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[Sarpi – Shanghai – Sarpi] Yao Ming

E
vabbè ultimo, forse, post chinao, prima di sparare su il
racconto dell'estate alla Visto o Grandhotel di Blackswift e chiudere
per vacanza…Yao Ming è l'idolo indiscusso della movida
cinese: 2 metri e 29, campione di basket. NBA. In China il basket è
lo sport più seguito. In tivù ci sono continuamente
sfide tra ragazzetti che fanno tiri liberi, da tre e poi gran finale
con sfida di break dance, bah.

Yao Ming è dappertutto, specie a
Shanghai. Nacque lì. Ma la sua straordinaria fama ultimamente
ha roso alcuni dei suoi privilegi. Impegnato nei preparativi per il
suo matrimonio, pare abbia snobbato la nazionale di basket cinese
(mentre quella olimpica calcistica faceva da sparring partner alle
nostrane Inter e Juventus, interrompendo addirittura la gara coi
gobbi a causa di uno striscione comparso pro Tibet, apparso sugli
spalti…). Giulio ci ha preso gusto. Me lo immaginavo a bere un
caffè con l'altissimo, stimarne la lunghezza delle dita e
cercare di capire se anche lui ha le unghie lunghe come molti dei
cinesi. E chiedersi, nel caso la risposta fosse si, come può agganciare il pallone con le mani con unghie così lunghe. Ma sarà occidentalizzato, altro che. Unghie corte, rosicchiate, mani come badili edili. O più probabilmente, Gliulio, anziché intervistare yao Ming era intento a cercare omini di marzapane nelle
vetrine dei negozietti shanghaiesi di dolciumi, chiedendo qua e là cosa pensano i cinesi di sto gigante. E poi ci romanza, che altro non sa fare.

Yao Ming, gigante in crisi

Il
12 settembre 1980, a Shanghai, Yao Zhiyuan e Fang Fengdinon non si
erano sicuramente prefigurati con precisione il futuro del proprio
figlio. Lo avranno auspicato speciale, radioso, ma soprattutto
stabile, come accade in occasione della nascita di un figlio. Unico
erede, maschio. Ottima fortuna per chi decide di rispettare la legge
del figlio unico. Ancora più grande quando il bambino cresce,
fino ad arrivare a 2,29 metri di altezza, per 134 chilogrammi.
Immensa quando il ragazzo, Yáo Míng, dopo le stagioni
negli Shanghai Sharks, diventa una stella dell'NBA made in Usa, gli
amati odiati rivali nella geopolitica mondiale. Storica diventa la
nascita quando, oltre a diventare uno dei giocatori di basket più
famosi al mondo, Yáo Míng assurge al ruolo di idolo
assoluto per un intero continente, quello cinese. Maglia numero
undici, Houston Rocket e onore anche per la nazionale.

Un
mito intoccabile per tutti. Tranne per il Potere i cui gangli, in
un'ondata di tripudio nazionalista sempre meno strisciante e sempre
più metabolizzata ennesimamente dalla società cinese,
arrivano ad abbattere qualsiasi mito. Così, nel giorno in cui
si riabilitava la vita e la carriera militare di un ex ripudiato, Lin
Piao, sempre affianco al Timoniere in quasi ogni manifesto dei giorni
in cui in Cina ribellarsi era giusto, la Federazione Sportiva Cinese
– in un impeto di non raro dirigismo – ha cazziato brutalmente e
per la prima volta in forma pubblica, proprio Yáo Míng.
Lui, l'eroe nazionale, la faccia della Cina nello sport che conta, il
volto che campeggia ovunque, specie a Shanghai. Orgoglio cittadino.

Il
torto di Yáo sarebbe stato quello di essersi attardato nei
preparativi del proprio matrimonio, giungendo così in ritardo
agli allenamenti della nazionale cinese di basket. Inammissibile,
specie a un anno dalle Olimpiadi. Perfino per lui. E Ye Li, 1e 90,
pivot, guarda caso, proprio della squadra femminile degli Shanghai
Sharks: è lei la sposa promessa, da sette anni nel cuore di
Yáo. Il 2 agosto le nozze, annunciate in grande stile a metà
di giugno da una radio shanghaiese.

«Non
importa quanto possa essere dolce la propria vita personale: non può
essere paragonata con la possibilità di ottenere la gloria per
un intero paese», diceva il sobrio, si fa per dire, articolo
del comitato olimpico cinese apparso su China Sports Daily. La
sua avventura americana inizialmente criticata in Cina, aggiungono i
cronisti di Shanghai Daily, è stata sopportata dalla
Federazione e dal Governo, proprio grazie al suo impegno profuso,
sempre, con la maglia della nazionale.

Infatti
il lungagnone cinese ha sempre volato basso, addirittura dando prova
di essere un grande cinese, un po' come un altro eroe della
rivoluzione, Lei Feng, quando aveva dato prova di altruismo,
rifiutando di essere l'atleta cinese destinato ad essere il
portabandiera proprio a Pechino. Ci sono atleti migliori di me, aveva
sussurrato. Gesto molto apprezzabile, di grande serietà,
umiltà, piedi per terra, testa sul canestro, cuore in Zhong
Guo.

Pivot
come la futura moglie, migliorato in attacco, è oggi uno degli
astri dell'NBA. Tanto da essere protagonista di un film, The Year
of the Yáo
, nel 2004. Disponibile a Shanghai in quasi ogni
bancarella dei dvd pirati (50 centesimi di euro se proprio non vi va
di negoziare) e lanciato da un sito in grande stile. C'è anche
il trailer – che si può vedere in tre diversi formati, small
size, normal size e Yáo size -in cui si evince la sinossi: un
inizio così così tra cadute, difficoltà
ambientali e pernacchie degli scafati giocatori americani, poi via
via l'apoteosi. Quest'anno qualche difficoltà, un lungo
infortunio, una mancanza forzata. Nei giorni dei play off a Shanghai
su ogni autobus, ascensore, ristorante, taxi e grande mall, sugli
schermi appoggiati a qualsiasi cosa, il suo volto passava di
continuo: in azione, a una serata di beneficenza, circondata da nasi
lunghi occidentali, assalito da fotografi.

Il
sito dei fan è visibilmente contrariato: «Yáo è
sempre stato fedele alla nazionale cinese, un grande lavoratore,
questi che lo criticano vivono in un'epoca del paese in cui forse era
consentito ledere la libertà personale, ma ora è
diverso». Insomma Yáo è difeso, mentre nessuna
parola è spesa sul suo sito ufficiale. Il gigante shanghaiese
non è l'unico giocatore cinese emigrato in NBA ad avere avuto
problemi con la Chinese Basket Association. Wang Zizhi, figlio
d'arte, pechinese, è stato il primo cinese a giocare nel
campionato Usa. Fece il gran rifiuto per la nazionale cinese e i suoi
rapporti con la federazione cominciarono a mettersi decisamente male.
Dopo l'esperienza statunitense ha dovuto attendere cinque anni per
tornare a giocare in China, in quanto «ingrato», solo
dopo aver chiesto scusa. Troppo poco armoniosa la gente così
alta. E così importante all'estero.

Giulio
Abbadie

Posted in Zú Qiú.