneto, 45 tra poliziotti, carabinieri, polizia
penitenziaria e personale medico sotto processo, ha visto sfilare nel
corso degli ultimi due anni quasi tutte le vittime, che hanno svelato
alcune atrocità di cui in pochi si sono accorti: minacce di
stupro, umiliazioni, vessazioni, torture. La parola che nessuno osava
citare, tortura, è venuta fuori proprio nella memoria
dei pm. Nel processo Bolzaneto, riconoscimenti certi, prove
tangibili, ma il mainstream non si è mosso: troppi pesci
piccoli, nessun grande nome, il fatto è come non fosse mai
accaduto. O forse troppa violenza, da non sembrare vera.
Sull'operazione
che avrebbe dovuto rivalutare l'operato della Polizia italiana
durante le giornate del G8, ovvero l'irruzione alla Diaz, si è
già detto e scritto molto. La polizia italiana a processo,
accuse di lesioni per i Canterini boys, accuse di falso e calunnia
per i mobilieri, Gratteri allora capo dello Sco e Calderozzi,
suo vice, in testa. La prima parte del processo ha avuto poca eco: si
parlava di botte, di pestaggi, ma erano tutte parole uscite dalla
bocca di vittime, su cui aleggiava ancora la terribile accusa, della
polizia e non solo, di essere dei temibili black bloc. Ci voleva un
poliziotto, Fournier, vice di Canterini, per ricordare la mattanza,
macelleria messicana e via ai termini ad effetto. Ma il nucleo
del processo sarebbe arrivato solo a inizio di quest'anno. Era il
momento delle molotov. Le due bottiglie incendiarie, suprema prova,
per la polizia, per giustificare l'irruzione, un falso, per la
Procura genovese, per giustificare un'azione dai risultati
sconcertanti.
Ma
le molotov, nel momento in cui avrebbero dovuto fare la propria
comparsa nell'aula di tribunale, affinché venissero
riconosciute come le stesse bottiglie trovate nel pomeriggio del 21
in un'aiuola di corso Italia, spariscono, non si trovano. Distrutte,
perse, trafugate. Parte un'inchiesta e si arriva ai giorni nostri.
Colucci, ex questore ai tempi del G8, si inventa qualcosa di
inimmaginabile, Zucca, pm scrupoloso e martello pneumatico, non si
ferma e si arriva a lui, De Gennaro, il grande vecchio che aleggiava
da anni sui fatti del G8. Ma il conflitto interno alla Polizia che si
consumò in quella notte, non sembra essersi ancora sedato.
Infine
Cosenza, il Sud Ribelle, l'associazione sovversiva. Un processo
basato su telefonate, mail, arabeschi procedurali, testi insipidi e
una Procura, quella calabrese, unica in Italia a raccogliere il
teorema dell'associazione sovversiva e finita, qualche giorno fa,
nell'occhio del ciclone dopo le rivelazione del quotidiano La
Provincia Cosentina.
Quattro
grandi processi per riscrivere quei giorni: forse la prima debolezza
del dopo Genova, il primo risultato ottenuto da chi represse quelle
giornate di protesta, è dovere attendere esiti processuali per
scrivere una storia, che, invece, apparterrebbe e andrebbe scritta
dalle centinaia di migliaia di sovversivi che riempirono il
capoluogo ligure durante quelle giornate che segnarono un'intera
generazione. La generazione di Genova.
Hello,
hello…
I'm at a place called Vertigo (dónde estás?)
It’s
everything I wish I didn’t know
But you give me something…
I
can feel, feel