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[Urumqi] Nello Xinjiang sotto controllo

Tra
Urumqi e Pechino ci sono tre mila e rotti chilometri. Tra la
quotidianità delle zone uigure del capoluogo dello Xinjiang e
le Olimpiadi cinesi molto di più. Le recenti esplosioni,
sebbene a chilometri di distanza da Urumqi, disegnano traiettorie
oblique negli sguardi dei passanti e in quelle dei poliziotti cinesi,
manganello alla mano, tesi a controllare ogni passaggio tra le vie.
Qui ogni tanto appoggiati qua e là addobbi floreali a indicare
i cinque cerchi olimpici, ma anche domenica sera durante la sfida Usa
contro la Cina del basket, la popolazione era per le strade, tra
mercati notturni e passeggiate, seduta sui muretti o a cena, senza
televisione. Le Olimpiadi sono distanti. Sono altri i fatti ad essere
vicini e a tratteggiare ombre e nervosismo a Urumqi.

Dopo
l’attentato di Kashgar – considerata dagli abitanti la vera capitale
morale dello Xinjiang – gli altri attacchi di domenica contro le
forze di polizia cinese a Kuqa, hanno riconsegnato al governo cinese
e alle popolazioni dello Xinjiang la paura di nuovi attentati. «Non
è chiaro», hanno reso noto le autorità, se i
nuovi attacchi abbiano qualche legame con quello che ha causato lo
scorso 4 agosto la morte di 16 poliziotti nella città di
Kashgar, smentendo così un collegamento diretto, ma
confermando di trovarsi di fronte ad una «organizzazione».
Tra i commando anche una ragazza di 15 anni, lasciata ferita – e in
mano della polizia cinese – dagli attentatori, a dipingere a tinte
forti lo scontro tra gli indipendentisti uiguri e le autorità
di Pechino. Lo Xinjiang, regione a maggioranza musulmana e abitata da
minoranze etniche, un frullato di lingue e abitudini, tra russi,
kazaki, uiguri e cinesi, confina con troppi stati (Kazakistan,
Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e il Kashmir indiano)
e ha risorse energetiche fondamentali perché il Dragone la
perda d’occhio: Xinjiang e Tibet sono i due nervi scoperti del
Governo di Pechino. Urumqi poi, è da sempre la testa di ponte
della dominazione cinese in questa zona: un tempo città di
guarnigione per le truppe cinesi e le loro famiglie, oggi è il
capoluogo e centro amministrativo della regione autonoma: la vetrina
del modello di integrazione cinese in questa zona stretta tra
montagne e deserto (il Taklamakan, che in turco significa: puoi
entrarci, ma non uscirci).

E a Urumqi, quando l’ora segna le
sette del mattino, il cielo benché sia estate è ancora
ombrato, perché sarebbero le cinque: tra Pechino e l’antica
Luntai infatti ci sono due fusi orari, ma l’ora ufficiale è
quella cinese. C’è un aneddoto da queste parti: i kazaki
pascolano le pecore, gli uiguri le vendono e i cinesi han le
mangiano. Un antico adagio che dovrebbe sottolineare l’abilità
da venditori dei musulmani di Cina, ma che racchiude in sé la
controversa convivenza tra etnie diverse nella zona. I cinesi han,
una marea ormai, sono stati mandati dal governo nella regione del
Xinjiang: in alcuni casi hanno edificato intere città dal
nulla. In altri, la fanno da padroni. Il nocciolo del problema sta in
questa convivenza forzata che porta benessere, abitudini e sogni
sino-occidentali, a discapito della popolazione uigura, che da
maggioranza sembra destinata a diventare minoranza, le sue
tradizioni, la sua lingua, le sue abitudini. Una stretta rinforzata
da misure speciali: solo in questa regione si condannano a morte i
prigionieri politici.

