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[Olympics] Ping pong & Movida

«Agli
amici italiani che mi chiedono della Cina, rispondo: venite a
vederla. Solo stando qui, si può capire qualcosa di questo
paese». Wenling Tan Monfardini, classe 1972, è
un’attaccante e non lo nasconde. Non c’è mai una palla troppo
bassa: vanno tutte bene per schiacciarle dall’altra parte della rete.
Ogni tanto capita di doversi allontanare dal tavolo e difendersi.
Dura e morbida, pesante e leggera, yin e yang. «Acqua – ha
detto tempo fa – devo essere come l’acqua». E dal vivo si muove
ora lenta ora rapida, concentrata anche quando passa la mano sul
tavolo, mentre aspetta la pallina. E a salvarla dalle situazioni
difficili della partita, è sempre quel colpo istintivo,
rabbioso e preciso che segna un attacco.

Per le cronache sportive è
una giocatrice di ping pong italiana. Nata in Cina rappresenta
l’Italia a Pechino, insieme alla sua collega Nikoleta Stefanova,
bulgara e al rumeno Mihai Bobocica. L’allenatrice di Wenling Tan è
ungherese. Un melting pot per uno sport assai minore in Italia, ma
che in Cina trova il suo vertice: è lo sport nazionale. Ieri
nella palestra dell’università di Pechino c’era anche
Petrucci, il presidente del Coni, per vedere l’esordio del team. Tan
Monfardini, nata in Cina, anni fa è giunta in Italia. Ha
incontrato un uomo che di mestiere fa l’apicoltore. Si sono sposati,
hanno una figlia. Ormai sono undici anni che Tan Monfardini vive in
Italia, unendo alla vita quotidiana la sua passione sportiva per il
ping pong, con risultati importanti: campionessa nazionale nel 1999 e
nel 2000 e dal 2002 al 2005, medaglia d’oro, d’argento e due bronzi
ai Campionati Europei del 2003, 2005 e 2007. Oggi prova a sfidare le
regine del ping pong cinese, in casa loro, con la maglia azzurra.

Ieri ha avuto la meglio dell’ucraina Sorochinskaya (4-2) al
termine di un incontro sorprendentemente combattuto, con l’avversaria
a ergere il muro agli attacchi dell’italo cinese. «Non la
conoscevamo – ha detto l’allenatrice – e per questo Wenling Tan ha
faticato». «C’è bisogno di ambientarsi – ribatte
la protagonista al termine della gara – bisogna conoscere il tavolo,
le distanze. Per vincere, tutto deve essere perfetto». E dopo
le note tecniche sull’incontro, si passa alle sensazioni e alla
particolarità della situazione. Una cinese che gioca per
l’Italia a Pechino. «È un’emozione forte, sono contenta
di essere qui e di gareggiare per l’Italia. Così ho per me il
tifo degli italiani e anche dei cinesi». E a Pechino, ad ogni
punto, Wenling Tan mormorava un sì tutto italiano, tra i
sorrisi dei connazionali: «Con le cinesi ho degli ottimi
rapporti. Sono andata a complimentarmi con loro per la vittoria della
gara a squadre. Le cinesi che gareggiano con altro passaporto sono
considerate delle ambasciatrici della Cina in giro per il mondo».
E ce ne sono tante. Oggi Wenling Tan se la vedrà con
un’austriaca particolare: una cinese nata a Pechino, Li Qianbing.
Figlia di Li Xiaodong, il tecnico della squadra maschile di ping
pong, quella cinese. Cose da Beautiful, ma non è strano: su 48
donne che rappresentano 16 federazioni di ping pong, nell’edizione
olimpica di Pechino, 28 sono nate in Cina. E ai cinesi la cosa non dà
fastidio: per una che se ne va, solitamente perché messa da
parte a causa della dura selezione locale, in casa ne hanno già
due più forti e più giovani. Ad Atene nel 2004 si era
parlato di una sorta di coalizione di tutti i paesi contro la Cina, a
causa del cambiamento di alcune regole, anti dominio cinese (pallina
più grande, set a 11 punti). Zhenhua, tecnico del dream team
all’epoca, commentò serafico: «Vinciamo anche se
giochiamo con le mani, senza la racchetta». E dire che la
diplomazia ha anche ammantato di storia lo sport nazionale del
Dragone. E le cinesi, nel ping pong sono ambite da tutte le
federazioni: «È come per i brasiliani nel calcio – ha
detto un giorno Jan-Ove Waldner, star svedese del tennis tavolo – se
uno è brasiliano anche se non è un fenomeno, è
sicuramente bravo. Nel ping pong, se è cinese va bene».

Tan Monfardini va più che bene e sogna una medaglia.
Uscita presto ad Atene l’obiettivo odierno è arrivare tra le
prime otto proprio in Cina, dove torna regolarmente per fare visita
ad amici e parenti, ma di cui ancora non ha valutato i cambiamenti
della capitale. A Pechino da sei giorni ha solo cercato
concentrazione, «Anche se mi sembra bellissimo qui. Meglio di
questa Olimpiade non ce ne sono mai state, né ce ne saranno
mai. Gli impianti sono favolosi e per vincere una medaglia serve che
tutto sia perfetto, ogni minimo dettaglio».

