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[Genova] Poliziottesco sotto la Lanterna

Ci
sono tre principali poliziotteschi ambientati a Genova. Nel
loro genere tutti e tre sono dei classici. La cosa più
interessante è riconoscere alcune zone di Genova, nella Genova
anni 70. Un’altra – e sempre simpatica – curiosità, è
quella di percepire la percezione dell’anima di quei tempi.

Ora,
il poliziottesco vive su alcuni elementi classici: droga
dappertutto, botte da orbi, complotti in ogni dove, sparatorie
ovunque (ad esempio proprio in Mark il poliziotto spara per primo,
ambientato a Genova, Mark arriva all’ultima scena con almeno 30
delitti alle spalle. Spara di continuo, tipo gli guardi gli stivali o
i jeans stretti e lui ti spara. Nell’ultima scena c’è uno dei
cattivi (che poi gli attori sono sempre gli stessi e i cattivi
diventano buoni, gli sbirri i cattivi, insomma un casino, in ogni
film se non sei concentrato rischi di non capire una mazza perché
il mafioso di Roma violenta, magari in Il cinico l’infame e
il violento
è lo sbirro e si rischia di fare confusione)
che punta la pistola a un poliziotto, mi pare. O comunque sia è veramente una situazione di merda per le solerti forze dell’ordine. Uno degli altri
poliziotti, giunti lì per caso con Mark, messo alle strette, ammazza il cattivo. Mark si
incazza come una iena e consegna il tesserino al capo della squadra mobile, improvvisamente, nell’ultima scena del film, prima di allontanarsi solo, contro il mondo. Così. Mark è infatti estremamente deluso, ecco,
più che incazzato sembra deluso. Queste mesc
un po’ bandito, ma anche un po’ bambinone, un po’ zingaro, un po’
peones: Mark è deluso, affranto, triste.
Non si capisce
però, se sia ravveduto dopo essere diventato in 55 minuti il
più grande serial killer della storia o si sia incazzato solo
perché non lo ha potuto seccare lui, l’ultimo morto del film).

Il
poliziottesco è un cinema a tratti ingenuo nei suoi
errori (in certe scene ci sono attori che cambiano tre volte la
maglietta, oppure il morto prima è sulla poltrona, poi sul
frigo, cose così, ma ne facevano uno al giorno di film, non è
che si potesse stare lì a fare filosofia), ma a suo modo
preconizzatore e allo stesso tempo, uno dei modi per fare critica
sociale con un mezzo, e sceneggiature e soggetti e attori, popolare.

Infatti
ha una sua sostanziale biforcazione: da un lato il poliziottesco
sociale
(Di Leo, ma anche titoli storici come La polizia è
al servizio del cittadino?
di Romolo Guerrieri), dall’altro il
poliziottesco di azione tout court, sangue e merda. Immancabili,
in entrambi i casi, gli inseguimenti in auto sfinenti, con sottofondo
di musichetta ipnotica, dialoghi fantastici, surreali e cazzo duro,
espresso con frasi tipo, conosco solo una legge, la mia. Machista
iroso e ribrezzevole, con le donne solitamente confinate a ruoli
vagamente retrogradi in tema di diritti, il poliziottesco vive
di rude realtà sociale, solitamente sottoproletaria, ma anche
di grande ironia. Moltissime le autocitazioni. In
un film, mi pare Provincia Violenta, due
signore se la chiacchierano. Una è la mamasan di un
bordello, l’altro una pischella che l’anziana volpe sta cercando di
adescare (robe tipo che la drogano e poi le fanno le foto hard e la
ricattano). Parlando una dice all’altra, “potremmo andare al
cinema!”. “Eh già, ma a vedere cosa?”. “Uhm basta non
andare a vedere quei polizieschi, sempre uguali, sempre le stesse
storie”. Autoironici i poliziotteschi!

In
La Polizia incrimina, la legge assolve, del grande Enzo
Castellari (autore anche de Il Cittadino si ribella, anch’esso
ambientato a Genova, nonché de La via della droga e Il
grande racket
, superbi, nonché autore del sito da cui è
tratta la foto di scena pubblicata nel post) Genova è
fantastica come teatro di guerra tra due clan che si gestiscono il
traffico di robba, con la polizia che, al solito, indaga,
indaga, ma le cazzo di prove non bastano mai, perché la rete
della mala è un magna magna anche con la società
borghese bene. Quindi,
nel poliziottesco, è facile imbattersi in poliziotti che
dicono sempre “eh ste cazzo di leggi, di processo, di garanzie per
la difesa, di coperture, ecc.”. E se possono si fanno giustizia da
sé, contro i cattivi che, a parte alcuni rari casi, sono quasi
sempre delle macchiette esilaranti (basti pensare a Il Cinico,
l’Infame e il Violento
), o in ogni caso il confine tra bene e
male è sempre labile. Una sorta di precursore dell’hard
boiled
letterario americano.