Nella zona di Erdaoqiao la convivenza
forzata emerge netta: nell’antico bazar, ricreato ad hoc come luogo
di consumismo, i cinesi han sono intenti a vendere cianfrusaglie per
turisti (pochissimi in questa estate considerata eccessivamente
pericolosa da queste parti), nella via principale gli uiguri vivono
la propria quotidianità tra nan appena sfornato, barbecue
costantemente in funzione e prodotti di ogni tipo, tra binocoli e
erbe speciali per gli occhi. Una città vecchia simil Tangeri,
cui segue, da lì a poco, la parte più cinese: moderna,
palazzoni, Carrefour, macchine e locali. Come essere a Shanghai.
A.
è una ragazza di etnia han. È tornata nello Xinjiang,
dove è nata, dopo aver partecipato come una delle migliaia di
comparse, alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi («lì
sotto – ha detto tutta felice – ci abbiamo lasciato lacrime e
sudore»). È di passaggio a Urumqi, perché vive in
un paesino a una mezz’ora dal capoluogo: «c’è il
petrolio – dice – si vive bene. A Urumqi invece è meglio stare
attenti. Agli uiguri non piacciono i cinesi, rubano e sono
pericolosi». Stereotipo han, che si esprime su stereotipi
uiguri. Una pessima reputazione, confermata da alcuni abitanti di
Urumqi che, trasferiti a Pechino, si sono visti rifiutare, in alcuni
casi, la possibilità di affittare una casa. «In realtà
– spiega a bassa voce N., cantante di musica tradizionale uigura – la
nostra è una popolazione pacifica, cui piace mantenere vive le
proprie origini e la propria cultura. Purtroppo per noi la vita è
diventata complicata: basta un niente e finisci in prigione, i
controlli sono solo per noi. La gente vorrebbe vivere tranquilla e
invece è sotto pressione. Naturale che cresca un sentimento di
amarezza e di rabbia, talvolta». Sulle esplosioni e gli
attentati bocche cucite, troppo complicato spiegare a uno straniero
sofismi etnici. «Non c’è una soluzione giusta e una
sbagliata – incalza P. studente di sociologia a Pechino, ma nato a
Urumqi dove è tornato per le vacanze – è necessario
studiare molto per capire lo Xinjiang. Anche a livello universitario,
però, chi vuole effettuare studi su questa zona, prima o poi è
destinato a fermarsi: l’argomento non piace al Governo». E
all’estero gli uiguri sono considerati terroristi, mentre il Tibet
riscuote successo: «su questo c’è molta disinformazione
sulla nostra storia e sulla vita quotidiana da queste parti – irrompe
un ragazzo che chiede l’anonimato totale – e l’opera mediatica del
Dalai Lama in giro per il mondo. Per la Cina sia il Tibet sia lo
Xinjinag sono covi di terroristi, per l’Occidente, lo sono solo gli
uiguri. Saranno terribili ma gli ultimi attacchi sono stati solo
contro le forze di polizia cinese, non contro i civili».

Poi
più niente, perché l’argomento rischia di diventare
pericoloso. Basti ricordare, come supremo esempio, la vicenda di
Rebiya Kader – donna d’affari uigura, attivista politica,
imprigionata nel 1999 con l’accusa di avere passato segreti di stato
cinesi al marito negli Stati uniti – a dimostrazione che «chiunque
tenti di aiutare la nostra cultura, diventa subito un
terrorista».
Nel frattempo nel Parco del Popolo, in cui si
entra aprendo le borse e dopo controlli rigorosi – cominciano le
danze, tra strumenti musicali e balli tradizionali. S. è un
cuoco che ama cantare e tra una canzone e l’altra sforna pillole di
cultura uigura. Poi si fa serio: «noi vogliamo solo vivere in
libertà come abbiamo sempre fatto. Arresti, controlli, soprusi
creano solo un terreno di odio». Quando arriva la sera Urumqi
entra a pieno titolo nella sua sovranaturalità: strade colme
di ristoranti all’aperto e mercati in ogni via. Colori, frutta secca
e yogurt ghiacciati. Per entrare nella zona ci sono altri controlli e
poliziotti cinesi che improvvisano rincorse tra la folla. Gli sguardi
sono attenti, pur mirando su punti lontani del cielo: anche questa
sera la luna è sorta. [da il manifesto, 12-08-08]

Posted in Pizi Wenxue.


5 Responses

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  1. 旷必野 says

    Bel post. Temevo ti avessero sequestrato in Xinjiang, oppure he ti fossi unito alla lotta locale, ma vedo che sei sano e salvo a Pechino 🙂 Fatti sentire!

  2. b. says

    dopo qualche giorno di pausa da cazzate, nel senso che non ho avuto tempo di metterle insieme, arriverà anche la sesta parte…saluta i guest…:-)
    ciao
    b.

  3. feili says

    …a me le cazzate olimpiche, non dispiacciono affatto. E poi oramai mi sono affezionata alle perle di saggezza di gaia:)
    F.

  4. ajorn says

    we che articolo fico sul manifesto, il tipo pare in gamba :))

  5. De says

    Finalmente un post interessante.
    Boicotto le Cazzate Olimpiche!

    🙂