Trovarsi a Milano dopo Genoa Milan (2-0)
Trovarsi a Roma dopo Genoa Roma (3-1)
Sentire le lamentele dei milanisti.
Sentire le lamentele dei romanisti.
E’ un complotto a favore del Genoa, sicuramente.
Trovarsi a Milano dopo Genoa Milan (2-0)
Trovarsi a Roma dopo Genoa Roma (3-1)
Sentire le lamentele dei milanisti.
Sentire le lamentele dei romanisti.
E’ un complotto a favore del Genoa, sicuramente.
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– September 25, 2008
http://www.youtube.com/watch?v=SlwCeisHWUc |
e |
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– September 23, 2008
Tutti
concordano: è il mestiere peggiore del mondo. Ovvero: il ruolo di capo dei
controlli qualità in Cina. Ieri
si è dimesso Li Changjiang, a seguito dello scandalo del
latte alla melanina. E al suo posto ora è stato nominato (un po’ come nel grande fratello o l’isola dei famosi) Wang Yong, classe 1955, dal 1974 iscritto al partito. Il mestiere peggiore,
nel momento peggiore. Sulla vicenda ecco una breve carrellata dei
fatti.
— Latte
contaminato, 54 mila bambini intossicati, 4 morti, paura che dilaga
un po’ ovunque. Alcuni paesi asiatici e africani, per non
sbagliarsi, hanno bloccato l’importazione di latte cinese. Starbucks,
in Cina, vende solo latte di soia. I media cinesi ne parlano, il
Governo si barcamena tra rivelazioni e proteste e prepara il terreno
a una nuova resa dei conti interna. Storie da capitalismo dei
disastri, da Cina del 2008: mercato, speculazioni, controlli e
vittime, le solite. Scandali annunciati, come la debolezza
architettonica delle scuole del Sichuan o l’attuale disastro del
latte contaminato. E rese dei conti alla cinese. L’ultima notizia è
che Li Changjiang «si è dimesso con il consenso del
governo dopo che i prodotti contaminati hanno provocato
l’ospedalizzazione di circa 13.000 bambini, e la morte di quattro di
loro». Li Changjiang era il capo dell’amministrazione cinese
deputata al controllo sulla qualità. Si è dimesso e ora
si ritrova tutto solo a coltivare la speranza che basti così.
Politicamente è finito, ma i guai per lui potrebbero essere
anche più grandi. Perché la sua funzione è una
delle più rischiose: nel luglio del 2007 Zheng Xiaoyu, 63
anni, l’ex capo dell’agenzia per i controlli igienico-sanitari è
stato giustiziato, con l’accusa di corruzione. Aveva intascato soldi
per sorvolare nei controlli su medicinali e alimenti. Anche allora a
morire toccò ai bambini.
Tutto
è cominciato mesi fa quando in una delle aziende che producono
latte in polvere vennero segnalati casi di analisi allarmanti. Una
emittente televisiva dello Hunan denunciò l’alto numero dei
bambini ricoverati per problemi renali. Avevano unito i puntini, ma
l’ordine da Pechino fu perentorio: silenzio. A pochi giorni dai
Giochi, altre denunce e ammissioni, ma il copione fu lo stesso.
Infine, quando il latte messo in commercio ha iniziato ad avere i
suoi terribili effetti in modo massificato ecco le prime notizie,
seguite ai primi ricoveri. Il mondo del web ha aperto le porte su una
terribile vicenda, sulla quale il Governo di Pechino ha provato a
metterci lo zampino. Ma presto tutto è venuto a galla.