Nel
film, dicevo (?), a un certo punto fanno una retata a Caricamento. Si
portano via un tot di leggere, come si dice a Genova,
(informatori, papponi, trans e drughè) in Questura. Uno
dei commissari gira intorno e in mezzo alla cinquantina di persone
accomodate lì, con sguardo torvo. A un certo punto uno grosso
(un pappone bifolco e dai modi spicci) gli fa, Commissario scusi,
posso andare al cesso?
Con una cadenza genovese da fare paura. Il
Commissario lo guarda male. E quello termina la frase: E’ che ho
da mettere al mondo un polissiotto
. Altro che la Squadra, i Ris,
I Marescialli e i don Mattei.

Qui
sotto Castellari, per due soli minuti, parla di Genova e dei suoi film…

 

 

 

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[Genoa] Cade un’aquila dal cielo

Cau
ou mè zuenottu ve porta miga na smangiaxun
che se cuscì
fise puriesci anàvene ‘n gattixun
Nu ghe n’é nu ghe
n’é nu ghe n’é

Si
gironzola per Roma, facendo più giri che la merda dei tubi.
Con Hellas ci facciamo un giro nel ghetto, salutiamo S. (grazie,
grazie), ci prendiamo una piomba notturna e l’indomani, alle 14 circa, siamo già insieme al migliaio di
rossoblù in trasferta in coda ai tornelli. Entrare
all’Olimpico è sempre una sensazione strana, specie dopo aver
superato il Foro Italico, ebbro della sua littoria superbia. Vola
un’aquila nel cielo, cantano i nazilazio. Vola vola.

Noi
ci scaldiamo, cantiamo e un gruppone di romani genoani porta in curva
variegate prelibatezze dolci. Si mangia, si smadonna, si teme una
figura di merda. Ogni volta che si va in uno stadio “grande”, la
sensazione è quella di sperare in una partita dignitosa, sul
campo e ancora di più sugli spalti. Cominciamo bene e i primi
venti minuti diamo il bianco, sugli spalti e e in campo. Giochiamo a
4, con Gasperson che torna a ragionare di tattica e piazza Criscito a
sinistra e Konko a destra: a turno vanno a francabollare Mauri, uno
dei più temuti.

Sulla
consueta cappella di Rubinho becchiamo la prima pera e si bestemmia
che è un piacere. Poi venti minuti di nulla. Si riparte e
Hannibal si inventa una piroetta da circo, l’arbitro ci casca e
pareggiamo. Ora: rigore inesistente, fuor di dubbio, ma il Genoa è storicamente
in credito di rigori, specie contro la Lazio (negli anni 80 almeno
due volte, grazie a un rigore truffaldino, ci hanno catapultato in B,
mortacci loro).

Oua
scie che ghe semmu
, c’è la sensazione del colpaccio. E infatti
Marco Borriello la spara di nuovo dentro di testa. Tripudio. Mi
faccio tutta la gradinata in discesa, arrivo ai vetri divisori e
provo in ogni modo a buttarli giù. Mimmo esulta proprio sotto
di me. Gli dico, Juve Merda, gli urlo, lui saluta, sorride. Mimmo è tornato 🙂

Si
esce allegri, consci di avere beccato tre punti fondamentali e
storici: un po’ perché contro la Lazio, a Roma, non si vinceva
da 49 anni, un po’ perché il Grifone zittisce, come già
secoli fa, un’aquila arrogante e presuntuosa (e becera, con i soliti
buuuh all’indirizzo di Konko), un po’ perché si ha la
sensazione che i tre punti siano fondamentali per il nostro campionato. I ragazzi sono talmente felici che vengono subito verso la curva, dimenticandosi di quella pagliacciata del terzo tempo: NO AL CALCIO MODERNO.

E
ora, salutando Il Grande Massimo Carrera, aspettiamo gli orobici al
tempio.

Posted in Zú Qiú.


[Genoa] Della partita non ce ne frega un cazzo. Animali in autostrada.

