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[Sarpi – Shanghai — Intervallo –] Markaris- Charitos: sbirro dalla parte dei tifosi

 
Bene, sarai di ritorno da Atene, questo me lo sono proprio gustato…:-)
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Intervista allo scrittore Petros Markaris, autore di gialli e appassionato di calcio.«Il pronostico dice Milan ma il Liverpool è squadra imprevedibile»


Le orecchie grandi come la Coppa dei campioni, un occhio vitreo e il rosario greco attorcigliato alle mani, Petros Markaris è uno che il calcio l'ha sempre marcato a zona. 70 anni, tifoso tiepido di Panathinaikos, Roma e Barcellona, Markaris è un attento osservatore di rimbalzi e pedate planetarie. Autore teatrale, traduttore greco di Goethe e Brecht, giallista di fama internazionale, ha scritto con Theo Anghelopoulos buona parte delle sceneggiature del regista greco, da I giorni del '36 fino a L'Eternità e un giorno, palma d'oro al festival di Cannes nel '98. Figlio di un mercante armeno e di una casalinga greca, cresciuto in Turchia, attivista di sinistra durante la dittatura dei colonnelli, è il padre letterario del commissario Kostas Charitos, fratello greco di Maigret, Montalbano e Pepe Carvalho a seconda dei paesi nei quali i suoi libri son stati tradotti con successo (in Italia da Bompiani, ultimo in ordine di tempo La lunga estate calda del commissario Charitos, 2007). Un investigatore sui generis, perché in Grecia i poliziotti non li ama nessuno, men che meno Markaris che però il suo piedipiatti l'ha tirato fuori dall'uniforme e trasformato in un antieroe piccolo borghese, autoironico e terribilmente sarcastico. Domani, nell'Atene labirintica dei suoi romanzi, Milan e Liverpool si ritrovano per la rivincita della finale di due anni fa, la partita più pazza della storia recente del calcio. 3-0 per il Milan alla fine del primo tempo, 3-3 in soli sette minuti del secondo, poi i rigori e la vittoria dei reds grazie alle parate di un portiere polacco amico di Papa Woytila. Si giocava a Istanbul, città natale di Markaris che quella sfida se la ricorda bene. «Ero a casa, davanti alla tv. Al terzo gol dei rossoneri, ero così sicuro della vittoria del Milan che chiamai un mio amico e gli dissi: ok è finita, andiamo a mangiare. Lui mi invitò a resistere ancora un po', vediamo che succede. Alla fine gli offrii la cena in segno di gratitudine per non avermi fatto perdere uno spettacolo indimenticabile».

Questa volta chi vince?
Il pronostico dice Milan. Ha una qualità di gioco decisamente superiore, deve aver imparato qualcosa dagli errori del passato. In più ha la grande occasione di oscurare lo scudetto dell'Inter. Il Liverpool però è imprevedibile, non sai mai cosa aspettarti: oggi un disastro, domani un miracolo. E Rafa Benitez è un grande stratega del calcio: una persona perbene e un bravissimo allenatore. Fregarlo è un'impresa.
 
Tre anni dopo la grande euforia dei giochi, Atene torna sotto i riflettori del mondo. Qual è l'eredità lasciata dalle Olimpiadi?
Un mare di debiti che pagheremo per i prossimi 30 anni. La grandezza dei giochi è servita soltanto a chi si è arricchito costruendo impianti talmente lussuriosi che oggi non li vuole più nessuno. Costruzioni che marciscono come il villaggio olimpico e stadi giganteschi come quello che ospiterà la finale tra Milan e Liverpool: non ci gioca mai nessuno perché è impossibile riempirlo di tifosi.
 
Qualcosa di positivo?
La via attica, la tangenziale, la metro. E l'autostima dei greci che è aumentata a dismisura. Ci siamo accorti di potercela fare anche noi e questo finalmente ci ha fatto sentire cittadini dell'Europa.
 
Si respira aria di festa, come nell'estate 2004.
Difficile fare un confronto perché il fanatismo del calcio è estraneo a un avvenimento come le Olimpiadi. Gli ateniesi sono un popolo estroverso: la gente si diverte e gode senza freni in occasioni come queste ma quello che non si coglie dall'esterno è l'indifferenza del giorno dopo. Si vive il momento con grande eccitazione ma poi tutto passa e non interessa più. Questo forse spiega il cattivo rapporto che i greci hanno con la loro storia.
 