Si
deve a Jian Guangzhou, un reporter di Shanghai, la prima accusa
ufficiale nei confronti di un’azienda, la Sanlu, della provincia
dell’Hebei, partecipata anche dalla neozelandese Fonterra. Questi
ultimi hanno subito preso le distanze: Andrew Ferrier, amministratore
delegato del gruppo ha dichiarato: «facciamo controlli
rigorosi, non escluderei un sabotaggio». L’azienda cinese,
decisamente più invischiata, prima ha nicchiato, poi è
stata travolta dallo scandalo. Non bastano le scuse al popolo cinese:
una ventina di arresti, tra i quali figurano i manager e
l’amministratore delegato del gruppo. I nuovi mostri hanno aperto le
edizioni di molti quotidiani cinesi: Zhang Zhenlin, vice presidente
di Sanlu, è ritratto a capo chino, in gesto di scusa, con la
cravatta a ballargli davanti, tra il macabro e il ridicolo. E giorno
dopo giorno crescono le novità: alla Sanlu sarebbero stati
sequestrati circa 10 tonnellate di latte contaminato. Dopo i
dirigenti è il turno dei politici, in un crescendo, perché
le sorprese non finiscono lì: il 18 settembre il Dongguan
Times
annuncia che il vice governatore dello Hebei sapeva tutto. E’
l’ultimo passaggio di un terremoto politico della regione e del suo
capoluogo Shijiazhuang:
licenziati Ji Chuntang, il vice segretario del partito e alcuni
uomini dell’amministrazione locale sui controlli di qualità. E
l’aria si fa ancora più tetra. Con i giorni aumentano i
ricoveri, le morti e le novità: non si tratterebbe solo del
latte in polvere, ma anche di quello liquido, degli yogurt.
Non solo:
non sarebbe solo la Sanlu l’azienda a speculare con il ricco
commercio del latte in polvere. Ce ne sarebbero altre, tra le quali
lo sponsor olimpico (che avrebbe dovuto fornire il latte proprio al
villaggio degli atleti) Yili e i brand Mengniu e Shanghai Bright
Diary. Prodotti e marchi cinesi, dal marketing aggressivo e aiutato
da molte star. Queste ultime, respirata l’aria, hanno immediatamente
comunicato le loro decisioni. Liu Guoliang, mister della nazionale
cinese di ping pong e testimonial di Yili, ha già fatto sapere
che devolverà alle vittime i suoi introiti pubblicitari
macchiati dalla vergogna. A quel punto lo scandalo è divenuto
inarrestabile e la Cina ha messo in campo i suoi leader. Wen Jiabao,
una stagione a correre qua e là per tappare le falle del
sistema cinese, almeno mediaticamente, ha fatto visita agli ospedali
(come già nei luoghi tempestati dalla neve o dal terremoto),
si è fatto fotografare e annunciato la strategia del governo:
«mai più simili scandali». E mentre ai media si
chiedeva di prendere per buone solo le agenzie governative, la
faccenda si allargava: sarebbero 22 su 100 le aziende coinvolte nello
scandalo del latte, mentre da Hong Kong sono giunti sospetti anche
sulla Nestlè, che ha immediatamente ritirato i suoi prodotti
dal mercato asiatico, pur assicurando circa il rigore dei propri
controlli.
Dopo
la sbobba olimpica un’altra bella gatta da pelare per il governo
cinese. Il 2008, alla faccia dell’armonia, andrà in archivio
come l’anno dei disastri e dei disordini, nel trentesimo compleanno
delle «riforme»: non solo neve e terremoto, proteste in
Tibet e attentati in Xinjiang. Secondo fonti riportate dal Guardian
ci sarebbero state almeno 90 mila proteste nel corso dell’anno. La
causa nella maggior parte dei casi sarebbe la corruzione
dell’apparato dirigente del partito. [da Il Manifesto]
Adesso
guardami le mani
ti sembrano mani da padrone?
