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Letture notturne (e 惘闻)

i nostri migliori anni telecomandati

i
giorni pirotecnici


i
manganelli telescopici


sulle
nostre vetrine interiori


tipo
protette da infami


barriere
architettoniche


le
nostre aspirazioni

E’
sempre piuttosto strano leggere libri in cui le storie, che bene o
male si sono vissute, vengono raccontate da chi stava dall’altra
parte.

Accade per la storia, per eventi spiccioli, ma anche per
quella che a torto o a ragione consideriamo “la nostra storia”.
 

Quando
ho visto il libro di un ex celerino sugli scaffali di una feltrinelli romana, ho
mandato un sms al mio socio (qui trovate la sua recensione), scrivendo qualcosa come: diobono, i
ps tutti scrittori sono diventati!

Specie nel periodo di attività di supportolegale, abbiamo
fatto incetta di libri sulla e della polizia: dai corsi che gli
fanno, alla loro organizzazione, mentalità, attitudini. Era un
modo come un altro per capire con chi si aveva a che fare, cercando
esperienze che non fossero solo dirette, ma che ci aiutassero a
capire lo spirito di corpo, l’omertà, il sentirsi fratelli, la loro comunicazione, la loro conoscenza sull’universo che devono affrontare nelle strade, nelle piazze, negli stadi e
l’inaudita violenza di certe azioni.


Si
è aperto un mondo sterminato di informazioni, aiutate, specie ultimamente, dalla
tendenza da parte dei ps a scrivere libri. Di romanzi scritti da poliziotti o ex tali ne ho apprezzao alcuni, Di Cara
ad esempio mi è piaciuto parecchio, e ieri sera dopo un Milano
Genova Santa Margherita Milano, con una fottuta ora in più, ho
attaccato
Genova sembrava d’oro e d’argento,
gentilmente prestato dal mio socio, di tale Giacomo Gensini.

Gensini
è un ex poliziotto e il libro racconta la storia di alcuni uomini
che entrano a fare parte del famoso, ormai, Settimo Nucleo, ovvero il
reparto di celerini creato ad hoc per il G8 genovese. La creme dei picchiatori. E Gensini
sembra essere molto informato su come vennero preparati,
addestrati e su come vennero portati a compiere le loro azioni
durante il G8, il clima che si instaurò (interessante l’aumento vertiginoso delle direttive dei servizi segreti e del tam tam mediatico). Dalla piazza, dalle strade, alla famigerata notte della Diaz. Il
libro si legge in due ore nette: è piatto da un punto di vista
letterario, ma alcune parti, grazie a un gergo non molto
dissimile da quello giovanilistico comune, passano via proprio bene.
Ci sono tipiche trovate umoristiche, si fa per dire, da ps (come il nome dato a due
agnelli, Manga e Nello……), ma quello che ho apprezzato più
di tutto, in fondo, è l’onestà di Gensini nel
raccontare se stesso e i suoi
colleghi.

A
lui non frega un cazzo parlare di mele marce, di deviazioni, di
bruttezza di una vita a rompersi il cazzo guadagnando poco, la patria, il padre di famiglia, la
retorica sincero democratica e tutte queste cazzate, anzi. Lo
chiarisce subito, quando scrive,
non eravamo più i
celerini di Pasolini da un sacco di tempo. E nessuno avrebbe avuto
per noi quella pietà, né noi lo avremmo permesso. Il
clima stava cambiando. Il consumismo, l’ipercompetitività, il
mito del successo, l’individualismo patologico esasperavano le
frustrazioni e acuivano la violenza. […] Prima o poi se l’apparato
voleva sopravvivere, la repressione doveva diventare metodica e
libera dagli ideali delle rivoluzioni del XVIII secolo. Su questo
c’erano pochi dubbi.

E
ancora: quello che condividiamo noi non è la divisa, ma un
segreto. Un segreto sull’umanità e sulla sua miseria. Sullo
squallore della sua cieca violenza, sui suoi egoismi e ipocrisie. Noi
sappiamo cosa c’è dietro la facciata, ed è questo che
ci rende fratelli.

Gensini
racconta con dovizia di particolari l’addestramento e gli attimi di
vita genovese, la carica di Manin sui pacifisti, la rincorsa del venerdì al black bloc, senza mai beccarlo per altro e non perché tra i neri ci fossero dei colleghi (altra mistificazione post giottina…) la carica madre di tutto il g8, quella di
Tolemaide. L’autore non ha problemi a raccontare gli usi illegittimi di
manganelli e altre armi a svelare le sensazioni di un uomo dentro a un casco che non vede altro che fumo e ha solo voglia di menare le mani, di sfogare l’ipocrisia comune e più in generale, spaccare il culo a chi ha davanti, come quando al termine del racconto di una carica, conclude: quelli che restano non sono i più coraggiosi. Sono solo stupidi. Perché noi li tritiamo. Ogni volta, li tritiamo.