**
Un bacio a Hellas e Kortatub, per la gita, la compagnia, la tagliata,
i cori e le risate. Gnagnania! E la macchina è dal
carrozziere…;-) **

Empoli
– Genoa 1-1. Il gioco del calcio, tecnicamente, è piuttosto
semplice: bisogna portare il pallone dall’altra parte del campo e
ficcarlo in una rete. Questo può essere fatto sia tramite
passaggi (lunghi o corti, dalla cui natura discendono tecniche come
il “possesso palla” o il “contropiede”) o attraverso
dribbling o entrambi. Primo dato: ieri il Genoa non riusciva a fare
due passaggi di fila, né lunghi, né corti. E già
è uno svantaggio mica male. E nemmeno abbiamo Pelè in squadra. E già è tara storica.

Il
gioco del calcio, poi, ha altri fattori determinanti: la tattica. A
suo modo artistica, la tattica consiste nella posizione che,
teoricamente, per gran parte della partita dovrebbero tenere i calciatori in campo. Il
Genoa di ieri ha avuto al riguardo due svantaggi: il primo è
che, come dice il mister Gasperini, “non è difficile dire ai
giocatori dove devono stare, è che poi si muovono”. La
seconda è che la tattica, oltre a riguardare la propria
squadra, riguarda anche gli avversari. Da alcune partite il Genoa
sembra non sapere come giocano gli avversari. Ne consegue un continuo
mutamento tattico dei propri giocatori a partita iniziata. Il che mai, nella storia, porta bene, se non in rare e fortunose occasioni. Una squadra forte, gioca sempre allo stesso modo.

Infine
altri due fattori: le emozioni, i sentimenti e il contorno "climatico". Sul
primo punto: il calcio è uno dei pochi sport in cui,
contemporaneamente, all’unisono, a 11 persone viene la stessa
sensazione: il vitello. Ovvero, paura, sfiducia, sensazione di non
farcela. In questi casi o hai un leader cui il pallone non brucia nei
piedi e si prende responsabilità, oppure devi aspettare un
colpo di culo. A noi ieri è successa la seconda cosa (il gol
di Masiello!), pur suffragato da un tacco di Lucho Figueroa per il
quale non ho parole. Mister, Lucho deve giocare dobono!

Infine
le condizioni “ambientali”: ieri a Empoli c’era un freddo
assurdo, prima della gara è anche lievemente e rapidamente
nevischiato, un vento della madonna che, a un minuto della fine, mi
faceva già bestemmiare pensando ai 350 chilometri che avrei
dovuto fare al ritorno. In
uno stadio con le curve stile subbuteo, freddo, mezzo vuoto. In cui a
battere le mani si perdevano le dita. Anche se la corsa dei ragazzi
sotto di noi alla fine, è una soddisfazione.

Insomma
una partita brutta, timorosa, per certi versi incomprensibile,
viatico tremebondo al sabato che ci aspetta. Bolgia in arrivo.

p.s. Ma
invece, Marotta, dove cazzo guarda?

Posted in Zú Qiú.


[Genova] Storie storie, svagate memorie

Odio
gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi
vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
L’indifferenza è abulia, è vigliaccheria, non è
vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è
il peso morto della storia.

L’indifferenza opera potentemente nella
storia. Opera passivamente, ma opera.

Sentenza
sui 25 arrivata. Inutile aggiungere parole prima di una valutazione
più approfondita ancora da fare. Mi limito a segnalare altre
parole, alcune specifiche, come il comunicato di Supportolegale,
altre solo apparentemente lontane nel tempo, nei ricordi,
nell’indifferenza. Non è nostalgia, né facile luogo
comune. Sono le origini e quell’insana passione che arde in chi
prende parte.

«Nacque
già molto tempo prima del 30 giugno, settimane prima, e in
modo del tutto spontaneo. Quando si diffuse la notizia che a Genova
ci sarebbe stato questo congresso fascista, tutte le forze
democratiche incominciarono a mobilitarsi. L’organizzazione della
protesta non era in mano ad un partito o a un gruppo specifico, per
tutta la città si diffondevano
gli inviti a mobilitarsi
affinché fosse chiara l’opposizione di tutti alla decisione
di tenere qui a Genova il congresso dell’MSI. Noi portuali dopo il
lavoro ci fermavamo sempre in piazza Banchi a discutere.
(…) E
via via che la data del congresso si avvicinava, il nostro
coinvolgimento cresceva e gli incontri in piazza Banchi diventavano
il punto di riferimento dell’intera giornata. (…) E spesso
partivamo in corteo, con destinazioni che sceglievamo al momento. Ci
furono molte scaramucce con la polizia, anche perché noi non
sapevamo che si dovesse chiedere l’autorizzazione per fare un
corteo, e i poliziotti a volte ci lasciavano passare, a volte
volevano impedircelo.
Ma se è vero che ci comportavamo in
maniera spontanea e magari ingenua dal punto di vista organizzativo,
è altrettanto vero che avevamo, invece, ben chiara la nostra
motivazione e il nostro obiettivo: non volevamo che il congresso si
tenesse a Genova e avevamo tutte le intenzioni di far sentire la
nostra protesta».
E arriviamo alla grande manifestazione
del 30 giugno…

