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[China] Comandanti e pop, made in Italy e convergenze

Non
è facile trovare libri sulla Cina che vadano al di là
di resoconti esotici e aneddoti più o meno interessanti,
carini, simpatici, catalitici.

Resta
sempre l’amaro in bocca per uno stile, che definisco Rampini style,
che si limita a resocontare le cose, fingendo una lettura neutra e
dando sempre invece un’interpretazione piuttosto basata sui luoghi
comuni, siano cinesi o italiani. Nella consueta confusione tra
raccontini, cultura di massa e cultura popolare, nella sempre presente confusione che si fa. Come se il fatto di dover parlare ad un pubblico ampio, legittimasse una poca qualità. Basti pensare, invece, alla complessità odierna di svaghi, ad esempio televisivi, di massa, rispetto a quelli di trant’anni fa.
E’ una questione generale, ma che associata all’esplorazione della differenza cinese potrebbe dare luogo a esperimenti interessanti. Mi manca, nei libri
sulla Cina contemporanea, non alludo ai libri di storia, di pensiero
politico e filosofico, una vera e propria lettura critica, politica e
sociale che sappia tenere insieme la possibilità odierna di rielaborare autonomamente le informazioni. E’ un processo continuo e che non manca in Cina. E che di sicuro è ormai attuale in Europa e negli States. Forse perché in questo magma in movimento, non è
facile fermarsi e scorgere fenomeni comuni, in due mondi così
apparentemente distanti e su due binari differenti. O forse perché tentando un approccio diverso, si sgretolerebbero molti punti di partenza. O forse annullerrebbe una vasta produzione sulla Cina che sembra dire però sempre la stessa cosa, senza spingersi mai più in là di caute analisi e apocalittici scenari.

Due
libri costituiscono due piccole novità, o meglio, due vecchi modelli di lettura che però se non altro sono schierati chiamamente all’interno della stessa sfera di interpretazione: quella del
capitale. E noi siamo qui per rielaborare, mica siamo davanti alla tivu’. Non credo si possa essere mai super partes, credo che da
qualche parte gli esempi o le esposizioni, debbano trovare uno sfogo.
Molti libri sono delle grandi introduzioni: dopo ogni pagina,
capitolo, la domanda è sempre la stessa: e quindi?

Chi
comanda a Pechino?
(Castelvecchi, 2008, 18,5 eurelli) ha un
grande merito e non è strano che lo abbia. Lo ha scritto uno
del Cemiss, il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) (che è
diretto da un Maggiore Generale, o Ufficiale di grado equivalente,
posto alle dipendenze del Presidente del Centro Alti Studi per la
Difesa (CASD), ed è strutturato su tre Dipartimenti (Relazioni
Internazionali, Sociologia Militare e Scienze, Tecnica, Economia e
Politica industriale) ed un Ufficio Relazioni Esterne. Eh. E’ la
prima volta che trovo una biografia politica abbastanza illuminante
dell’attuale politburo cinese, all’interno di un libro in cui la
parte centrale è interessante. Come i militari guardano alla
Cina: sempre meglio saperlo in anticipo, no?

Dopo
l’occhio del militare, ecco l’occhio dell’uomo italiano, di cultura e
arguzia, che prova a tracciare una rotta per il paese di origine. In
due parole: l’uomo che si lambicca a trovare una strategia vincente
per il tanto decantato Made in Italy. Chi ha paura della Cina
(Tea, 2008, 9 eurini) è
di Francesco Sisci, corrispondente a Pechino de La Stampa. Poiché
il libro afferma un timore, l’introduzione di LCDM (Montezemolo) e i
primi capitoli seminano il tipico odore di merda di chi non sa come
affrontare la sfida. E allora Sisci prova a prendere dapprima per
mano la dirigenza italiana, spiegandogli cosa dovrebbe fare per
capire la Cina, infine, finalmente, si lascia andare a considerazioni
politiche che scrutano davvero la diversità cinese.

Così,
sia nell’uno che nell’altro libro, dopo innumerevoli numeri e
disquisizioni economiche, ne traiamo una deriva sociale che mi pare
molto interessante. Soprattutto la parte centrale del libro di Sisci,
sviluppa traiettorie da interpretare al di là della lettura
pro Italia che ne fa l’autore. Come fa l’Italia a sopravvivere alla
sfida cinese, si chiede Sisci? Domanda retorica, perché la
questione sembra già essere chiusa.

Più
interessante apparirebbe invece notare gli elementi che accomunano la
crisi culturale europea e la crescente economia cinese e i suoi
riflessi sociali. Tutti in realtà ne parlano, ma nessuno pare
concentrarsici: perché i numeri economici sono più
imponenti e perché la retorica è dura a morire. E
perché una riflessione che sposti sul sociale alcuni fenomeni
storici, porterebbe a conclusioni poco felici per chi ti fa
l’introduzione (ancora il made in Italy).

E’
questo che nessuno ha ancora fatto: rigurgiti sociali (in fenomeni
interessanti come la convergenza culturale di Jenkins: leggere il link aiturebbe per altro, a chi fosse interessato, a comprendere alcui passaggi di quest post altrimenti criptici, ma la convergenza è anche questa: disseminare indizi e rielaborarli a propria volontà) del vecchio
Occidente e spiragli sociali cinesi (da esplorare, trovare e mettere
in fila): questa mi sembra una sfida importante. Perché la
guerra silenziosa tra Cina e resto del Mondo non sia solo un
confronto tra due poteri e due economie, ma possa trovare una sintesi
sociale in grado di impressionare, una volta per tutte, il capitale.
Sia esso in crisi, o in espansione. Insomma qualcosa si muove, si o
no? La mia sensazione è che gli approcci ufficiali o riconosciuti come tali, anche sulla Cina, siano macchiati dall’incapacità di cogliere tanti elementi sparsi e interpretarli. Cosa più facile per altri, chi è ormai abituato a cambiare i contesti e immaginare storie. Dal dire al fare c’è di mezzo lo studio e la creazione dei mondi.