coraggio e
toccami le mani
che la mia vita non è
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– September 23, 2008
http://www.youtube.com/watch?v=THdNut30bew |
Era
Ma
E |
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– September 22, 2008
Una
cosa che non passa per la testa in Cina è la possibilità,
prima o poi, di incontrare un fascista. Non che non si incontrino italiani boriosi e qualunquisti o manager squallidi, ma non capita sicuramente di sentire parlare nei bar in
termini razzisti o vedere gente che sfoggia, ebbro e orgoglioso,
magliette terribili (sotto casa a Milano abbiamo beccato uno che indossava in tranquillità la maglietta "Rock against communism,
meglio morto che rosso"…)
Poi
arrivi in Italia e: ammazzano a sprangate un ragazzo italiano di
colore, il barista sotto casa racconta che ha tentato di dare fuoco a un
barbone, come raccontasse come ha giocato l’Inter la sera prima, la
gente si lamenta con i caramba degli spacciatori e i carabinieri
rispondono: copritevi il volto, non fatevi riconoscere e
ammazzateli e pure il barsport si colora di nero quando si sentono persone che non vogliono Ballottelli in nazionale perché è negro. Minimi storici, niente di nuovo. Il
minimo allora è andare al corteo per Abba (oggi, sabato alle 14.30 Porta Venezia) e poi a Quarto Oggiaro. E’
ben poco, ma è quello che abbiamo ora. Mica siamo a Castel Volturno…
Preso
a calci dalla Polizia,
incatenato a un treno da un foglio di
via,
oppure usato per un falò,
il nero, te lo ricordi il
nero, quando arrivò?
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– September 20, 2008
|
Ogni
(Silenzio)
Che |
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rev="post-2341" 1 comment
– September 19, 2008
Tre
bambini morti, 6.244 intossicati, 158 gravemente affetti da blocco
renale acuto, 1327 ricoverati in ospedale per complicazioni renali.
Giorno dopo giorno aumenta il bilancio delle vittime e si rivela
l’imponenza della nuova crisi alimentare cinese, scoppiata appena una
settimana fa con i primi casi di bambini avvelenati da latte in
polvere alla melamina, composto chimico usato per produrre plastica,
colla e fertilizzanti, che alcuni produttori caseari senza scrupoli
hanno aggiunto al latte per aumentarne il contenuto di proteine.
Era
logico che dopo le Olimpiadi l’attenzione sulle vicende cinese scemasse, ma lo scandalo
del latte in Cina, sembra costituire un esempio dei tanti
shock dell’economia e della politica cinese, in grado di ridisegnare
equilibri e posizioni e chissà cos’altro. Come per il terremoto del Sichuan, le cui conseguenze nelle stanze del partito sono ancora imperscrutabili. Lo scandalo del latte è scoppiato e oltre alle ditte
che producono il latte infetto, ci sarebbero responsabilità
anche da parte dei dirigenti del partito della provincia nella quale
il latte è prodotto (le autorità si sono già bevute i capi dell’azienda cinese (e neo zelandese) Sanlu e sembrano prossimi a blindarsi anche il sindaco della città in cui il tutto era prodotto.
Al
di là dello scandalo di cui si possono trovare informazioni in giro sui media mainstream, è
interessante il riverbero che esso ha sul web. I cinesi discutono e
costruiscono opinioni comuni, condivise, rielaborano le informazioni e usano i moderni strumenti di
comunicazione come una sorta di piano ideale da contrapporre ai media ufficiali e al
governo (via cellulare e bbs si organizzano proteste, via blog si
discute e si mette anche alla gogna la produzione locale, senza
differenze rispetto a quando le critiche vengono rivolte
all’Occidente).
La
marca in cui è stato trovato il più alto contenuto di
melamina è la Sanlu, controllata al 43% dalla compagnia
neozelandese Fonterra. Il presidente di Sanlu è stato
arrestato dalla polizia per violazione della legge sulla sicurezza
alimentare. Sotto accusa è anche Ji Chutang, il sindaco di
Shijiazhuang, la città dove ha sede la Sanlu, nonché
numero due del partito della provincia. Sembra infatti che il governo
cittadino fosse stato informato dell’adulterazione (in corso da mesi)
già all’inizio di agosto ma non avesse agito né
avvertito Pechino per via delle Olimpiadi.