«Il 30 giugno era stato proclamato
sciopero generale. Siamo scesi tutti in piazza e dopo il comizio è
scattata una scintilla. C’era la famosa Celere di Padova, che era
considerata una specie di corpo speciale ed era composta da
picchiatori, e il loro capitano all’improvviso ha suonato la tromba
e sono partiti i primi caroselli. Si è subito aperto un
conflitto fortissimo.
Le camionette, lanciate alla massima
velocità, ci venivano addosso fin sotto i portici per
disperderci (…). I più giovani di noi non sapevano come
comportarsi nel caos dei tafferugli, anch’io ero molto confuso e
per fortuna (…) un amico del mio quartiere, che era stato un
partigiano di montagna, si è preso cura di me e mi suggeriva
come muovermi e dove nascondermi. (…) La guerriglia andò
avanti fino al tardo pomeriggio e questi caroselli della polizia, che
erano partiti alla grande contando sull’effetto sorpresa, piano
piano hanno dovuto ridurre la velocità e l’intensità
perché erano circondati da ogni parte, finché si sono
dovuti fermare del tutto». (da 30 giugno 1960 – La rivolta di
Genova nelle parole di chi c’era, Frilli Editori)

Sono
parole di Paride Batini, più volte console della
Compagnia Unica dei portuali,
ovvero più volte o forse sempre
leader dei camalli
. Nel 1960 aveva 26 anni e partecipò
a tutte le manifestazioni. Uno dei personaggi de La Regina Disadorna di
Maurizio Maggiani (scrittore ligure, non genovese…) si chiama Paride, proprio in suo onore, non dell’altro, di
Paride.

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[Genova] Armenia, Caffa, Barabino

 
E dopo Alimonda, Tolemaide e piazza Paolo da Novi, altre vie dell’antica Ianua. Tra
Piazza Alimonda e via Tolemaide, guarda caso, si proietta, brevemente
a dire il vero, via Armenia, giustificando in ampio
modo alcune origini armene avvistate tra i genovesi mamalucchi
odierni.

I
genovesi ebbero ottimi rapporti commerciali con l’Armenia, dove
ebbero possedimenti e benefici economici non da poco. Qualcuno parla
di colonia, ma il termine potrebbe non essere esatto. Di certo vi fu
un trattato, nel 1288, tra Zaccaria, vicario comunale e re Aitone II
d’Armenia. Quando i turchi iniziarono a cagare la minchia agli
armeni, fino ad arrivare al noto genocidio non ancora ammesso dagli
ormai quasi europeissimi turchi, gli armeni furono accolti con grande benevolenza
dai genovesi.

Via
Caffa
è la via dalla quale parte la carica
sconsiderata che sfocerà nella tragedia di piazza Alimonda. Ne
hanno parlato svariati testi
, quando il processo contro i 25
manifestanti ha fatto da lente di ingrandimento su quanto accaduto in
piazza Alimonda. Strano, tuttavia, ma non è da escludere che
accada nel post sentenza, che per nessuno dei testi tra carabinieri e
funzionari di polizia ascoltati in aula, sia stata chiesta la trasmissione degli atti,
ovvero una incriminazione per falsa testimonianza. Eppure i video e
le foto aiutano a capire meglio quando uno mente o finge di non
sapere. Per tornare alla Caffa genovese: fu una della colonie più
redditizie per i nobili genovesi, dopo aver siglato vari accordi con
gli allora Tartari. Nel 400, secolo orribile per la Superba, di
forti contrasti interni (vi furono dogi che durarono come un
ghiacciolo nel deserto) Caffa venne perduta. Perla
della colonie della Crimea fu anche sede di un arcivscovado. Sti
cazzi.