E la Cina è
patria di ping pong: non a caso Wenling Tan porta regolarmente sua
figlia Gaia, di sette anni e mezzo, a Liaoling, provincia cinese nord
orientale, dove è nata e dove la scuola di tennis da tavolo ha
sempre sfornato campioni. Come Wang Nan o Guo Yue, stelle della
nazionale cinese. «La differenza tra italiani e cinesi nel ping
pong emerge tutta. Ci vuole concentrazione, dedizione e allenamento.
La mente deve essere sgombra, non devono esserci distrazioni. In Cina
si lavora su questo aspetto, oltre a quello tecnico. La differenza la
fa l’allenatore. Mia figlia mi sembra portata e vorrei diventasse
brava, quanto le cinesi». Infine, dopo le domande di alcuni
cronisti giapponesi, a Wenling Tan tocca l’argomento caldo, il Tibet
e le polemiche sul suo paese. Appoggiandosi al muro della zona mista
della palestra, lei prova a ritornare acqua: «Ogni paese ha i
suoi problemi, io ora devo pensare solo all’Olimpiade».

 

Village
People al China Doll

Il
China Doll è il club più fichetto di Pechino. L’hanno
aperto l’anno scorso a Sanlitun, il cuore della movida locale e in
pochi mesi ha ramazzato tutti i premi possibili e immaginabili.
Miglior design, miglior after hour, miglior posto per trovare una
fidanzata/o, miglior centro d’avvistamento di esseri umani, persino i
cessi migliori. Appartiene a Ai Wan, attrice, modella, producer,
stilista, scrittrice (La follia dell’appetito è stato il
best-seller assoluto del 2006), nata a Shanghai, cresciuta in
America, poi rientrata in Cina, simbolo della nuova classe creativa
della capitale. Nel suo locale s’infilano soprattutto giovani
espatriati stranieri, non ci sono liste vip, si pagano 200 yuan
(circa 20 euro) e si entra senza problemi. Domenica sera c’era un bel
pezzo di villaggio olimpico a scaldare la pista da ballo del China
Doll, quinto piano di un palazzo di vetro con vista sulla strada dei
bar. Nuotatori in prevalenza, quelli che hanno già finito di
gareggiare ma anche cestiste, pallavoliste, velocisti in incognito.
Corpi di atleti sotto magliette anonime, jeans sdruciti, vestitini
scollati, canottiere e catene da rapper i più scuri di pelle.
Pettorali da urlo certo, ma molto meno impressionanti che in gara.
C’era Alain Bernard, il re francese dei 100 stile libero e con lui il
compagno Amaury Levaux che gli ha soffiato l’argento nei 50. Il
brasiliano Cesar Filho Cielo, che li ha battuti entrambi, primo pesce
carioca della storia olimpica. L’inglese Alex Partridge (argento nel
canottaggio), l’intera squadra canadese e poi olandesi, americani,
tedeschi, australiani, estoni. Tutti scatenati nelle danze, tutti col
naso all’insù quando una nuotatrice russa bellissima è
salita sul cubo, vera regina della serata. C’erano pure due neo
medagliati azzurri, un po’ impacciati con la divisa ufficiale e i
loro metalli olimpici al collo, seduti sullo sgabello soli soletti a
osservare tutta quella varia umanità.

Nessuno dei due era
Montano, lo sciabolatore super paparazzato abbonato al Bilionaire di
Briatore, fresco vincitore del bronzo a squadre festeggiato chissà
dove. Non erano nemmeno calciatori, abituati a muoversi in mezzo a
tutt’altra fauna col loro codazzo di veline e amici fidati. Erano
canottieri, mischiati ai loro simili. I Village people, ragazzi che
ballano, fumano, chiacchierano, si ubriacano, pomiciano, vomitano al
bagno. Una festa Erasmus in piena regola, età media 23
anni.
Le coreografie del posto sono a metà strada tra
futurismo, porno e fantascienza super chic: foto retro-illuminate di
bambole cinesi e cavallucci a dondolo all’ingresso, baci saffici
tridimensionali su mura e soffitti, tre bambolotti nudi appesi per
aria con un fiorellino nel culo, divani di velluto argentati con
schienali ovaloidi. Le sale sono due, quella del dance floor più
psichedelica, ha un bancone centrale preso d’assalto senza sosta.
Nell’altra, luci soffuse, circola qualche allenatore ancora
giovanile, un medico italiano, un vecchio marpione dell’est Europa
che prima dell’alba si esibisce in una danza di panza. C’ è
pochissima Cina, quasi solo le cameriere e i baristi palestrati col
ciuffo emo.

