Ci
sono tre principali poliziotteschi ambientati a Genova. Nel
loro genere tutti e tre sono dei classici. La cosa più
interessante è riconoscere alcune zone di Genova, nella Genova
anni 70. Un’altra – e sempre simpatica – curiosità, è
quella di percepire la percezione dell’anima di quei tempi.
Ora,
il poliziottesco vive su alcuni elementi classici: droga
dappertutto, botte da orbi, complotti in ogni dove, sparatorie
ovunque (ad esempio proprio in Mark il poliziotto spara per primo,
ambientato a Genova, Mark arriva all’ultima scena con almeno 30
delitti alle spalle. Spara di continuo, tipo gli guardi gli stivali o
i jeans stretti e lui ti spara. Nell’ultima scena c’è uno dei
cattivi (che poi gli attori sono sempre gli stessi e i cattivi
diventano buoni, gli sbirri i cattivi, insomma un casino, in ogni
film se non sei concentrato rischi di non capire una mazza perché
il mafioso di Roma violenta, magari in Il cinico l’infame e
il violento è lo sbirro e si rischia di fare confusione)
che punta la pistola a un poliziotto, mi pare. O comunque sia è veramente una situazione di merda per le solerti forze dell’ordine. Uno degli altri
poliziotti, giunti lì per caso con Mark, messo alle strette, ammazza il cattivo. Mark si
incazza come una iena e consegna il tesserino al capo della squadra mobile, improvvisamente, nell’ultima scena del film, prima di allontanarsi solo, contro il mondo. Così. Mark è infatti estremamente deluso, ecco,
più che incazzato sembra deluso. Queste mesc
un po’ bandito, ma anche un po’ bambinone, un po’ zingaro, un po’
peones: Mark è deluso, affranto, triste. Non si capisce
però, se sia ravveduto dopo essere diventato in 55 minuti il
più grande serial killer della storia o si sia incazzato solo
perché non lo ha potuto seccare lui, l’ultimo morto del film).
Il
poliziottesco è un cinema a tratti ingenuo nei suoi
errori (in certe scene ci sono attori che cambiano tre volte la
maglietta, oppure il morto prima è sulla poltrona, poi sul
frigo, cose così, ma ne facevano uno al giorno di film, non è
che si potesse stare lì a fare filosofia), ma a suo modo
preconizzatore e allo stesso tempo, uno dei modi per fare critica
sociale con un mezzo, e sceneggiature e soggetti e attori, popolare.
Infatti
ha una sua sostanziale biforcazione: da un lato il poliziottesco
sociale (Di Leo, ma anche titoli storici come La polizia è
al servizio del cittadino? di Romolo Guerrieri), dall’altro il
poliziottesco di azione tout court, sangue e merda. Immancabili,
in entrambi i casi, gli inseguimenti in auto sfinenti, con sottofondo
di musichetta ipnotica, dialoghi fantastici, surreali e cazzo duro,
espresso con frasi tipo, conosco solo una legge, la mia. Machista
iroso e ribrezzevole, con le donne solitamente confinate a ruoli
vagamente retrogradi in tema di diritti, il poliziottesco vive
di rude realtà sociale, solitamente sottoproletaria, ma anche
di grande ironia. Moltissime le autocitazioni. In
un film, mi pare Provincia Violenta, due
signore se la chiacchierano. Una è la mamasan di un
bordello, l’altro una pischella che l’anziana volpe sta cercando di
adescare (robe tipo che la drogano e poi le fanno le foto hard e la
ricattano). Parlando una dice all’altra, “potremmo andare al
cinema!”. “Eh già, ma a vedere cosa?”. “Uhm basta non
andare a vedere quei polizieschi, sempre uguali, sempre le stesse
storie”. Autoironici i poliziotteschi!
In
La Polizia incrimina, la legge assolve, del grande Enzo
Castellari (autore anche de Il Cittadino si ribella, anch’esso
ambientato a Genova, nonché de La via della droga e Il
grande racket, superbi, nonché autore del sito da cui è
tratta la foto di scena pubblicata nel post) Genova è
fantastica come teatro di guerra tra due clan che si gestiscono il
traffico di robba, con la polizia che, al solito, indaga,
indaga, ma le cazzo di prove non bastano mai, perché la rete
della mala è un magna magna anche con la società
borghese bene. Quindi,
nel poliziottesco, è facile imbattersi in poliziotti che
dicono sempre “eh ste cazzo di leggi, di processo, di garanzie per
la difesa, di coperture, ecc.”. E se possono si fanno giustizia da
sé, contro i cattivi che, a parte alcuni rari casi, sono quasi
sempre delle macchiette esilaranti (basti pensare a Il Cinico,
l’Infame e il Violento), o in ogni caso il confine tra bene e
male è sempre labile. Una sorta di precursore dell’hard
boiled letterario americano.
Nel
film, dicevo (?), a un certo punto fanno una retata a Caricamento. Si
portano via un tot di leggere, come si dice a Genova,
(informatori, papponi, trans e drughè) in Questura. Uno
dei commissari gira intorno e in mezzo alla cinquantina di persone
accomodate lì, con sguardo torvo. A un certo punto uno grosso
(un pappone bifolco e dai modi spicci) gli fa, Commissario scusi,
posso andare al cesso? Con una cadenza genovese da fare paura. Il
Commissario lo guarda male. E quello termina la frase: E’ che ho
da mettere al mondo un polissiotto. Altro che la Squadra, i Ris,
I Marescialli e i don Mattei.
Qui
sotto Castellari, per due soli minuti, parla di Genova e dei suoi film…
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Yes.Thats true.
ariat boots