In
particolare, su alcuni forum è stato chiesto: accettate le
scuse della Sanlu? Queste alcune risposte (Danwei le ha tradotte in
inglese):
sherron84:
I don’t know how much money the scapegoat took…
Wangming
Sanmao: This is a classic performance by government officials and
businessmen. The end result will be that the government pays money,
peasants go to jail, the companies resume their business, the people
who pay tax foot the bill, and children get to endure hardship.
beilangX:
Don’t fucking treat us as a silent majority!
First
chicken then egg: Boycott Chinese products!
Mingyue
Guangbai: How are we supposed to support Chinese products if they are
like this!
billow631:
Lock up Sanlu’s leaders. Don’t give them anything to eat except their
own milk powder.
Qualcuno
mette in evidenza che in questa Cina fantasmagorica, cominciano a
rimetterci spesso i bambini: con il terremoto in Sichuan e con questa
storia del latte in polvere. Qualche
link per capire meglio:
Commenti
da forum cinesi on line
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– September 18, 2008
Non
è facile trovare libri sulla Cina che vadano al di là
di resoconti esotici e aneddoti più o meno interessanti,
carini, simpatici, catalitici.
Resta
sempre l’amaro in bocca per uno stile, che definisco Rampini style,
che si limita a resocontare le cose, fingendo una lettura neutra e
dando sempre invece un’interpretazione piuttosto basata sui luoghi
comuni, siano cinesi o italiani. Nella consueta confusione tra
raccontini, cultura di massa e cultura popolare, nella sempre presente confusione che si fa. Come se il fatto di dover parlare ad un pubblico ampio, legittimasse una poca qualità. Basti pensare, invece, alla complessità odierna di svaghi, ad esempio televisivi, di massa, rispetto a quelli di trant’anni fa. E’ una questione generale, ma che associata all’esplorazione della differenza cinese potrebbe dare luogo a esperimenti interessanti. Mi manca, nei libri
sulla Cina contemporanea, non alludo ai libri di storia, di pensiero
politico e filosofico, una vera e propria lettura critica, politica e
sociale che sappia tenere insieme la possibilità odierna di rielaborare autonomamente le informazioni. E’ un processo continuo e che non manca in Cina. E che di sicuro è ormai attuale in Europa e negli States. Forse perché in questo magma in movimento, non è
facile fermarsi e scorgere fenomeni comuni, in due mondi così
apparentemente distanti e su due binari differenti. O forse perché tentando un approccio diverso, si sgretolerebbero molti punti di partenza. O forse annullerrebbe una vasta produzione sulla Cina che sembra dire però sempre la stessa cosa, senza spingersi mai più in là di caute analisi e apocalittici scenari.
Due
libri costituiscono due piccole novità, o meglio, due vecchi modelli di lettura che però se non altro sono schierati chiamamente all’interno della stessa sfera di interpretazione: quella del
capitale. E noi siamo qui per rielaborare, mica siamo davanti alla tivu’. Non credo si possa essere mai super partes, credo che da
qualche parte gli esempi o le esposizioni, debbano trovare uno sfogo.
Molti libri sono delle grandi introduzioni: dopo ogni pagina,
capitolo, la domanda è sempre la stessa: e quindi?
Chi
comanda a Pechino? (Castelvecchi, 2008, 18,5 eurelli) ha un
grande merito e non è strano che lo abbia. Lo ha scritto uno
del Cemiss, il Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS) (che è
diretto da un Maggiore Generale, o Ufficiale di grado equivalente,
posto alle dipendenze del Presidente del Centro Alti Studi per la
Difesa (CASD), ed è strutturato su tre Dipartimenti (Relazioni
Internazionali, Sociologia Militare e Scienze, Tecnica, Economia e
Politica industriale) ed un Ufficio Relazioni Esterne. Eh. E’ la
prima volta che trovo una biografia politica abbastanza illuminante
dell’attuale politburo cinese, all’interno di un libro in cui la
parte centrale è interessante. Come i militari guardano alla
Cina: sempre meglio saperlo in anticipo, no?
