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[Milano 11 marzo] Le parole delle difese, le sentenze dei giudici

Fu
nelle notti insonni vegliate al lume del rancore
che preparai gli
esami, diventai procuratore,
per imboccare la strada che dalle
panche di una cattedrale
porta alla sacrestia quindi alla cattedra
di un tribunale:
giudice finalmente, arbitro in terra del bene e
del male.

Hanno
ragione gli avvocati degli imputati dell'11 marzo. Se un pm o un
giudice scrive, o dice, che gli imputati avevano “in spregio” la
vita umana, tutti colgono la frase balzana e ci fanno i titoli dei
giornali. Se un avvocato argomenta argutamente e con tanto di
ricerche storiografiche e giuridiche un argomento, a meno non si
chiami Taormina o Buongiorno, non trova spazio manco nelle “brevi”
di un qualsiasi quotidiano nazionale. Ancora di più quando si
parla di 11 marzo a Milano.

Oggi a Milano si è svolta la seconda udienza di appello per il processo (e sul termine "processo" si aprono le prime voragini di interrogativi) relativo ai fatti dell'11 marzo a Milano. Partiamo
dal primo punto: la sentenza non è piaciuta neanche al
sostituto procuratore. Una sentenza raffazzonata, ambigua, basata su
un'indagine, del pm Basilone, svogliata, confusa e contraddittoria
(basti pensare ai verbali di arresto copiati e incollati, perfino con
gli errori). Delle due l'una: o la Procura (e le forze dell'ordine) e
i giudici non ne avevano voglia o, come più probabile, sono
finiti testa gambe e piedi nel burrone pregiudiziale mediatico
creatosi in quei giorni.

Le
difese oggi hanno smascherato gran parte delle debolezze della
sentenza di primo grado, ma più ancora l'intero impianto
accusatorio. Non la sto a menare con l'assurdità di affibbiare
il 419 (devastazione e saccheggio) per venti minuti di confusione “in
venti metri quadrati”, come ebbe a dire lo stesso pg. Il
legislatore, quando decise per pene così alte, dagli 8 ai 15
anni, evidentemente non pensava a Buenos Aires e quanto accaduto. Basti pensare che per il reato di insurrezione armata, si è pensato a pene dai 3 ai 15 anni. Su
questo è talmente palese la discrepanza tra atto e pena, che
se fossimo in un paese serio perfino i giudici, per una volta, si
metterebbero a ridere. Come è altrettanto palese la necessità di un cambiamento di un codice vecchio, vetusto, anacronistico e classista. Allora la procura e la corte di primo grado è
andata ad esclusione. Va bene, hanno detto, c'è il concorso
materiale.

E
qui veniamo al cuore della questione: se, come insegnano nelle
scuole, più indizi non fanno una prova, si può
affermare che prove in questo caso non ce ne sono. Tanti danneggiamenti non fanno una devastazione, altrimenti 3 furti, diventerebbero saccheggio. Questo è buon senso, prima ancora che giusrisprudenza. Ci dovrebbero
poi spiegare, i giudici, perché hanno archiviato chi non era stato
ripreso e fotografato (e va bene) e condannato chi invece è
stato ripreso e fotografato. Proprio frame e foto non dimostrano mai
la partecipazione diretta ai danneggiamenti, anzi costituiscono una prova di come gli imputati non abbiano partecipato a niente di che, figurarsi una devastazione e saccheggio..

Va
bene, disse la procura, se non ci fosse concorso materiale, c'è
quello morale!

Certo.
Come fanno a dire che chi è ripreso nelle foto ha partecipato
moralmente, quando si vede la persona di spalle al casino, o in
procinto di andarsene? O quando si può ben notare che mai è
ripreso o fotografato nell'atto di danneggiare? Mistero della fede. Ma
soprattutto: se le forze dell'ordine – che sono pagate per questo-
non hanno ravvisato le intenzioni di devastare Buenos Aires (perché
per altro? Altro mistero), come poteva saperlo chi si è
trovato lì per lì nella via? Allora anche le forze
dell'ordine sono in concorso morale, perché la prima carica si
ferma e quando poi intervengono ci mettono circa un nanosecondo a
sgomberare l'area.

Infine
il passaggio cruciale: cosa c'è dietro l'11 marzo? E
qui la parola è a Pelazza, che conclude con tanto di applauso
del pubblico che sgorga dallo stomaco e dalla pancia, prima ancora
che dalla testa: “è pacifico e sicuro che c'è un
illecito a monte ed è quello di avere consentito la
manifestazione della fiamma tricolore. L'illecito è a monte,
l'illecito che ha portato a scendere in piazza una esigua minoranza
di soggetti e un'assenza totale di quelle forze antifasciste che
avrebbero dovuto farsi carico di questo. Non possiamo dimenticarlo.
Le modalità non sono condivisibili ma le origini sono in
questa motivazione. Nel 78 la corte d'assise di Torino, in piena
epoca del rapimento Moro, un momento delicato quindi, concesse una
sorta di nobiltà morale a chi si opponeva all'arbitrio di
potere e agli abusi di regime. Sullo specifico di questa archeologia
giuridica ricordo infine la contestazione del 70 a Pavia contro
Almirante. Il tribunale stabilisce il valore morale e sociale di
ripudiare la riformazione del partito fascista. Non solo sulla base
della dimostrazione di protesta, ma estendendolo ai successivi atti
di ostilità verso le forze dell'ordine, se gli atti mantengono
lo stesso movente. Questi principi hanno oggi lo stesso valore, meno
sentiti, ma hanno lo stesso radicalmente in quella che è
ancora la nostra costituzione".

Una
costituzione antifascista, aggiungiamo, in cui non vi è – giustamente – una
parità di trattamente tra fascisti e antifascisti. Una
costituzione in cui si aggrappa il lumicino del sincero democratico,
in cui borbottano le tombe dei nostri nonni, in cui si scalda ancora
l'idea di una società senza soprusi e arbitrarietà del
potere, anche giudiziario. Se la sinistra, almeno, si affidasse solo
ed esclusivamente al rispetto della costituzione, non basterebbe
certo a sentirli completamente solidali.

Basterebbe
però per sentirsi, almeno, meno soli.

Trascrizioni e Documenti

Seconda
udienza di appello (difese)

Prima
udienza di appello (pg)

Dossier
11 marzo

Motivazioni della sentenza

Blackswift su 11 marzo e falsa moralità della legge: su carmilla on line

E per non dimenticarci, appello per la mobilitazione a Genova

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