Rovistando
tra i futuri più probabili
Voglio solo futuri inverosimili
Aprendo
la finestra sopra netturbini, sopra nottambuli svetta la gigantesca
scritta Phoenix. Tra strade, guardie, negozi e ristoranti. Per
attraversare la strada bisogna fare qualche chilometro e trovare il
ponte. Un ponte non troppo alto, ma dal quale sembra di avere la
vista di una torre. Cambiano riferimenti, anche i nomi delle vie sono
diverse. Tripudio di modernità per queste Olimpiadi tristi, dicono i cronisti. Come se fiori e pulizia, polizia e controlli, potessero sommergere una vitalità che è impossibile descrivere, senza vederla.
La
metropolitana è ancora più in là. Vicoli e snodi
e ogni volta che un taxi svolta sotto ponti in strette e strampalate
deviazioni, non si vede dove sbucherà. La gente cammina e
vorrei fermarli tutti. Sorridono e sembrano sempre pronti a chiedere
se hai bisogno. Ho una borsa di tela nera e una rosa: sono tese come
uno straniamento tutto nuovo, come la continua domanda su cosa fare,
come dire, dove andare. Il volto ottuso del potere è
fastidioso ovunque. Si fanno anche riunioni, interminabili, lunghe.
Piece of cake, dicono gli astanti. Come dire: anche io voglio
la mia fetta di gloria. E i desideri, alla fine, quali sono non lo
so. E tutti sembrano parlare di questo posto. Ricette, pareri,
certezze, conoscenze e consigli.
Poi
cena, concerto, giro, chiacchiere e uno sguardo svia ogni certezza,
scambiando domande, con altre domande, sfuggendo da quei pochi
aspetti conosciuti, per nuovi sentieri di aspre inquietudini, che tanto hai voglia a provarci, ma indietro non si può tornare. E la mia
fortuna, ho pensato, è poter chiedere. E avere chi gentilmente
mi fornisce risposte, sotto forma di altre domande, in un tripudio di
diversi punti interrogativi e angolazioni, mescolando l’Italia alla
Cina, alla ricerca di qualche angolazione nuova sotto la quale
mettere l’asfalto percorso. E come non bastasse creare legami, colori del grano e via immaginando e ricordando, grazie per le Hong Mei…E
ritorna la sensazione solita, quella che giustifica questa mia
stramba vita cinese. Come con quelle palline colorate dai rimbalzi irregolari:
ogni volta che stringo la mano convinto di prenderla, mi sfugge.
Sulla
scia dei carri armati parcheggiati,
senza
toglierci le scarpe,
ci
siamo addormentati.
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