E io sto qua
in una città lontana
in una città
straniera
che vita è questa
che vita sarà
mai
più saggezza
mai più.

 

Posted in Pizi Wenxue.


11 Responses

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  1. nero says

    brutta merda, ricordati che prima di ripartire mi devi lasciare un po’ di libri, sennò rimango indietro 🙁

  2. :P says

    ecco perché non la conoscevo e cazzo google non mi era d’aiuto

    te la dò io Flavia Vento, va
    😛

  3. b. says

    la Famigghia?
    no dai non è vero! ieri sera mi sono perfino ritrovato a seguire l’Isola dei Famosi con Cabrini e Flavia Vento a discutere di sashimi.
    altro che…
    piuttosto tu, il 10 ottobre esce il disco di IF. e la citazione era da Il rimedio, che è il singolo…
    😉
    b.

  4. :P says

    invece per i Wu Ming, con i quali vi citate a vicenda, (che palle, ora anche tu e il tuo socio fate parte della Famiglia: voi Genna e tutta la banda) e il loro “Paese semplice”, niente luoghi comuni triti e ritriti li!
    sento puzzetta di wannabe intellectual

  5. b. says

    non credo però che tu abbia inteso la mia idea. Anzi sono io che non l’ho spiegata compiutamente. Sinceramente non sono in grado di spiegarmi meglio, perché sono cose su cui sto studiando e leggendo e ora non ho la possibilità di esposizione, diciamo.
    Posso dire quello che non volevo dire: non voglio fare la gara di chi sa più cose. Rampini è là da tanto e ne saprà sicuramente più di me.
    Poi magari lui ti porta al banana, io al dos kolegas, ma questi sono gusti…:-)
    Nell’attesa di chiarire il punto (il blog è anche un po’ un foglio di appunti in cui cercare altri contributi, no?) userei una citazione che riassume quello che vorrei dire: (proprio dal link di questo post) “Ci sono due schieramenti l’un contro l’altro armati – e dalle cui schermaglie dovremmo tenerci distanti: da un lato, quelli che usano il “popolare” come giustificazione per produrre e spacciare fetenzie; dall’altra, quelli che disprezzano qualunque cosa non venga consumata da un’élite. Sono due posizioni speculari, l’una sopravvive grazie all’altra. Le accomuna l’idea che a fruire della cultura pop siano le masse mute dell’Auditel, dei sondaggi di mercato, del botteghino”. Invece ci siamo anche noi, e questo posso già dirlo adesso.
    Ciao
    b.

  6. z says

    ok ottimo per rampini è esagerato diciamo buono, diciamo che sono letture che possono sembrare poca cosa a chi è più chinizzato, ma per me piuttosto ignorante hanno avuto il merito di dare un po di informazioni basiche e suscitare una certa curiosità ad approfondire.
    in attesa di girare con beirut alla scoperta dei peggiori quartieri di pechino

  7. Mario says

    a me Rampini mi sembra uno che scrive quello che gli dice il taxista o il buttafuori di una discoteca.
    Mi interessa di più il concetto che quanto deve essere divulgato, non per forza deve essere una merda.
    Mario

  8. b. says

    attenzione.
    io non ho detto che quella di rampini sia merda e basta. Nè mi interessava entrare nel merito dei libri. Mi interessava più dire quanto mi è veuto in mente leggendoli. Per dire Il Secolo Cinese di Rampini a me è piaciuto, ma non per le descrizioni cinesi, bensì per altri elementi che stavo cercando e che lì ho trovato, anche se non erano il clou del libro. Detto questo, su quanto dici, credo ci sia una differenza tra rampini e terzani intanto, ma come ho già scritto altre volte, tutti i corrispondenti italiani in cina (rampini, cavalera, sisci e vinciguerra del Sole) sono colti e informati, inseriti, chi più chi meno (e la differenza con chi è arrivato in cina a fare la gita si è vista quando ci sono state le olimpiadi) e hanno il difficile compito di raccontare un paese su cui sopravvivono mille stereotipi, ad un pubblico vasto come quello dei loro giornali (nei loro libri rimettono quello che hanno già scritto, creando spesso invisibili motivi che uniscono un aneddoto, una storia, una riflessione alle altre). Non è una cosa facile, ne sono certo.
    Dico solo che – e non parlo di Terzani che è un caso a parte – pur nell’ovvia necessità di divulgare da parte loro, mi pare che scrivano sempre la stessa cosa, spesso ributtando ai nostri luoghi comuni, altrettanti luoghi comuni cinesi.

    Se è un’ottima lettura, se verrai in Cina te ne accorgerai, o meno.

    ciao
    b.

  9. z says

    a proposito di libri,
    ho letto rampinistyle (l’ombra di mao) e terzani (la città proibita, bel libro di viaggio). per chi come me di cina non sa nulla sono buone anzi ottime letture.
    e poi sta all’intelligenza di chi legge capire che sguardi neutri e imparziali non esistono perché ognuno ha la sua sensibilità, i suoi preconcetti e le sue esperienze che sono sempre diverse da quelle degli altri.

  10. b. says

    e pensa che stasera con quell’uomo là che tu sai (non Ambrogioni), ci ceno perfino.
    Immaginati cosa può venire fuori…
    🙂
    b.

  11. cauz. says

    grande, hai sintetizzato precisamente il flow di chiacchiere dell’altro giorno al pub…
    sapere che facevi un report cosi’ efficace mi ubriacavo di piu’. 🙂