Via
Barabino
è il luogo nel quale nel luglio 2001 alcuni
poliziotti menano alcuni ragazzi. Tra i poliziotti ci sono l’allora
capo e vice capo della digos genovese, Spartaco Mortola e Alessandro
Perugini (il primo sotto processo per la scuola Diaz e indagato per
induzione alla falsa testimonianza insieme al Capo (ex) De Gennaro,
nei confronti di Colucci, il secondo imputato per il pestaggio e per
le violenze a Bolzaneto). Uno dei picchiatori, De Rosa, sceglie il
rito abbreviato e viene condannato a un anno e otto mesi, ma, alcuni
giorni fa, la corte d’appello di Genova lo ha assolto.

Carlo
Barabino fu l’architetto di Genova, una sorta di precursore di Renzo
Piano, da un punto di vista ideale, ma che, al contrario di Piano,
non ci ha lasciato cagate come il bigo e la palla di cristallo dei
pesci palla nell’area finta dell’ex porto antico, ma qualcosa di più
tangibile. Costruì il Carlo Felice (il cui nome andrebbe
cambiato, perché omaggio assurdo ad un Savoia, odiati dai
genovesi che vi finirono sotto scacco dopo il 1815 e il famigerato
congresso di Vienna) e diede un contributo importante alla città.
Poiché all’opera prima nel nuovo teatro – sorto nell’allora
piazza San Domenico (venne tirato giù un edificio che dava
fastidio ai signori De Ferrari e venne costruito il teatro) – vi
partecipò Carlo Felice, il teatro ebbe il suo fottuto nome.

Tra
l’altro Raffaele De Ferrari (nome della piazza) sparò (per
sbaglio, certo) a un popolano, tal Morgavi, originario di Voltaggio,
ridente e storico paesino della Valle Scrivia, vicino ai Martiri della Benedicta, allora feudo dei De Ferrari e
celebre per le sue acque sulfuree e per un campo di calcio su cui
lasciai la tibia. Ma questa, come direbbe Lucarelli :-), è
un’altra storia. La piazza su cui si erge il Palazzo Ducale sede nel
2001 dei Grandi Otto, tra l’altro, sfiora e aggancia un altro gustoso
aneddoto. Il secondogenito di Raffaele De Ferrari e della scia
Brignole Sale, allevato in
Francia e su cui puntarono tutto i famigliari, si fece pinzare sulle
Barricate della Comune parigina. Ben gli sta. Dopo lo smacco i due
sono tornati a Genova a fare opere di bene: da qui la piazza e il
nome della duchessa Galliera (la Brignole Sale) al noto ospedale
genovese. Fino alla morte della donna, per altro, l’ospedale non ebbe i reparti
di maternità e ginecologia (Genova e le sue storie, di
Giuseppe Marcenaro, per la precisione, ne racconta un sacco di sucidi
e oleosi spetteguless) a ricordo dei due figli, il primo morto, il secondo addirittura rivoluzionario.

 

Sempre
Barabino curò la costruzione del palazzo dei De Ferrari,
nonché la mitica villetta Di Negro. Barabino collaborò
anche alla facciata della Chiesa di San Siro che, contrariamente a
quanto si pensi, specie nella terra dei Visconti e degli Sforza, fu vescovo genovese. San Siro venne oltremodo
celebrato perché la leggenda lo vuole trionfatore sul
Basilisco (nella foto in alto a destra in una delle sue svariate rappresentazioni), super mostro re dei
serpenti
, "che
si narra abbia il potere di uccidere con un sol sguardo diretto negli
occhi", raffigurante nient’altro che, nell’immaginario da sempre guerrafondaio cattolico, l’eresia ariana
.

Il
vento che correva su Genova
soffiava nella mia fisarmonica
nasceva
piano la mia musica
e dentro al cuore solitudine
com’ero io,
com’ero io

 

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[Genova] Alimonda, Tolemaide, Paolo Da Novi

 
Si
è tanto parlato di Genova in relazione al g8. Si è
parlato di vie, di strade, di piazze. Avrete sentito nominare, o voi
non genovesi, nomi, cognomi, santi, dottori, duchi e re. A Palazzo
Ducale, ad esempio, in Piazza De Ferrari, ex Piazza San Domenico,
stavano i grandi.


Gli
altri, centinaia di migliaia, erano tra le vie i cui nomi
riecheggiano la Genova antica, stipati tra i monti e gli acquitrini
marosi che sigillarono i nomi di tante vie della suburra xeneixe. Via
Del Campo, Via del Canneto, Piazza Campetto, insomma un tempo era
tutta campagna paludosa, con un fiumiciattolo, pare, a separare la
zona dei Banchi (la vecchia Borsa era proprio lì) e il
maaaaare.