Difende il suo corpo, come ogni poliziotto,
ma non ha nessuna voglia di santificarlo, anzi. Semplicemente, sembra
essere la sua conclusione, loro e noi, siamo due ingranaggi necessari
ma non indispensabili di un sistema che sopravvive grazie alla
violenza e a nient’altro.

E’
una società basata sulla violenza, gestita da chi si fa i
cazzi propri e porta la gente a menarsi tra loro. Alcuni legalmente,
altri no, fine.
E
ho apprezzato la lucidità di certi passaggi: una società
individualista non può essere non violenta. Alla fine sopporto
la violenza solo in astratto e solo se riguarda gli altri, meglio se
ipotetici, ma ci mette poco a perdere la testa se riguarda lui. […]
Via Tolemaide è una conseguenza naturale. Noi, se non altro,
ci risparmiamo l’ipocrisia di un sorriso falso. Noi non siamo non
violenti. Noi siamo quello che siamo.

Infine una nota: Gensini la butta lì, nell’ottica di uno scontro che quasi vorrebbe essere ad armi pari, dimostrando acume, quando si chiede, come si a fa mandare centinaia di migliaia di persone in piazza senza un servizio d’ordine? Bella domanda Gensini…

Altro
libretto da viaggio in treno è La forma della paura di De
Cataldo e Mimmo Rafele. L’ho preso nonostante le critiche e le
stroncature. E alla fine mi ha profondamente deluso. Sciatto, mollo
come una panissa
diremmo a Genova, senza ritmo, clamorosamente brutto
in certe parti. Aspetto con ansia che De Cataldo torni a scrivere,
invece di guardarsi allo specchio.

Posted in Pizi Wenxue.


2 Responses

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  1. cla says

    ho trovato interessante anche “Acab” di Carlo Bonini, a riguardo.
    per il resto mi chiedo, da sempre e senza risposta, quale siano moto e origine della violenza.

  2. pwd says

    La frase “Il segreto sull’umanita…” risuona molto nella mia testa, da un po’. La miseria e la cieca violenza sono un segreto? O lo sono solo per noi, acculturati e benestanti, abituati a leggere la realtà attraverso i nostri schermi culturali?

    Per vicissitudini personali, mi trovo sempre più spesso a pensare che Gomorra non sia un lato nascosto della realtà, ma che sia la realtà stessa. Presentare Gomorra come una “rivelazione” è solo un’operazione editoriale buona per noi, cui piace credere che qualcos’altro sia esistito e possa esistere. Siamo proprio noi (un noi vasto, ma non troppo: forse un quarto del paese) i coltivatori di quell’ipocrisia, ne abbiamo bisogno non per tirare avanti, ma perché non sappiamo essere così violenti, e vogliamo convincerci che conti anche altro, che c’è possibilità di azione anche per noi.

    Un imprenditore, un operaio, un commerciante, abituati a uomini “homini lupus”, che per quarant’anni non si sono posti domande, sanno che Gomorra è la realtà da sempre. Forse non ci hanno nemmeno mai pensato. Non si sono mai dovuti creare ipocrisie. Forse solo l’esperienza di una figlia a scuola, la necessità sperarla migliore di sé, può incrinare questo bovino rapporto con una realtà che solo noi percepiamo come lato oscuro. Ma anche quella dura pochi anni, è una parentesi.

    È dunque davvero solo un segreto dei celerini? Se la destra italiana ha consenso, non è proprio perché propone una realtà che conoscono già tutti?

    Eppure, sono sicuro che sia il loro collante più della divisa, più dell’investitura. Per menare operai, immigrati, ultras non serve troppa droga o cattiveria. Basta ricordarsi che quell’operaio o quell’ultras mettono in conto la violenza data e ricevuta ogni giorno, in fabbrica o dentro casa. Che forse si scandalizzerà qualcuno di quel quarto di paese, di cui tra l’altro operai, immigrati e ultras non fanno parte. Ma gli altri sanno bene che non c’è nulla di strano a menare per primo, menare più forte.

    Gli ipocriti siamo noi: siamo talmente ingenui da pensare che siccome “la tv non ne parla”, allora nessuno sappia che Gomorra è l’Italia tutta. Pensiamo che “bisognerebbe dirlo una volta per tutte”, mentre tutti lo sanno già. Siamo noi i poveri scemi che pensavano di liberare il media per sconfiggere la TV: quelli che conoscono davvero Gomorra, perché ci vivono dentro, invece non hanno bisogno della TV. Se un giorno fossimo noi ad occupare gli studi Rai, gliela sbatteremmo forse in faccia tutti i giorni, sperando un cambiamento. Ingenui: i gomorriani cambierebbero canale, perché si annoierebbero.

    Insomma: mi sa che il segreto dei celerini è il segreto di Pulcinella, che tutti conoscono meglio di noi e che per tutti è il principale canale di rapporto con l’altro.