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[Genova] Cose che succedono a Zena

Stare
a Genova ormai è come essere un turista di ritorno. Da
Shanghai a Genova, via Milano, un’altra città, voglia di
bestemmiare e raccontare. Arrivo in un bar, chiedo un caffè.
La commessa sbuffa.

Arriva
un altro avventore nel bar, uno che sembra conoscere tutti. Si
avvicina alla barra. La cameriera gli chiede, “vuoi qualcosa da
bere?”. Lui risponde, “no belin, sono venuto a comprare una
fettina”.

Dove
sto a Genova è Rivarolo, in una casa all’ultimo piano di un
palazzo ben ben alto, con una splendida vista sull’autostrada. Se
guardo dalla finestra vedo “Se siete stanchi fermatevi in un’area
di servizio”. E’ pur sempre un salto di qualità, quando
vivevo a Bolzaneto davo i biglietti al casello, direttamente dalla
finestra.

L’altra
notte non riuscivo a dormire e ho iniziato a sentire delle voci
venire dal piano di sotto, dove abita un vecchino con un cazzo di
cane che abbaia sempre. Sento ste voci e mi avvicino alla finestra.
Guardo l’ora. Sono le due di notte. Mi avvicino di più alla
finestra per sentire che succede. Mi concentro e sento la voce di De
Andrè, che canta Ma i tuoi larghi occhi, i tuoi larghi
occhi chiari anche se non verrai non li scorderò mai
.

Da
dove abito quando si va in centro, nella casbah, detta anche “centro
storico”, ancora oggi diciamo, “andiamo a Genova”. De
Ferrari, la piazza più famosa di Genova, si erge su una sorta
di altura per chi arriva dalle fogne cittadine. Qualcuno giustamente
suggerisce un affascinante retrogusto: Genova sembra costruita
attraverso uno scavo che ha ritagliato palazzi alti, che sembrano
congiungersi al cielo.

Su
piazza De Ferrari, luogo di arrivo di cortei e di festeggiamenti
sportivi, nonché piazza mitica dal 1960, un aneddoto sulla
taccagneria genovese. Ogni visitatore di Genova sottolineava
l’attaccamento ai soldi dei principi, duchi, conti genovese. Uno dei
vecchi nobili della famiglia De Ferrari amava, stile Paperone,
entrare nella propria cassaforte e rimirare le proprie ricchezze.
Fino a quando non chiuse per sbaglio la porta e non ci morì
dentro, steso tra soldi e averi.

Parola
del giorno: RAVATTO
, ovvero ciarpa, miscea, bazzicatura,
bazzeccola, doriano.

Sono
i genovesi “gli uomini che non si voltano”,
che fuggono dentro la
loro stessa città,
illusi da una meta che non sono più
capaci di prefigurarsi.

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3 Responses

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  1. audax says

    Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
    arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
    il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
    di me, con un terrore di ubriaco.

    Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
    alberi case colli per l’inganno consueto.
    Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
    tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

    E. Montale

  2. kortatub says

    APPLICATION ONE:

    RAVATTO.

    Vegnivan quattru a quattru
    vegnivan all’attaccu
    vegnivan cumme matti
    che squadra de ravatti……
    Poi l’è arrivou ù grifun
    due balle xu u cannun
    cun quattru cannunè
    te l’ha disintegrè……

    Bacini
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