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[Genova] Storie storie, svagate memorie

Odio
gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi
vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
L’indifferenza è abulia, è vigliaccheria, non è
vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è
il peso morto della storia.

L’indifferenza opera potentemente nella
storia. Opera passivamente, ma opera.

Sentenza
sui 25 arrivata. Inutile aggiungere parole prima di una valutazione
più approfondita ancora da fare. Mi limito a segnalare altre
parole, alcune specifiche, come il comunicato di Supportolegale,
altre solo apparentemente lontane nel tempo, nei ricordi,
nell’indifferenza. Non è nostalgia, né facile luogo
comune. Sono le origini e quell’insana passione che arde in chi
prende parte.

«Nacque
già molto tempo prima del 30 giugno, settimane prima, e in
modo del tutto spontaneo. Quando si diffuse la notizia che a Genova
ci sarebbe stato questo congresso fascista, tutte le forze
democratiche incominciarono a mobilitarsi. L’organizzazione della
protesta non era in mano ad un partito o a un gruppo specifico, per
tutta la città si diffondevano
gli inviti a mobilitarsi
affinché fosse chiara l’opposizione di tutti alla decisione
di tenere qui a Genova il congresso dell’MSI. Noi portuali dopo il
lavoro ci fermavamo sempre in piazza Banchi a discutere.
(…) E
via via che la data del congresso si avvicinava, il nostro
coinvolgimento cresceva e gli incontri in piazza Banchi diventavano
il punto di riferimento dell’intera giornata. (…) E spesso
partivamo in corteo, con destinazioni che sceglievamo al momento. Ci
furono molte scaramucce con la polizia, anche perché noi non
sapevamo che si dovesse chiedere l’autorizzazione per fare un
corteo, e i poliziotti a volte ci lasciavano passare, a volte
volevano impedircelo.
Ma se è vero che ci comportavamo in
maniera spontanea e magari ingenua dal punto di vista organizzativo,
è altrettanto vero che avevamo, invece, ben chiara la nostra
motivazione e il nostro obiettivo: non volevamo che il congresso si
tenesse a Genova e avevamo tutte le intenzioni di far sentire la
nostra protesta».
E arriviamo alla grande manifestazione
del 30 giugno…

«Il 30 giugno era stato proclamato
sciopero generale. Siamo scesi tutti in piazza e dopo il comizio è
scattata una scintilla. C’era la famosa Celere di Padova, che era
considerata una specie di corpo speciale ed era composta da
picchiatori, e il loro capitano all’improvviso ha suonato la tromba
e sono partiti i primi caroselli. Si è subito aperto un
conflitto fortissimo.
Le camionette, lanciate alla massima
velocità, ci venivano addosso fin sotto i portici per
disperderci (…). I più giovani di noi non sapevano come
comportarsi nel caos dei tafferugli, anch’io ero molto confuso e
per fortuna (…) un amico del mio quartiere, che era stato un
partigiano di montagna, si è preso cura di me e mi suggeriva
come muovermi e dove nascondermi. (…) La guerriglia andò
avanti fino al tardo pomeriggio e questi caroselli della polizia, che
erano partiti alla grande contando sull’effetto sorpresa, piano
piano hanno dovuto ridurre la velocità e l’intensità
perché erano circondati da ogni parte, finché si sono
dovuti fermare del tutto». (da 30 giugno 1960 – La rivolta di
Genova nelle parole di chi c’era, Frilli Editori)

Sono
parole di Paride Batini, più volte console della
Compagnia Unica dei portuali,
ovvero più volte o forse sempre
leader dei camalli
. Nel 1960 aveva 26 anni e partecipò
a tutte le manifestazioni. Uno dei personaggi de La Regina Disadorna di
Maurizio Maggiani (scrittore ligure, non genovese…) si chiama Paride, proprio in suo onore, non dell’altro, di
Paride.

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