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Nietzsche, Pulici e il cuore granata

«In principio fu il grande Torino»: inizia così Ecce Toro (Laterza, pp. 190, €9) dello scrittore torinese e torinista Giuseppe Culicchia, già autore di Tutti giù per terra e Il paese delle meraviglie. Un libro uscito poco prima dello scandalo di Calciopoli che ha portato «l'altra squadra» in B e poco prima di un campionato di A appena cominciato che il Toro vorrebbe vivere da spericolata outsider. Con il campione del mondo Barone, con l'estro di Fiore – ancora lontano dalla forma migliore – e la speranza che il granatiere Stellone trovi il giusto spazio e l'anno della sua consacrazione nella massima serie, l'attesa del popolo granata c'è ed è grande, nonostante un inizio di stagione piuttosto complicato. Qualche patimento di troppo nelle amichevoli precampionato, una battuta dell'allenatore De Biasi sull'acquisto dello sconosciuto giapponese Oguro e il presidente Cairo che prima sdrammatizza, poi incontra Zaccheroni ai funerali di Facchetti e si decide: neanche il tempo di iniziare e cambia il timoniere, via De Biasi, licenziato telefonicamente poco prima dell'esordio con il Parma, dentro Zaccheroni. Il Toro inizia il campionato in salita, due pareggi e due sconfitte in quattro partite, ma Zac predica entusiasmo: «abbiamo intrapreso la strada giusta». Sabato al Comunale arriva la Lazio.
Il libro di Culicchia richiama a Nietzsche sia nel titolo che nei capitoli che lo compongono («la gaia goeba», «l'antiprisco», «la tauromachia nell'età tragica dei Moggi» o ancora «la nascita della torogedia»): l'autore giustifica in questo modo il fatto di avere proposto a Laterza – casa editrice che annovera filosofi e grandi scrittori nel proprio catalogo – un libro sul calcio, anzi sul Toro, abbandonando fin dalle prime righe qualsiasi posizione imparziale e ponendosi solo in un'ottica, quella della specialità della maglia granata e dell'essere suo tifoso. A cominciare dai ricordi del vecchio stadio Filadelfia, del grande Toro di Superga, di Meroni, la farfalla granata: Culicchia dopo averne tratteggiato il ricordo storico nel cuore dei tifosi, finisce inesorabilmente per tracciare una storia più recente, più anagraficamente vicina a lui e che parte dallo scudetto del 1975-76, passando per la finale di coppa Uefa contro l'Ajax del 1992, con Mondonico domatore di arbitri con la sedia alzata in segno di sconforto, fino alle ultime evoluzioni tra serie B e serie A, compreso «il penultimo presidente», quello che confessò la propria fede per l'altra squadra, il tradimento di Balzaretti e l'arrivo in extremis di Urbano Cairo («Urbano, troppo Urbano»), l'ultimo salvatore dell'epopea granata.
Il personaggio principale è dunque «Pulici, Paolo Pulici, Paolino Pulici, Pupigol, Pulicione», protagonista dell'ultimo scudetto granata, quello del calcio totale di Gigi Radice. Quando l'epoca Pianelli finì, la nuova dirigenza garantì che non avrebbe venduto «l'uomo Toro», invece venne subito ceduto. «Qualcuno ricorda per caso chi fu a metterlo sul mercato? Coraggio, non è così difficile. Fu uno che all'epoca stava al Toro, Luciano Moggi». Tra confessioni – Culicchia ammette di avere tifato bianconero in occasione della finale di Manchester tra l'innominabile e il Milan di Berlusconi, «giuro che non anteporrò mai più la politica al Toro», fa sapere l'autore – e aneddoti, trovano spazio gloriosi e meno gloriosi pedatori granata tra gli anni ottanta e oggi (Schachner, Fusi, Danova, la Scarpa d'oro Kieft, Polster, Policano, fino all'inglese Dorigo): solo uno di loro però, Pasquale Bruno, ha un capitolo tutto per sé. «Nonostante la stima per Marco Materazzi quando mena in occasione delle partite dell'Inter contro l'altra squadra (la Juve, ndr), Pasquale Bruno resta un esempio unico e inimitabile».

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