Pochi
sanno, ad esempio, che a Genova visse per un certo periodo Nietszche,
preso tra Zarathustra e il mare di Rapallo e le passeggiate dal
centro fino al cimitero di Staglieno. Dove abitò lui, cadde
tutto. Cadde, venne tirata giù la sua casa, durante la seconda
guerra mondiale. Lo specifico per il mio socio. E altri pochi sanno
che Stendhal disse che via Balbi (la via che scende da Principe e che
molti di voi avranno fatto scesi dal treno alla ricerca di caruggi,
focacce e traglia magrebina) era la via più bella del mondo.
Uno studioso di Genova chiarisce: lo diceva perché vi abitava
una donzella broccolata senza pietà. E quindi via Balbi
trasudava, agli occhi di Stendhal, la bellezza sognata in carne e
ossa. Vabbè.

Durante
il g8 alcune vie e piazze sono diventate celebri, loro malgrado.
Piazza Alimonda ad esempio, il luogo dove Carlo Giuliani venne
ucciso. Alimonda era un prete, divenuto cardinale e poi arcivescovo
di Torino, nel 1883. Dieci anni prima che un medico inglese creasse
il Genoa, il 7 settembre 1893. Il nome era Spensley, del dottore
dico. Il simbolo il Grifone, in onore della sconfitta inferta all’aquila prussiana. Più curiosa l’origine di un’altra via divenuta celebre,
fino ad allora malcagata, come si dice. Via Tolemaide,
capitale della Siria. Nel 2001 teatro di una carica a un corteo autorizzato, con spranghe e mazze ferrate. Poi su a ritroso con i carabinieri a menare la gente, fino in Corso Europa. Via Tolemaide: quando tornò ai Cristiani (i genovesi si
lanciarono nelle varie crociate spinti da sentimenti vagamente finti,
da un punto di vista cattolico, ma piuttosto lungimiranti, in tema di
affari marittimi) i genovesi remesciarono allegramente nel torbido.
Nel 1291 Tolemaide venne recuperata dai Saraceni, che, peraltro,
passarono a Genova intere giornate di sollazzo, dando fiato ai
veneziani che iniziarono a prendere per il culo i genovesi “sangue
misti”, frutto delle unioni tra genovesi e saraceni conquistadores.
Tolemaide nel 1291 venne conquistata in allegria dai saraceni.
Nemmeno all’epoca, per dire, si parlò di devastazione e
saccheggio.

Interessante
la storia anche di Piazza Paolo da Novi, detta anche,
precedentemente, Piazza Galera, perché costruita da ex
galeotti. Nel 2001 lì, da Corso Buenos Aires, arrivava lo
striscione “Smash”. Il popolo genovese nel 500 e rotti si ribellò
ai proprio nobili filo francesi du belin e pose come Doge Paolo da
Novi, lavoratore della seta, ma personaggio piuttosto agiato
economicamente e con un bel cuore di leone. Fece un bel casino, il
buon Paolo Da Novi: ruppe le uova nel paniere ai francesi (per troppo
tempo i mangia formaggi ci considerarono una loro provincia
meridionale) tentò di conquistare Montecarlo, sconfisse i
Fieschi che scorrazzavano nel Levante, finanziò Pisa contro i
fiorentini. Cosa inaudita, ma a quel tempo le alleanze andavano e
venivano. Rimane il fatto che tra le porte di Genova e le strette vie
volavano scudisciate anche dalle finestre. Un bell’andare. A questo
punto però qualcosa si mosse, tornando a Paolo Da Novi.

Il
re di Francia fece vela tra i monti, incazzato come una biscia. Il
popolo di Genova affiancò il Doge nella battaglia, ma i nobili
locali preferivano i Sarkozy di allora. Così, prima aiutarono
i galletti a fregarci, poi fregarono Paolo da Novi in fuga. Lo
rinchiusero a Castelletto per un periodo, dopo il quale pensarono
bene di tagliargli la testa, in quella che oggi chiamiamo piazza
Matteotti.

Parola
del giorno: REMENOU

es. e cose remenae spussan: le cose ripetute puzzano.

Ho
saltato il roveto col mio passo da equilibrista.
Piangevo bacche
di sangue, era il rosario dell’ametista,
ridevo di meraviglia,
sgranando gli occhi dell’ametista.
Ho comprato una chitarra alla
fiera della Maddalena

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[Genova] Cose che succedono a Zena

Stare
a Genova ormai è come essere un turista di ritorno. Da
Shanghai a Genova, via Milano, un’altra città, voglia di
bestemmiare e raccontare. Arrivo in un bar, chiedo un caffè.
La commessa sbuffa.