Nel suo libro "Difesa a zona" (2002), lei paragona il muro difensivo in cui s'imbatte il commissario Charitos durante le indagini sulla corruzione del calcio greco di serie C a quello appunto di una difesa a zona di cui il Milan è maestro dai tempi di Sacchi. ..
Charitos non è un grande conoscitore di calcio, altrimenti avrebbe risolto quel caso molto più rapidamente. Il problema è che i suoi avversari adottavano una doppia difesa a zona, ancora più impermeabile di quella del Milan.
 
Avrà letto dello scandalo che ha travolto il pallone italiano. Dopo quasi un anno ancora non se siamo venuti a capo. Non è che il suo commissario ha tempo per un viaggetto dalle nostre parti?
Mah, io verrei volentieri, lui non so. A me incuriosiva sapere perché gli imprenditori investono così tanti soldi nel calcio per poi ritrovarsi pieni di debiti. Poi ho capito che le leghe minori, ma non solo quelle, esistono esclusivamente per riciclare denaro sporco. Una volta, durante un incontro col mio amico Massimo Carlotto, mi chiesero se non avessi paura di scrivere certe cose. Ma perché – risposi io – voi forse conoscete un mafioso che si interessa di letteratura? Infatti nessuno si è mai lamentato. Il giallo negli ultimi 10 anni ha cambiato faccia: una volta raccontava crimini d'amore e di eredità che si risolvevano come un cruciverba. Oggi invece racconta la grande criminalità organizzata: la globalizzazione economica ha globalizzato anche il crimine e il suo genere letterario. Tutti noi facciamo parte di questo sistema, spesso ci ritroviamo a lavare soldi sporchi senza saperlo: acquistando il biglietto di una partita per andare a vedere il supercampione comprato chissà come.
 
Il calcio è un gioco sporco. E violento pure, a giudicare da quel che combinano i tifosi tanto in Italia quanto in Grecia: quest'anno sono stati fermati entrambi i campionati per tragedie simili…
Oramai è impossibile parlare di sport. E' solo business, multinazionali. Brecht diceva che il teatro è un'impresa che vende intrattenimento notturno e che il termine «arte» è molto astratto proprio perché nasconde la vera natura dell'impresa. Con la stessa logica, il fanatismo del tifoso serve a coprire i metodi più o meno illeciti con cui le società di calcio fanno affari. La passione del tifoso, anche di quello violento, è il filtro che permette agli impresari del football di fare quello che vogliono. Basta vedere quel che sta accadendo nel calcio europeo, ridotto ormai a un bel gioco di imprenditoria. Una parte dell'Europa non ama l'espansionismo russo? Ecco spuntare all'orizzonte Roman Abramovich che ha trasformato il Chelsea in un ponte privilegiato per gli affari di Mosca. Il problema è che i tifosi tutto questo non lo capiscono, vedono solo le vittorie finanziate dalle risorse misteriose di un magnate siberiano. L'ultima moda ora è quella dei ricconi americani che pur non avendo alcuna tradizione calcistica investono vagonate di dollari per comprarsi squadre come Manchester United e Liverpool. Dei tifosi non gli frega granché, l'importante è accaparrarsi un pezzo della torta. E' buffo, col nuovo secolo la guerra fredda si è trasferita sui campi di calcio.
 
Il Milan ad Atene ha già trionfato una volta, nel '94, 4-0 al Barcellona. Berlusconi non c'era perché il senato quel giorno votava la fiducia al governo. Questa volta è annunciato in pompa magna, per sfruttare il successo in chiave elettorale…
Conosciamo tutti il potere mediatico del calcio, possiamo solo scherzarci su. Berlusconi è la persona che meglio di chiunque altra rappresenta la nuova politica tenuta in ostaggio dall'economia. E' come quelle confezioni di shampo e balsamo, due prodotti in uno. I regimi comunisti sono crollati nel tentativo di ideologizzare l'economia e il neoliberismo oggi fa lo stesso errore. La cosa in qualche modo mi conforta, perché vuol dire che crollerà presto allo stesso modo.
Liverpool e Milan sono due squadre diversissime, quasi quanto i suoi gialli e i film di Anghelopoulos…
Quando scrivo libri mi sento un po' Benitez, quando invece lavoro alle sceneggiature mi trasformo in un portiere. Il bello del mio lavoro in fondo è proprio questo: poter essere un giorno calciatore e quello dopo allenatore.
 
[Da Il Manifesto] 

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