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[Cosenza] Cronologia di un processo

Quando
si parla di Genova e i suoi processi, solitamente si tende a
dimenticare il troncone giudiziario di Cosenza e il procedimento
contro il Sud Ribelle. Se a Genova contro i 25 la sentenza è
già arrivata, a Cosenza è prevista nei prossimi mesi,
mentre per i processi contro le forze dell’ordine si dovrà
aspettare la primavera del 2008. Inoltre i reati di cui sono accusati
funzionari, dirigenti e agenti di polizia, oltre a prevedere pene
infinitamente minori, arriveranno al primo grado (appena sufficiente
affinché le vittime ottengano almeno il risarcimento), mentre
al resto penserà la prescrizione, ovvero le eventuali condanne
non saranno mai definitive.
Il processo al Sud Ribelle ha avuto
una genesi del tutto particolare, rispecchiando, per alcune parti
della sua vita, il ritmo e i testimoni del procedimento contro i 25
manifestanti di Genova. Ne ripercorriamo alcune tappe, evidenziando i
limiti di un impianto accusatorio balbettante, che è arrivato
oggi al suo culmine, con la requisitoria del pm Fiordalisi.
Indagini
e teoremi
L’inchiesta
sulla «Rete Meridionale del Sud Ribelle» risale al 10
aprile 2000: in uno stabilimento Zanussi a Rende (provincia di
Cosenza) vengono fatte recapitare delle rivendicazioni a firma Nipr:
Nuclei di Iniziativa Proletaria e Rivoluzionaria. La sigla – su cui
mai si farà chiarezza – rivendica una serie di piccoli
attentati incendiari ad opera del movimento anarchico. Fiordalisi
parte in quarta, mettendo sotto controllo i telefoni fissi
dell’azienda. Nessun risultato, ma a Cosenza ormai sono giunti i
membri dell’intelligence italiana. Le attenzioni si concentrano
sull’area antagonista, mettendo insieme centri sociali, associazioni
e perfino ultras. La ragione di questo scatto investigativo non è
ancora conosciuta: nel frattempo Fiordalisi prepara le sue accuse.
359 pagine respinte dalle procure di Genova, Venezia e Napoli e
infine accolte dalla procura di Cosenza. La tesi accusatoria ruota
intorno a intercettazioni ambientali, telefoniche e informatiche,
spesso raccolte al di fuori della procura inquirente e con metodi
dalla dubbia legittimità. L’accusa di associazione sovversiva
viene riferita anche a Genova. Si stilano profili degli imputati,
andando a ripescare nel passato. Intercettazioni telefoniche, mail
sotto controllo, così come le auto e gli spostamenti. Un
lavoraccio per le forze dell’ordine, con pochi risultati, stando ai
brogliacci acquisiti. Ma l’inchiesta non si ferma.
L’iter
dell’indagine
Il
15 Novembre 2002, 18 attivisti del movimento meridionale sono
arrestati con l’accusa di vari reati associativi (associazione
sovversiva, cospirazione politica, attentato agli organi
costituzionali dello stato). Una settimana dopo, il 23 novembre 2002,
cinquantamila persone scendono in piazza a Cosenza per chiedere la
liberazione immediata degli arrestati. Nel dicembre 2002 il primo
scossone: il tribunale della libertà di Catanzaro produce una
sentenza che, oltre a rimettere in libertà tutti gli
arrestati, minimizza l’impianto accusatorio del provvedimento:
«esprimere il dissenso non è reato». Nel maggio
2003 la Cassazione annulla la sentenza del Tdl di Catanzaro per
esclusivi vizi di forma, mentre i contenuti della sentenza contestata
non sono minimamente messi in discussione. Il pm Fiordalisi ne
approfitta, presentando una memoria in cui ribadisce la volontà
di arrestare nuovamente tutti gli indagati, allargando all’intero
movimento le accuse già formulate contro il Sud Ribelle.
Fiordalisi chiede di depositare decine di migliaia di pagine
contenenti nuove prove: si tratta essenzialmente di intercettazioni
riciclate (secondo imputati e difensori manomesse dalla Digos
cosentina) da altre procure, che già le avevano dichiarate
inutili e insignificanti. Secondo il pm invece, starebbero lì
a dimostrare che le volontà degli indagati era quella di
«turbare l’esecuzione delle funzioni del governo italiano,
sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito dello
Stato, sovvertire la globalizzazione economica». Novembre 2003:
nuova sentenza del tribunale della libertà di Catanzaro. A
carico di cinque indagati su diciotto già scarcerati,
rimangono i gravi indizi di colpevolezza, mentre a tre di loro viene
imposto l’obbligo di firma. Per tutti gli altri cade ogni
contestazione.
Arriva la richiesta di rinvio a giudizio per
tredici indagati. Due di loro erano completamente estranei fino a
quel momento a tutta la vicenda giudiziaria, mentre le posizioni di
altri 41 indagati vengono archiviate. Solo per 11 dei 18 arrestati
nel novembre 2002, è stata presentata richiesta di rinvio a