Dopo
l’occhio del militare, ecco l’occhio dell’uomo italiano, di cultura e
arguzia, che prova a tracciare una rotta per il paese di origine. In
due parole: l’uomo che si lambicca a trovare una strategia vincente
per il tanto decantato Made in Italy. Chi ha paura della Cina
(Tea, 2008, 9 eurini) è
di Francesco Sisci, corrispondente a Pechino de La Stampa. Poiché
il libro afferma un timore, l’introduzione di LCDM (Montezemolo) e i
primi capitoli seminano il tipico odore di merda di chi non sa come
affrontare la sfida. E allora Sisci prova a prendere dapprima per
mano la dirigenza italiana, spiegandogli cosa dovrebbe fare per
capire la Cina, infine, finalmente, si lascia andare a considerazioni
politiche che scrutano davvero la diversità cinese.
Così,
sia nell’uno che nell’altro libro, dopo innumerevoli numeri e
disquisizioni economiche, ne traiamo una deriva sociale che mi pare
molto interessante. Soprattutto la parte centrale del libro di Sisci,
sviluppa traiettorie da interpretare al di là della lettura
pro Italia che ne fa l’autore. Come fa l’Italia a sopravvivere alla
sfida cinese, si chiede Sisci? Domanda retorica, perché la
questione sembra già essere chiusa.
Più
interessante apparirebbe invece notare gli elementi che accomunano la
crisi culturale europea e la crescente economia cinese e i suoi
riflessi sociali. Tutti in realtà ne parlano, ma nessuno pare
concentrarsici: perché i numeri economici sono più
imponenti e perché la retorica è dura a morire. E
perché una riflessione che sposti sul sociale alcuni fenomeni
storici, porterebbe a conclusioni poco felici per chi ti fa
l’introduzione (ancora il made in Italy).
E’
questo che nessuno ha ancora fatto: rigurgiti sociali (in fenomeni
interessanti come la convergenza culturale di Jenkins: leggere il link aiturebbe per altro, a chi fosse interessato, a comprendere alcui passaggi di quest post altrimenti criptici, ma la convergenza è anche questa: disseminare indizi e rielaborarli a propria volontà) del vecchio
Occidente e spiragli sociali cinesi (da esplorare, trovare e mettere
in fila): questa mi sembra una sfida importante. Perché la
guerra silenziosa tra Cina e resto del Mondo non sia solo un
confronto tra due poteri e due economie, ma possa trovare una sintesi
sociale in grado di impressionare, una volta per tutte, il capitale.
Sia esso in crisi, o in espansione. Insomma qualcosa si muove, si o
no? La mia sensazione è che gli approcci ufficiali o riconosciuti come tali, anche sulla Cina, siano macchiati dall’incapacità di cogliere tanti elementi sparsi e interpretarli. Cosa più facile per altri, chi è ormai abituato a cambiare i contesti e immaginare storie. Dal dire al fare c’è di mezzo lo studio e la creazione dei mondi.
E io sto qua
in una città lontana
in una città
straniera
che vita è questa
che vita sarà
mai
più saggezza
mai più.
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rev="post-2339" 11 comments
– September 17, 2008
|
Visto
Avevo conosciuto dei ragazzi
Queer As Folk Beijing è il primo
|
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rev="post-2338" 3 comments
– September 16, 2008
Ho
trovato sul muro dei Gir il resoconto africano della partita di
ieri.
Mi è piaciuto e lo piazzo sul mio blog. Così
evito menate tattiche e storiche per spiegare perché ieri
abbiamo vinto noi. Il calcio riattiva ricordi e anche se non fa
tornare indietro le persone regala momenti di malinconia struggente.
Il Genoa poi è maestro di recupero e mantenimento della memoria.
Per quel che vale, la goduria di ieri e l’abbraccio finale di squadra e città sono ancora per te, Claudio Spagna,
sempre e per sempre nei nostri cuori. Di seguito Genoa Milan, al Safari Bar.
