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[Wuhan] Caldo e freddo [1e2]

Ed
ho imparato che l’amore insegna ma non si fa imparare
E ho giocato
a nascondermi e a farmi trovare
Ed ho provato a smettere di bere e
a ricominciare
E sono stato bene, e sono stato male

[Seguiranno
foto, che io al solito non ne ho fatto manco una. Per ora l’unica del posto di Wuhan la scrocco dal blog di daniele…grazie :-)]

1.

 

Dopo
otto ore di treno, da Pechino si arriva a Wuhan, dove scorre lo Yangtze, immaginaria linea tra Nord e Sud del paese. Appuntamento al McDonald così
ci si trova, che al solito le stazioni sono un inferno. Trovo M., il
ragazzo cinese che mi ha invitato, prendiamo un autobus e ci stiamo
per un’ora. Attraversiamo Wuhan o una parte di essa: Pechino al
confronto sembra un salotto di un orologiaio svizzero. Wuhan è
grande, credo faccia sui 10 milioni di abitanti, ma ha la vita di un
paese, almeno nelle aree non troppo pettinate: delirio, casino, gente
per strada, negozietti, bancarelle, cibo ovunque. Arriviamo in uno
spiazzo in mezzo al niente, dopo avere percorso la strada accanto al
fiume. Silenzioso e nero. Ci sono alcuni rumori, qualche cane e
piccole luci.

Dopo
cinque minuti di strada in cui si respira odore di terra e fumi di
fuoco qua e là, arriviamo davanti a un piccolo portone grigio.
Dentro un cortile, alberi, qualche pianta e quattro cinesi attorno a
un fuoco scoppiettante. Primo deja vu. Saluti, vuoi da bere, siediti.
M. mi porta dentro a mostrarmi il posto. La casa ha tre piani, anche
se mi sarei aspettato di trovarci diecimila scalini. Al primo c’è
la cucina e un paio di stanze e un cesso. Al secondo piano altro
cesso, due stanze e uno stanzone in cui ci sono otto letti a
castello. Barre di legno e un piccolo lenzuolo come materasso,
coperte e cuscino. Ideale per un ostello, il luogo. Al terzo piano un
po’ di casino ancora da mettere a posto e infine un terrazzo. Dentro
fa più freddo che fuori: non c’è riscaldamento.

Mangiamo
qualcosa, mentre mostro a M. il video di Serpica, discutiamo dello
speech, ci facciamo due chiacchiere a caso. E’ interessato, mi dice,
soprattutto alla questione della precarietà. Mi dice che è
un argomento di cui si comincia a discutere in Cina. Fremo, parliamo
e dopo poco, verso le 23 arriva il resto della compagnia. C’è
una ragazza bionda, italiana, che forse confonde la sigla di
chiusura, una fine, con quella di un nuovo inizio (che le auguro, per
altro), un ragazzo italiano desideroso di campagna e semplicità, una ragazza
spagnola che sembra la tipica persona in grado di adattarsi a tutto.
E per di più è simpatica da matti. Mi sento molto banda
dei quattro

Mangiamo,
beviamo un paio di birre, ci scaldiamo al fuoco e poi a dormire.
L’indomani la sveglia è alle sette. Seguono bestemmie di ogni
genere. Penso: meno male che ho portato il caffè.

2.

Ci
svegliamo alle 8 passate, naturalmente, a meno di un’ora dall’inizio
dello speech. Bestemmie, cazzi e mazzi, caffè rapido, freddo
della Madonna di Cristo e soprattutto sonno incredibile. Prendiamo un
taxi e ci stiamo tutti, perché è un piccolo vagoncino.
Percorriamo la strada che costeggia il fiume. Un punto grigio di
bruma. Ancora: silenzioso e scuro.

Arriviamo
all’università e il taxi si inerpica per stradine che sembra
di stare in mezzo al parco. Infatti mi dice qualcuno, è un
parco. Scendiamo e entriamo nell’Università di giornalismo di
Wuhan. C’è pure il cartello che annuncia la conferenza. Lo
riconosco perché c’è il mio cazzo di nome. Il cognome è
sbagliato, hai visto mai…Entriamo dentro, ho voglia di caffè,
ma non solo. Ci affacciamo nell’aula ed è piena. Il brusio si
blocca quando fanno capolino le facce di quattro laowai,
stranieri, che forse puzzano di fuoco, sicuramente sono bianchi come
dei morti e sembrano avere bisogno di qualcosa che in quel posto non
si trova.

Parte
una spedizione alla ricerca del caffè tra risolini a prendere
per il culo me. Io mi dirigo con M. nella stanza del professore che
ha organizzato l’ambaradan e dopo un rapido saluto vengo al dunque:
ho bisogno di carta, senza metafora che tenga.