giudizio; cinque di quelli che finirono nelle carceri speciali vedono
cadere ogni contestazione a proprio carico. Fiordalisi aggiunge il
reato di «associazione a delinquere». Nel maggio 2004 si
svolge la prima udienza preliminare: il governo chiede cinque milioni
di euro di risarcimento per i danni non patrimoniali, cioè
d’immagine, subiti in occasione dei vertici di Napoli e di Genova. Ma
il Gup respinge questa e tutte le altre eccezioni della difesa. Gli
imputati chiedono la ricusazione del magistrato: richiesta rigettata
dalla corte di appello e multa di 1.500 euro per gli imputati. Luglio
2004: a Roma nasce l’Osservatorio parlamentare sul diritto al
dissenso, che si incarica di seguire da vicino il processo di
Cosenza. I firmatari sono 12 deputati e due senatori. Il Gup rinvia a
giudizio 13 indagati. Le pene previste per i reati contestati, vanno
da 12 a 15 anni di carcere. Il 2 dicembre 2004 inizia il processo in
aula di Corte di Assise.
Dalla
Zanussi al Sud Ribelle
Come
si è arrivati dal volantino alla Zanussi al Sud Ribelle? E’
uno dei tanti buchi neri dell’indagine. Il 28 novembre 2006, a
rispondere alla curiosità di avvocati e imputati a Cosenza, si
presenta Alfredo Cantafora, capo della Digos cosentina, padre delle
indagini. «Io questo filone investigativo a cui io faccio
riferimento al momento prodromico, come momento iniziale per le
indagini che poi ho condotto, questa, quella che poi sta al Sud
Ribelle, è quello del…sono le indagini del volantino, le
indagini del volantino cioè, la rivendicazione dei Nipr. Da
quelle indagini noi, partendo da quelle indagini siamo riusciti a
scoprire che cosa è stato poi la rete del Sud Ribelle».
In aula Cantafora chiarisce poco dell’indagine e ancora meno circa le
prove. Alla domanda precisa circa le evoluzioni investigative che
avrebbero fatto sviluppare le indagini dai Nipr al sud ribelle,
Cantafora risponde al microfono in aula, «questa conoscenza noi
l’abbiamo perché ci sono delle comunicazioni interne alla
polizia di stato» e precisa senza microfono, «e anche dai
giornali». Un’affermazione bizzarra, tanto che uno degli
avvocati della difesa risponde in modo perentorio: «no, i
giornali non sono prove; l’hanno detto tutti i giornali, allora lo
potevo leggere anche io».
Il capo
Fiordalisi, un po’ a
sorpresa, inserisce nell’elenco dei testi dell’accusa l’allora capo
della polizia, Gianni De Gennaro. Poi lo toglie, ma la Corte conferma
la propria volontà: lo vogliono ascoltare. Un’attesa vana e
più volte rimandata, che si conclude con un nulla di fatto. Il
28 novembre 2006 la Corte cambia ancora idea e decide di depennare De
Gennaro dall’elenco dei testi. «La testimonianza è
assolutamente superflua e sovrabbondante». Lo stesso giorno il
pm Domenico Fiordalisi deposita una modifica dei capi di imputazione,
eliminando l’art. 272, propaganda ed apologia sovversiva o
antinazionale.
Tolemaide
a Cosenza
Anche
a Cosenza i fatti di via Tolemaide sono analizzati nei minimi
particolari. I testi già sentiti a Genova, riescono a
smentirsi in Calabria, pur confermando quanto già si sapeva
sulla carica al corteo autorizzato. Mario Mondelli (funzionario di
Cuneo aggregato a Genova, attualmente dirigente del I reparto mobile
di Roma) è il funzionario di polizia che accompagna i
carabinieri diretti a Marassi, ma che si fermeranno in Tolemaide per
caricare le tute bianche. Mondelli durante l’udienza non riconosce il
carcere di Marassi, dichiara di non aver partecipato agli scontri
(nei video appare travolto dalla carica dei colleghi carabinieri),
dichiara di essersi speso per metter pace tra i due «contendenti»,
di non aver mai dato l’autorizzazione ad Antonio Bruno (capitano dei
carabinieri di Carrara a comando della Compagnia CCIT Alfa del III
Battaglione Lombardia a Genova nel 2001) di attaccare deliberatamente
i manifestanti autorizzati, dando la colpa proprio ai carabinieri ed
al suo capitano. «Era meglio non passare proprio»,
risponde alle domande circa la necessità o meno della
carica.
Le
intercettazioni
Nell’ultima
udienza, l’ennesima sorpresa: un piccolo giallo sulla tecnica delle
intercettazioni, oltre 5.000 pagine. Viene denunciato in aula che
moltissime intercettazioni infatti contengono voci registrate, prima
dell’invio della telefonata o della ricezione effettiva. Tutto questo
fa sorgere il dubbio che l’intercettazione non sia stata effettuata
con apparecchiatura autorizzata, ma con attrezzature fai da te,
acquistabile da chiunque, ma non autorizzata dalla legge per
operazioni di polizia giudiziaria.

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2 Responses

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