Arriva
un altro avventore nel bar, uno che sembra conoscere tutti. Si
avvicina alla barra. La cameriera gli chiede, “vuoi qualcosa da
bere?”. Lui risponde, “no belin, sono venuto a comprare una
fettina”.

Dove
sto a Genova è Rivarolo, in una casa all’ultimo piano di un
palazzo ben ben alto, con una splendida vista sull’autostrada. Se
guardo dalla finestra vedo “Se siete stanchi fermatevi in un’area
di servizio”. E’ pur sempre un salto di qualità, quando
vivevo a Bolzaneto davo i biglietti al casello, direttamente dalla
finestra.

L’altra
notte non riuscivo a dormire e ho iniziato a sentire delle voci
venire dal piano di sotto, dove abita un vecchino con un cazzo di
cane che abbaia sempre. Sento ste voci e mi avvicino alla finestra.
Guardo l’ora. Sono le due di notte. Mi avvicino di più alla
finestra per sentire che succede. Mi concentro e sento la voce di De
Andrè, che canta Ma i tuoi larghi occhi, i tuoi larghi
occhi chiari anche se non verrai non li scorderò mai
.

Da
dove abito quando si va in centro, nella casbah, detta anche “centro
storico”, ancora oggi diciamo, “andiamo a Genova”. De
Ferrari, la piazza più famosa di Genova, si erge su una sorta
di altura per chi arriva dalle fogne cittadine. Qualcuno giustamente
suggerisce un affascinante retrogusto: Genova sembra costruita
attraverso uno scavo che ha ritagliato palazzi alti, che sembrano
congiungersi al cielo.

Su
piazza De Ferrari, luogo di arrivo di cortei e di festeggiamenti
sportivi, nonché piazza mitica dal 1960, un aneddoto sulla
taccagneria genovese. Ogni visitatore di Genova sottolineava
l’attaccamento ai soldi dei principi, duchi, conti genovese. Uno dei
vecchi nobili della famiglia De Ferrari amava, stile Paperone,
entrare nella propria cassaforte e rimirare le proprie ricchezze.
Fino a quando non chiuse per sbaglio la porta e non ci morì
dentro, steso tra soldi e averi.

Parola
del giorno: RAVATTO
, ovvero ciarpa, miscea, bazzicatura,
bazzeccola, doriano.

Sono
i genovesi “gli uomini che non si voltano”,
che fuggono dentro la
loro stessa città,
illusi da una meta che non sono più
capaci di prefigurarsi.

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[Genoa] Aristocrazia e raccattapalle

La
cosa peggiore per un genoano non è perdere, ci siamo abituati, e non sono neppure le disgrazie, ci siamo abituati. E’ vedere entrare in
campo la propria maglia con una insolita boriosa, presuntuosa, arrogante e molle attitudine. La
famosa unione popolare e aristocratica genuana, sul campo si è
sempre tradotta con spazi per il calcio spettacolo, per innaffiare i nasi incipriati delle bagasce ricche in tribuna, sempre supportati
però da quel cuore che si accende ad un rapido sguardo verso la Gradinata
Nord, per alimentare sogni di gloria di una ex repubblica.

Così come Brera ricordava che l’indole italiana avrebbe
potuto ottenere successi con la nazionale solo grazie al Sacro
Catenaccio (ed è avvenuto così anche agli ultimi
Mondiali), allo stesso modo il Genoa ha ottenuto i suoi massimi
successi solo quando alcuni elementi di talento che ogni Luna Nuova
Ogni Tanto arrivavano a Genova, erano supportati da grinta, cuore,
corsa, legnate sulle gambe avversarie, rancore per una storia andata male, orgoglio popolano, fatto di suburra e cristi e madonne.

Ieri invece è scesa in campo
l’anima aristocratica della Città, quella Superba dei Principi
che grazie al suo Popolo onorò il 500 come secolo dei
genovesi, salvo finire tre secoli dopo al ruolo di lacchè
degli odiati Savoia. Ci prendiamo 3 pappine dai cavalieri senesi,
acerrimi rivali bancari della sciatta borghesia genovese e il popolo
piange ancora. 1-3: forse ieri anche i ragazzi hanno capito come si
gioca per salvarsi. E forse anche Sir Gasperson, fiacco ricordo della
British Genoa, capirà cosa significa essere allenatore del
Genoa Cricket and Football Club, non di una semplica neopromossa.

p.s.
Grazie a rozzoblù per il suo report

p.p.s.
Un buon 80% della sconfitta di ieri è attribuibile indubitabilmente e "in modo assoluto", come direbbe Scoglio,  ai
raccattapalle del Ferraris.