Torno
ed entriamo in aula. Sistemiamo proiettore e tutto e cominciamo.
Forse c’è bisogno di tradurre allora faccio una breve
introduzione, chiedo se è chiaro, specificando che in realtà
non ho ancora detto un cazzo. Quasi tutti ridono: quindi capiscono. E
iniziamo. Partiamo da Indymedia, con una introduzione sui concetti di
free software, etica hackers, condivisione dei saperi, progetti
comuni, passiamo alla globalizzazione, il potere dei brand, i simboli
e la Comunicazione come processo fondamentale della nostra società.
Dopo un’ora e mezza, chiedo che si possa fare un po’ di dibattito.
Cominciano le domande. I cinesi: pratici: dove trovavate i soldi, che
effetti reali avete avuto sulla società. E poi: tutto molto
bello (stile, bravi elio, bravi tutti, belle sonorità), ma
come pensate però di contrastare problemi reali, che ne so, come la precarietà
della vita?
Ho le traveggole, non nascondo la gioia per l’esca
che mi viene data. Si passa alla seconda parte: un’ora almeno secondo
i miei calcoli, da condensare in mezz’ora che le mie due ore sono
agli sgoccioli.

Ma
la precarietà mi fa infervorare, comincio a parlare troppo in
fretta e M. è costretto a tradurre alcune parti in cinese.
Sforiamo ma che ci frega. Finisco con San Precario, l’autonarrazione,
il brand sociale, arrivo a Serpica, parlo di City of Gods e sono già
passate le due ore. Ci sarebbe il video. La ricercatrice che aveva
introdotto il tutto, chiede alla classe se si è d’accordo a
perdere un’altra mezz’ora a vedere il video si Serpica. Sì.
Video, fine, applausi perché il video di Serpica spacca.
In un botto arrivano a fare domande, chiedere la mail, libri. Tutte
ragazze. Arriva solo un masculo che fa la domanda delle domande:
tieni per il Milan o per l’Inter? Genoa, gli dico, Genoa, la
squadra più antica d’Italia, Mi – Li – tou (il nome del
Principe pronunciato alla cinese…), sentenzio. Se ne va incazzato.

Poi
andiamo a pranzo: la banda dei quattro, una ricercatrice, una
studentessa e M. Un pranzo interminabile, che avevo voglia di
stendermi, fumarmi una siga con calma, chiedere agli altr* come era
andata. Niente si parla della Fallaci, di Umberto Eco, di
comunicazione, democrazia, informazione che minchia mi sembrava di
essere in una trasmissione di Augias. Poi a un certo punto diventa
Porta a Porta e io quasi mi strozzo con un raviolo, quando il
professore tutto ridacchiante dice, ah dell’Italia conosciamo
Mussolini!
A quel punto la studentessa cinese dice: incredibile,
in Italia: come potete avere un presidente del consiglio che
controlla tutti i mezzi di informazione?
Mi verrebbe da dire: è
come avere il partito comunista cinese
, ma mi trattengo e allora do
addosso a Berlusca, che dopo tanto non si piange neanche più.

Facciamo
un brindisi ogni dieci minuti, la ricercatrice mi dice che mi manderà
delle domande: sta facendo una ricerca sulla percezione dei
giornalisti occidentali della Cina. Ho già paura. Poi mi dice,
eh certo, hai una doppia vita, giornalista da una parte e attivista
dall’altra.
Ho una citazione splendida, ma preferisco farmi una
risata e dirle che in realtà per me fare il giornalista è
un altro passetto di ricerca per fare l’attivista. Mi dice
interessante e mi chiede se voglio il caffè.

Andiamo
a prendere un caffè e mi ritrovo a fare la strada con la
studentessa cinese: a parlare di Chiapas, delle rivolte del
Sudamerica e io mi sento un po’ in trance. Dove cazzo sono? Passiamo
sopra i dormitori, vedo dall’alto tutto il complesso universitario.
E’ stupendo e brulica vita. Beviamo il caffè, ci rilassiamo
andiamo a fare la spesa. Al mercato io e la ragazza spagnola
scegliamo l’ignoranza: cerchiamo carnazza per il barbecue. Una
fantastica supercazzola in cinese della laoban del caso, mentre io e lei parliamo mezzo
inglese e mezzo in spagnolo, ci rifila per 3 euro quattro robe di carne che
nutrirebbero un esercito. Joder, que bueno, dice la spagnola. Concordo.

Torniamo indietro, in taxi, costeggiamo il fiume. Immobile e deserto. Arriviamo al Social Center, come lo chiamano i cinesi che vivono lì.
Sono in tre o quattro, pagano in totale 50 euro al mese per l’affitto
e ne vogliono fare un posto dove fare concerti, presentazioni,
dibattiti, sala di montaggio audio e sede di progetti di magazine
vari. Una figata, inutile stare a girarci intorno. Passiamo una
serata a chiacchierare e accennare passi di danza, con la musica
portata da casse all’esterno e il fuoco a scaldarci, coadiuvato dalla
grappa cinese, 

bái
jiǔ
[

白酒] letteralmente liquore (distillato da sorgo o mais), che è una cosa che ne bevi un po’ e dici, che bello, che buono, ne
bevi ancora e dici, minchia veramente bello e veramente buono, ne bevi ancora e dici,
dove cazzo sono le mie ginocchia? Poi pare non ci si ricordi più niente.
[segue]

 

Posted in Pizi Wenxue.


One Response

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  1. nero says

    1. eureka, ti ha chiesto milan O inter, non solo AC MILAN di merda.
    2. non barare il bai jiu è praticamente grappa di sorgo non liquore. 🙂

    cmq ti stimo molto 🙂

    ciao