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[Olympics] L’eroe triste

Lui
ha sempre parlato poco. I suoi allenatori invece hanno sempre
dispensato parole: «Piace alle donne giovani, alle donne anziane e
anche agli uomini». Poi: «È membro del partito
comunista, quando si ritirerà potrà essere di più,
un candidato del popolo». In pratica, un mito. E così
ieri, mentre i suoi tecnici sono scoppiati a piangere durante una
conferenza stampa surreale, lui probabilmente era da solo a cercare
di trovare una ragione per tutto. Si consolerà con il tempo,
ma la sensazione di avere perso l’occasione che capita una sola volta
nella vita, faticherà ad andarsene. In pratica, un disastro.

Liu Xiang, colui che ha portato in Cina la prima medaglia
olimpica della storia nella corsa (110 metri a ostacoli), ieri si è
ritirato dai Giochi pechinesi, per un infortunio. Volto di un numero
spropositato di brand, vita controllata, il più pagato (25
milioni di dollari), eletto a gennaio consigliere politico nazionale,
non difenderà il titolo olimpico conquistato ad Atene nel 2004
(quest’anno ha vinto anche i mondiali di Osaka in Giappone).
Sportivamente mancherà la sfida con il cubano Dayron Robles,
che qualche mese fa gli aveva sfilato il record mondiale. Dal punto
di vista umano è una delle piccole tragedie che lo sport
regala ai suoi protagonisti in aria di mitologia. Così, dopo
dieci giorni di sorrisi, per la Cina arrivano le lacrime. E sono
pesanti, inaspettate e terribili. A tradire il sogno dei cinesi, è
proprio l’uomo che pensavano lo avrebbe realizzato. Un infortunio che
non gli ha dato pace, hanno specificato gli allenatori di Liu. Un
problema al tallone d’Achille che fa soffrire la progressione
dell’asso sportivo da almeno sette anni, hanno confessato i tecnici
davanti ai giornalisti basiti. Non increduli, perché da mesi
si inseguono sia le voci su infortuni vari, sia soprattutto i fatti:
Liu Xiang non corre da tanto tempo. E di sera sulla Cctv, la
televisione pubblica cinese, è come se le Olimpiadi non ci
fossero mai state: esiste solo Liu e il dramma sportivo di una
nazione. A testimoniarlo servizi infiniti in cui medici vari spiegano
la natura della tendinite. Volti contratti, che questa è già
una questione nazionale, tanto che su qualche blog alcuni commenti
ridimensionano il clima funereo: «Sta esagerando, i media ne
parlano come fosse morto Wen Jiabao».

Gambe, tendini, muscoli,
ma i dolori veri per il venticinquenne di Shanghai sono di altro
tipo. «La vera sofferenza è nella testa», ha
spiegato un altro mito, il maratoneta Gebrselassie. E da lì
sarebbero partiti i problemi di Liu Xiang, a sentire il suo vecchio
mister di Shanghai: «Troppo allenamento, derivato da pressione
– ha dichiarato in giornata – da parte di tutti, del governo, degli
allenatori e dalla gente. Liu è ancora giovane, gli hanno dato
troppe responsabilità». E lui se lo ricorda da ragazzino
scattante, poco tecnico e portato ai 110 metri a ostacoli, dopo un
tentativo nel salto in lungo. Rapido e sconosciuto. Ieri invece negli
occhi olimpici dei cinesi e non solo rimarrà la falsa partenza
e quello scattino di Liu Xiang, poi la mano sulla gamba, contratta,
con quel numero 2 appiccicato addosso. Niente da fare: è
uscito da uno stadio ammutolito a vederlo andare via. Lo hanno
seguito sguardi e sospiri mentre imboccava il tunnel che porta fuori
dal Nido d’Uccello e dalla storia. E i biglietti per la finale, sono
già in vendita a prezzi stracciati. Senza Liu Xiang, perdono
il senso.

Liu è arrivato all’appuntamento dopo aver vissuto
un anno da paura, tra pressioni, infortuni e agitazione sua e dello
staff. Un paese addosso, il più popoloso al mondo, a
respirargli sopra, accanto, a chiedere e volere notizie,
rassicurazioni. Come fosse possibile vincere, prima di gareggiare.
Come fosse possibile racchiudere in 110 metri la voglia di rivincita
di migliaia di anni, di un paese in vetrina che vuole successi anche
dove storicamente gli è andata sempre male. E pretende le
vittorie considerate più scontate. «Sotto pressione»,
aveva titolato il Time qualche mese fa, mettendo Liu in prima pagina.
«Se non vince a Pechino – un’altra delle tante frasi di
conforto del suo allenatore – Liu Xiang non è nessuno».

Il ragazzo sembrava avere tenuto i nervi saldi, trascinando con
sé il proprio popolo in un’attesa spasmodica, ma fiduciosa.
Senza bizze, colpi di testa, anzi.

Figlio di un’operaia e di un
camionista, riservato e senza vezzi da star, tanto che vive ancora in
un bilocale, si è rinchiuso nella quiete solitaria
dell’allenamento del predestinato. Ha pensato solo a quello.
D’altronde la sua condizione è da tempo cambiata: da studente
universitario è diventato una star. Pur essendo miliardario,
però, ha detto un giorno, non ha la possibilità di
spendere i soldi, di fare shopping come una persona normale. Se esce
per strada, si blocca il traffico e si creano ammassi di gente. E
allora tanto vale farsi i fatti propri e non fare parlare di sé,
almeno fino alle Olimpiadi. E ieri il suo volto, le sue mani alle
gambe, assicurate per 13 milioni di dollari, hanno reso Liu Xiang un
eroe triste, ma in grado di smuovere il suo popolo dopo tanta attesa.
«Vinco non perché corro per lavoro – aveva detto – ma
perché mi piace». Poi il silenzio. Non si possono certo
confessare ai giornalisti cinesi i sogni notturni, specie quelli più
brutti, con gli adduttori a dare fastidio e quel tendine a pulsare.
Un po’ tutti hanno cercato di consolarlo, anche perché la sua
sofferenza, fin dalle fasi del riscaldamento, ha bucato schermi e
cuori. Il vicepresidente Xi Jingping ha chiamato i vertici dello
sport cinese per esprimere «solidarietà» e
«preoccupazione» per le condizioni fisiche dell’atleta.
In ogni programma della notte, il nome di Liu Xiang non è
mancato mai.

Mentre la Cina si addormentava, sperando di svegliarsi e
vedere tutto ricominciare da capo, ma con un finale diverso. Un sogno
anche per Liu Xiang, se è riuscito a dormire. [da Il manifesto 19.08.08]

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