Posted in Zú Qiú.


[Genova] You’re big in Japan

 

Azione di Solidarietà in Giappone
Supportolegale.org

 

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[Precaria] San Precario & Friends

L’arte dell’arrangiarsi è l’anticamera della poesia

VENERDI’ 7 DICEMBRE 2007 alle 21.30 al Barrios:
SAN
PRECARIO & FRIENDS!

Un free style musicale, letterario e
poetico in compagnia di:

Vincenzo Cinaski, Sam Paglia, Folco Orselli,
Dave Muldoon, Flavio Pirini, Walter Maffei, Walter Leonardi, Matteo
Speroni, Gianmarco Pozzoli, Gianluca de Angelis e molti, molti altri.

Troverai anche altre sorprese, City of Gods e voglia di CospirAzione
Precaria.

Vieni a sostenere la tua freepress preferita (in fondo
luoghi, numeri, info)

***** *****
Cosa accadrà
durante la serata?
Questo non può saperlo nessuno, non
perché sia un mistero (come i tanti che hanno attraversato la
storia del nostro paese), ma perché quando l’onda sale
non resta che cavalcarla….

# Essendo noi inguaribili
sognatori pensiamo che una collaborazione fra artisti precari e
artisti della sopravvivenza (come lo sono tutti i precari) possa dare
luogo ad un cocktail micidiale fatto di creatività, pensiero
critico ed emozioni e in grado di unire, come si suol dire, l’utile
al dilettevole. D’altronde come più volte ha detto San
Precario: l’arte dell’arrangiarsi è l’anticamera della poesia.
Mentre la rassegnazione è una noiosa sala d’attesa.
La
poesia e la noia, l’anticamera e il tunnel, costituiscono la rosa
degli eventi (opposti) attraverso i quali un precario sceglie il
proprio futuro.
La serata San Precario & friends è la
bussola.

# Per chi invece preferisce la sciorinata spieghiamo in altro modo i concetti sopra esposti
Negli ultimi
anni si è sviluppato nella metropoli lombarda un forte
movimento contro la precarietà che è stato in grado di
imporre linguaggi, immaginari e riferimenti interpretativi da cui poi
si è abbeverata l’intera classe politica e sindacale
nostrana. Se da un lato Milano rappresenta la culla e la patria del
lavoro precario dall’altra questa città produce quei modelli
esistenziali, culturali e sociali attraverso i quali la situazione
attuale si rende possibile. L’individualismo sfrenato, la fine dei
diritti, la proliferazione dei contratti truffa sono diventati “per
molti”, grazie ad una potente opera di maquillage, un’opportunità
di sviluppo più che una disgrazia collettiva. Per invertire la
tendenza molti precari e precarie, dei più svariati ambiti
lavorativi, hanno deciso di investire il proprio impegno e la propria
attenzione proprio in quei campi – comunicazione, produzioni di
simboli, nuovi conflitti, nuovi diritti – in cui sembra essere
maggiore il gap che separa la sinistra, il sindacalismo, le idee di
solidarietà e di conflitto, da un sociale che, per quanto
precarizzato, sembra guardare altrove.

San Precario, la
Mayday (il primo maggio precario), Serpica Naro, la madrina dei
lavoratori della moda e della conoscenza, City of Gods il free&free
press dei giornalisti in via di precarizzazione sono solo alcuni
degli esempi di questa produzione.
C’è da aggiungere che
per la magistratura, gli arredatori, i costruttori di tunnel e per
molta parte della politica la lezione Mayday non è servita a
molto. Da qualche anno a questa parte piovono reati di ogni genere
che contestano crimini a dir poco fantasiosi e descrivono queste
iniziative come incubatrici di terrorismo. La creatività di
queste costruzioni teoretiche e processuali alcune volte ci
preoccupa, altre ci sorprende ma disgraziatamente ci impegna oltre
misura dal punto di vista umano e da quello legale. Ma riderci, male
non può fare.

*VENERDI’ 7 DICEMBRE* dalle 21.30
AL BARRIO’S
SAN PRECARIO & FRIENDS!
Teatro Barrios

Via Barona angolo via Boffalora
MM Romolo +Bus 76
Bus
74/59
tel. 02 89159255

special thanks to www.virgolaz.it

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