L’atmosfera
al Safari Bar di Kakoneni non è quella delle grandi occasioni,
ma poco ci manca. Quest’anno l’assembramento ha già
registrato i livelli massimi di colori, stupori, grida e afrori, di
denti bianchi in fila per quattro, occhi come quelli di rapaci
rivolti alla luna e ascelle come girasoli semichiusi. Prima con le
preoccupanti immagini degli scontri seguenti alla crisi politica del
Paese, poi con le vittorie nel mezzofondo alle olimpiadi di Pechino e
infine proprio la scorsa settimana, con la diretta di Kenya-Namibia
valevole per le qualificazioni ai mondiali del 2010 in Sudafrica. Per
la cronaca, 1-0 delle “Harambee Stars”, con gol di Jamal su
calcio di rigore (sacrosanto, per atterramento del fluidificante
Njoroge dopo una cavalcata da antilope in savana). In casi come
questi, anche i conservatori, i fondamentalisti anti-televisione
(“hakili ya shetani -è la scatola cranica del demonio”) si
uniscono alla folla e partecipano al viaggio emotivo. Sarà per
la presenza degli “wazungu”, dei bianchi che hanno regalato loro
l’hakili ya shetani e gli hanno attaccato anche una bella parabola,
perché a nonno Kazungu piace il calcio, ma soprattutto il
campionato inglese, tifa Portsmouth come il suo primo datore di
lavoro, alla fine degli anni Cinquanta; sarà perché c’è
un insolito drappo rosso e blu all’ingresso del Safari Bar, ma
l’esercizio è pieno.
Domenica, i ragazzini fanno festa, ma
non tutti possono entrare. I più ligi, diretti dal piccolo
Kitsao, sono seduti all’ombra del baobab della primari school a
leggere la bibbia e commentarla come se Gesù arrivasse da
Mariakani o Ngomeni, i musicofili si fanno incantare dalla tastiera
elettrica di Katana, che non sa suonare ma finge molto bene, grazie
al pulsante dei ritmi preimpostati. Il bandierone, i cui colori
ricordano l’etichetta della “Safari Vodka”, ha attirato anche
un paio di bevitori di mnazi, che non distinguono il calcio dal rugby
e la borsetta di una ragazza da un orinale. Kibonge riesce a
sbatterli fuori prima che avvenga l’irreparabile. Mama Lucy guarda
con amore la sua pochette e la stringe a se, come fosse un figlio
scampato all’uragano di Houston. I più tranquilli e
interessati, come Gunga, soprannominato Drogba, che a nove anni ti
snocciola la formazione del Chelsea riserve comprese, o Kea, che si
presenta con una sgargiante maglietta dell’Inter, numero 7 e la
scritta “Figo”, che in swahili vuol dire “rene”, sono in
prima fila accanto a nonno Kazungu, all’elettricista Makotsi, al
suo vicino di casa Onesmus e al venditore di telefonini Lawrence
Kamongo, che controlla le tacche sul suo Nokia. Ci sono tutte, va
tutto bene. Al bancone, con aria finto disinteressata, il barista
Kibonge serve Pilsner tiepida e lascia spento il frigorifero (“non
fa ancora abbastanza caldo”). Seduti sugli sgabelli, in posizione
ottimale con i gomiti piantati sulle salviette di spugna della
Guinness, gli “wazungu”, lo Svaporato con sua moglie e i suoi
amici: il “Genoa club Malindi”. Già, perché oggi a
Kakoneni, alle porte del parco nazionale dello Tsavo, cento
chilometri dalla semiciviltà di Malindi, si vede il campionato
italiano: Genoa-Milan. Kalume, ex cameriere all’Hemingways di
Watamu, licenziato perché “non resisteva alle arachidi e poi
gli veniva sete”, indossa la maglia di Ronaldinho, quando era
ancora al Barcellona, Kibebe lo scemo del villaggio si lamenta perché
“nel Milan non c’è più un africano in campo”, e
fa voto di tenere ai rossoblu. “Eccolo, c’è Seedorf, in
panchina”, gli fa Kibonge. “Tengo al Genoa lo stesso, c’è
un congolese!”, replica Kibebe, strizzando l’occhio allo
Svaporato, la cui maschera di pietra saponaria tradisce la tensione
che sperava di allentare assistendo al match insieme con gli africani
al bar. Sua moglie ha già indottrinato gli avventori un quarto
d’ora prima, per non essere disturbata dopo il fischio d’inizio.
