Skip to content


[Cronache di un allenatore di calcio a Pechino] Tecnica, lucchetti e scale armoniche

Per
dire dei cinesi e la casa, allucinante.

Prima:
a me la parte dell’allenamento che è sempre piaciuta di più
è la parte tecnica. Per questo gli allenamenti che faccio sono
tutti incentrati su di lei, la boccia: cura, controllo, stop,
passaggio, finte, dribbling, palleggio, appoggio, lancio, tiro. Tutto
dipende dal piede, vero, ma anche dai movimenti, dal corpo, alzare
sempre la testa, non guardarsi i piedi: rendere naturale quello che
all’inizio fai pensando. I primi dieci minuti dell’allenamento li
chiamo: anarchy moment. Inutile stare lì a menarsela:
gli faccio prendere il pallone e: fate quello che volete. Questi
arrivano da una giornata a scuola massacrante, devono pure sfogarsi!

Con
alcuni facciamo qualche dribbling, altri si sono intrippati con il
tiro a rientrare. Oppure sto lì, mi faccio due palleggi e mi
assicuro che: non si ammazzino a coppini, non seghino i pali delle
porte, non prenda fuoco niente e che nessuno sparisca. A volte
giochiamo a prendere la traversa: in un campetto piccolo dico ancora
la mia! Del resto io non ho mai avuto voglia di correre, quindi le
corsette e gli scatti con cui inizia l’allenamento, servono solo a
fargli tirare altre mazzate tra loro in libertà.

Poi
si prende la boccia. E tutto ha inizio.

Alla
fine invece delirio, perché questi devono salire tutti su
alcuni pullman e ne manca sempre qualcuno. L’altra volta ho scoperto
un segreto recondito: ne manca sempre uno. “Si nasconde, gioca
così”, mi è stato detto.

Poi:
la mia casa pechinese. Dove sto mi piace: caldo, accogliente, piano piano si trasforma. Ci sto bene, nonostante alcune disavventure avute nell’ultimo anno. Le ultime riguardano un rapporto poco chiaro con la
serratura della maledetta porta. Tempo fa ricevetti visite mentre ero
in Italia: si accontentarono di una chiavetta usb e alcuni cd dati.
Chissà cosa penserebbero se ora trovassero tutti gli schemini
degli esercizietti per gli allenamenti. Cmq: da quella volta la porta
ha cominciato a fare le bizze. Due sabati fa: chiave spaccata dentro.
Sabato sera, alle 20, che tipo mentre stai per infilare la chiave
pensi: che figata che con sto freddo maledetto e sto tanfo che c’è
in corridoio, ora entro IN CASA. Invece. Bestemmie, chiamo i padroni
di casa, niente non rispondono.

Con
me, la fortuna aiuta gli audaci, del resto, è presente un’intelligenza superiore: mi fa notare una
scritta incomprensibile su un adesivo attaccato sulla porta, con
scritto 24 vicino ad altre 24. Che civiltà quella cinese,
penso! Subito dopo, penso: si ma ora come glielo spiego. Allora
chiamo la mia insegnante e le dico: “per favore, chiami questi e le
dici di venirmi ad aprire la porta, serratura, chiave rotta, casino,
ecc?” (questa roba sinceramente non so manco ora come dirla). Lei
dopo poco mi richiama: “sono 150 kuai”, mi dice. Molto cinese. E
io: “per favore, chiami questi e gli dici di venirmi ad aprire la
porta, serratura, chiave rotta, casino, ecc?”. “Okle”.

Cammino,
avanti e indietro nel corridoio. Il vicino ha indubitabilmente
festeggiato il sabato sera con pesce di scolo di acqua di hutong del
1912 e Cavolo Imperiale con Aceto della dinastia dei Ming e Soia del
tardo periodo Tang.

Mi
richiama la laoshi: “arrivano tra venti minuti”.
Dopo quasi un’ora esco: strade, macchine, clacson, sirene, rincorse
di scracchi, errrrrre infinite al telefono: e poi ci sono io, davanti
alla porta del mio palazzo a sfumazzare guardando l’orizzonte e
vedendo solo morte e devastazione, porte sventrate, gente in strada
che si attacca a suon di chiavi inglesi e serrature di metallo
sofisticato.

Arrivano
due in vespa: sono loro, i tecnici. O scassinatori: va bene uguale.
Hanno le mascherine. Vabbè. Però è vero: oggi
ero in ufficio ed erano tutti con le mascherine. Mi sentivo in colpa,
non so, come fossi un untore. I due scendono dal vespino. Hanno una
piccola chiave in mano. Scendono e fanno per aprire il baule della
vespa. Io sto già risalendo le scale, solo che. Non si apre.
Il loro minchiosissimo baule non si apre. La chiave non gira, loro si
guardano, mani sui fianchi, si guardano e guardano me. Io sono in
fissa sul pezzo di chiave che mi è rimasto in mano. Questi
dovrebbero farmi entrare in casa.

Prendono,
non so da dove, una pinza gigantesca e cominciano a girare la chiave.
Niente. Mi guardano, li guardo. Prendono la pinza e la sparano contro
il baule. Si apre. Prendono gli attrezzi e salgono dietro di me.
Giunti al piano mi fermo, li guardo, mi guardano, gli offro una
stizza. Ora ci siamo.

La
foto, grazie L., e altre, le trovate qui.

Posted in Pizi Wenxue.


4 Responses

Stay in touch with the conversation, subscribe to the RSS feed for comments on this post.

  1. b. says

    feili, nelle impolverate stanze del commissariato di Sanlitun, si vocifera di varie possibilità: rapita dagli uighuri, usata dai dissidenti per riempire di churros nanluoguxiang, sacrificata da quelli del falun gong in un rito propiziatorio segreto per ridurre alla balbuzie hu jintao.

    ti aggiornerò.
    baci
    b.

  2. feili says

    ma che fine ha fatto la mia bici carla?????
    bella beijing innevata!
    tanti besos
    F.

  3. b. says

    è il futbalin spagnolo!!
    barca vs real…indovina chi tengo io…
    ahahah merenguero dei miei stivali!!
    🙂
    b.

  4. cauz. says

    cioe’, gli uomini nel calcetto cinese hanno le braccia in posizione di corsa? fantastici…

    comunque il tuo socio a calcetto e’ un personaggio decisamente affascinante.