A un certo punto spunta Nadal, t-shirt bianca,
pantalone blu. Lo fermano tutti, in modo tranquillo. Ehi Rafa, ti fai
una foto con noi? Lui ha passato tutta la settimana al villaggio, nel
pomeriggio ha vinto l’oro del tennis contro il cileno Gonzalez,
ennesimo trionfo della sua stagione magica. Sorride, non rifiuta mai,
scherza coi più audaci. Poi sparisce nel privè, un’ala
defilata dove non c’è quasi nessuno. Rinuncia a buttarsi nella
mischia di corpi sudati che si strusciano, si perde tutto il
divertimento. Lui è una superstar planetaria come Kobe Bryant,
gente che sta sotto i riflettori 365 giorni all’anno. Più di
Phelps, che pure è l’uomo copertina di questi giochi e qua sta
sera non c’è. Non è tipo, il kid di Baltimora, anche se
la colonna sonora della nottata è quasi tutta hip hop d’oltre
oceano (Dr. Dre e Snoop Dogg, Tupac Shakur, Outkast, Nelly Furtado,
House of Pain, Mop, Naughty by Nature) e ci sono un sacco di atleti
americani, che da Atene in poi non possono più andare in giro
con i colori Usa addosso per motivi di sicurezza. Ma si vede proprio
che sono yankee, festeggiano come a un party della confraternita
Alpha Omega Alpha, sono loro a chiudere il locale alle sette del
mattino quando su Pechino il sole è già alto da un paio
d’ore.

Al bar c’era anche un tecnico italiano, assicura che i suoi
ragazzi son stati bravi, non sono mai usciti prima della finale, lui
invece sì. Eccome. I canottieri stavano fuori Pechino, reclusi
in albergo ma dicono di essersi divertiti lo stesso, più che
ad Atene. Confessano in realtà di esser stati al Gt Banana
qualche sera prima, un altra mega club a Jianguonmen. Avessero
dimorato al villaggio avrebbero potuto provare l’agghiacciante
discoteca allestita in loco dal Comitato organizzatore: un hangar
color topo con sedie della coca cola, alcol e sigarette rigorosamente
proibiti, pop anni ’90 fino a mezzanotte, massimo della trasgressione
un gruppetto folk cinese che ogni tanto suona dal vivo per quattro
gatti. Anche loro alla fine sarebbero scappati dalla finestra per
buttarsi nella vita notturna degli hutong, di Huo Hai, delle
disco-pub di Sanlitun. Come ragazzi qualunque a caccia di un po’ di
divertimento. [da il manifesto]

Posted in Pizi Wenxue.


8 Responses

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  1. De says

    Dai non litighiamo qui:)
    Non rispondo sempre ai post, un po’ perchè non voglio diventi una cena tra amici, un po’ per timidezza.
    Ma da oggi in poi solo a te risponderò..
    Un abbraccio da bj, saluta Torino.

  2. iced says

    l’articolo su Wenling Tan è un sollievo. Ieri notte mi sono sorbita raisport, l’unico commento che girava sulle gettatrici del peso è che finalmente non sono più “sovrappeso, obese, quasi deformi” ma “solo robuste, talvolta filiformi”.Il tutto mentre il presentatore cercava di scopiazzare parole cinesi a caso. Viva il circo delle pantegane

  3. tro says

    litighiamo qui? 🙂
    si che te la tiri e fai l’antipatica!
    che cazzo lo apri a fare un blog se la gente ti fa i commenti sopra e tu non ci rispondi, me lo spieghi??
    te lo dissi già una volta che avevo notato questa cosa qui, qualcuno ti aveva chiesto del visto, nessuna risposta! Ma allora levali i commenti no? Anche se non sono cazzi miei, però i blog son pubblici quindi una un’idea se la fa..
    Per il resto, ti meriti anche un coNplimento, scrivi molto bene.
    Qualche banalità a parte, che quella vabbè sfugge a tutti.
    Sono orgogliosamente torinese
    ciao! 🙂

  4. de says

    Scusa b. ma rispondo al tal a cui sono antipatica.
    Non voglio mica fare scoop nella vita, scribacchio solo quello che ho in mente.
    Poi, dai, tirarmela proprio no…Comunque prova a ripostare (se ti va, mister) sono curiosa. Ciao da qui:)
    Solo una domanda: Sei milanese?

  5. de says

    Scusa b. ma rispondo al tal a cui sono antipatica.
    Non voglio mica fare scoop nella vita, davvero, scribacchio solo quello che ho in mente. Poi, dai, tirarmela proprio no…comunque prova a ripostare (se ti va, mister) sono curiosa. Ciao da qui:) Solo una domanda: Sei milanese?

  6. tro says

    Caro GoNpaGNO beirut,
    scusa se uso il tuo blog per rispondere alla De qui sopra.
    E’ che giorni fa ho provato a scrivere sul suo sito in questo post
    http://footonearth.noblogs.org/…na-e-giornalismo
    ma i commenti mi riNbalzavano e ho perso la pazienza.
    Niente, volevo solo intrufolarmi nelle vostre scaramuccIe e dire che
    “Minghia che articolo sul giornalismo, che scoperta! Sfondi(ate)una porta aperta”
    De, continui a starmi antipatica. Tiratela di meno. Con tutto il rispetto.
    bacibacibaci GoNpagno

  7. de says

    Occhio al refuso, chi di critica ferisce di critica perisce:)