Tutti ora sanno che il Genoa è la squadra più antica
d’Italia e che è stata fondata dagli inglesi ma poi è
diventata italiana, un po’ come lo stato del Kenya, insomma… “Un
tempo le cose antiche avevano grande valore – aveva sentenziato
nonno Kazungu – ora invece se hai l’automobile più
moderna, l’ultimo modello di telefonino, sembra che acquisti valore
anche tu, che magari hai molto meno sale in zucca di tuo padre”.
Alla parola “telefonino” Kamongo si era destato da un torpore
causato dalle parole incomprensibili di un certo Italo Cucci, su Rai
Italia. “Tranquillo, sono incomprensibili anche per noi” lo aveva
rassicurato un mzungu. “Bisogna distinguere tra antico e vecchio”
era la nenia del rappresentante. “Infatti” disse nonno Kazungu.
“Il Genoa è antico, il Milan è vecchio!” Risate
convinte dei kenioti, convulsioni nervose del Genoa Club Malindi. La
partita ha inizio. Sugli spalti c’è molta più gente
che al Nyayo Stadium di Nairobi quando giocano le Harambee, e anche
se non ci sono tamburi e ballerine di “ngala music”, fanno un bel
casino! E tutto per il Genoa. “Il Milan però ha vinto molto
di più, è fortissimo” precisa Kalume. “Genoa,
Genoa, Genoa!” gli urlano nell’orecchio Gunga e Mwachiro.
Quando
Ronaldinho si prepara per l’esecuzione di un calcio di punizione,
però, nel Safari Bar calà il silenzio, come nel preciso
istante in cui il sole s’inabissa dietro la spina dorsale della
Rift Valley e tutti gli animali pregano in privato per il suo ritorno
l’indomani. Fuori. Torna il sole. Ma il Genoa ha grinta, è
come uno gnu testardo che ha deciso di sfidare l’anziano leone
sulla corsa. Non è così presuntuoso da irriderlo, ma lo
attende, ne studia la strategia e valuta le sue stanche mosse, poi
scarta di lato, chiamandolo alla rincorsa. Ecco la differenza, pensa
nonno Kazungu: l’orgoglio e la fierezza dell’antico guerriero
contro il potere ormai logoro del vecchio padrone. Gli animali sono
undici. Ognuno ha la sua razza, la sua personalità, ma tutti
corrono per una causa comune. “Vinceremo!”. C’è una
sgusciante gazzella di nome Gasbarroni, lui sembra voler ferire con
la sua gioventù il vecchio leone. Gli passa di fianco e lo
salta, contandone le rughe. Quando poi il pallone giunge al Principe,
leopardo dai passi felpati, tornato da poco in Savana per combattere
con l’antica alleanza del Grifone, lui lo ammorbidisce come fosse
la carne di una zebra, masticata per i denti poco avvezzi al pasto
del suo cucciolo. Il cucciolo si chiama Sculli e, grazie al Principe
leopardo, trova dimestichezza con quel pasto succulento.
E’ gol!
Genoa-Milan 1-0! Urla, ruggiti, tappi di tusker malt che saltano,
ascelle che si aprono come girasoli all’alba e ginger ale caldi che
schiumano sulla formica dei tavoli. Makotsi, che si ricorda ancora la
finale Milan-Liverpool di Istanbul, predica calma. Il Milan può
uscire fuori alla distanza, è leone e serpente allo stesso
tempo. Ma la reazione del felino ferito è debole, il Grifone
lo tiene d’occhio e non spreca energie, anche se la gazzella dalla
lunga chioma sembra scatenata. Al fischio finale del primo tempo le
pacche sulle spalle si sprecano. Sembra già tutto archiviato,
tanto che Kibebe lo scemo fa per andarsene. “Guarda che non è
mica finita…” gli fa Kamongo. “Lo so, lo so…finisce 2-0…”
Lo Svaporato ascolta e fa un gesto scaramantico che il nonno scambia
per eccessiva presenza di zanzare. “Accendi il ventilatore, barman”
“Va bene, ma quando ricomincia la partita lo spengo, fa troppo
rumore”. Il secondo tempo si apre con un leone riposato e più
in palla. E’ convinto di essere ancora il re della savana e mostra
i denti, con l’ingresso dell’africano.
Ma il ranger del Grifone
inserisce in campo un altro strano animale un po’ gibbuto e ricurvo
su se stesso, sembra un facocero, ma scatta e si ritrae come un
dikdik. Si chiama Marco Rossi, dice la moglie dello Svaporato, e si
appiccica all’africano Seedorf come una iena su un bufalo malato.
Appena l’antica alleanza può sottrarsi alle grinfie del
vecchio leone, sa fare male. Lotta con le unghie, si apre a raggiera
e punge, leopardo e gazzella insieme sono devastanti: leggiadria e
potenza, estro e concretezza, fantasia e classe. Così si
resiste e si sfiora il colpo di grazia, si subisce solo un’azione
(“ma cosa c’entra un anatroccolo nella compagnia del leone?” si
chiede Gunga) e il finale è meraviglioso. Il leopardo si trova
a tu per tu con il capobranco, un leone di quarant’anni che ne ha
viste di tutti i colori, in tutto il mondo. Si guardano, per un
attimo. E per un secondo il leopardo ha un moto di commozione, ne
legge le azzurre pupille come a voler sorbire l’ultima perla di
saggezza. Ma è tardi, ora. Il sole sta per tramontare e colora
la rift valley di arancione. Il leopardo fa una finta. Il capobranco
abbocca. Il leone si arrende, sfinito. E’ giusto così. Forse
presto i leoni avranno un nuovo leader, forse bisognerà
attendere che tutti i vecchi se ne vadano.
“E’ il destino di chi
non conosce l’orgoglio di sentirsi antico – sospira nonno Kazungu
– diventa subito vecchio ed appassisce senza dignità.
Guardate me: sono antichissimo, ma ho sempre qualcosa da imparare e
ho i miei nipoti. Grazie a loro non morirò mai!”. Kalume non
lo ascolta, accartoccia la sua maglia di Ronaldinho e chiede a un
mzungu se è possibile averne una di Gasbarroni, il barista
Kibonge stringe mani come fosse l’arbitro e il suo sorriso sa che
sta per partire un giro offerto dallo Svaporato, Gunga e Kea ballano
in tondo gridando “Genoa Genoa”, Kibebe lo scemo esce di corsa
strepitando “l’avevo detto, l’avevo detto!” Lo Svaporato,
avvolto nella sua sciarpa (antica, eccome…ancora recita "Fossa
dei Grifoni") vede passare come sempre un film in filigrana
davanti al cielo d’Africa: promozioni, bagni in una fontana magica ma
così lontana adesso, lacrime di gioia e di rabbia, bestemmie e
peana al terzo piano della Nord, sorrisi bagnati di tristezza come
quello di Genoa-Cosenza e smorfie sofferte di liberazione come quelle
di Genoa-Napoli.
Un film senza titoli di coda e con un solo volto, in
mezzo alle millefacce di un popolo di cui in pochi oggi difendono gli
antichi valori: il volto di Claudio Spagna. Per te. Per noi. Il
Safari Bar si svuota con calma, come il Ferraris. Ci si abbraccia, si
beve e si respira un’aria di frizzante libertà, come se
davvero qualcuno avesse abbattuto un vetusto dittatore. Lawrence
Kamongo controlla la batteria del suo nuovissimo Nokia. Ha perso due
tacche, proprio come il Milan. “Sembra moderno – gli fa Makotsi –
ma è già vecchio…buttalo via!”
Posted in Pizi Wenxue.
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– September 15, 2008