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[Pechino] Dancing

Certi
gatti o certi uomini, svaniti in una nebbia o in una tappezzeria.

Per
piazze e ponti, ognuno se ne va.

La foto è quanto molt* qui a Pechino potrebbero vedere dalla propria finestra, più o meno, questa mattina primo maggio 2009.

Prima.
Hey hey, ma tu sei quello dei System of a Down. No. Passa la
cameriera, una spinta mi fa sfuggire la birra, la recupero e finisco
su una specie di terrazzino. C’è la mia amica, una rasta, da
Shandong. Fumo e bomboclaat, che il reggae non lo sopporto. E
tutti a mandare sms, dove andiamo cosa facciamo. E io: ma che cazzo è
giovedì perché tutti vogliono uscire stasera? Si ma
domani, oggi, adesso, domani, è il primo maggio. Diobono, primo maggio. Sfugge il
tempo e scivolano gli amanti. Un
ragazzo di colore che spinge ballando, gente avviluppata, birre
calde, fottutamente calde, bhè prendi un rum e cola, un longqualcosa. Non mi
piacciono i super alcolici. Laowai de merda. Peggio del reggae c’è
il reggae marcio. Ho fame. Domani allora al parco Ditan? Sms: rock
allo star live. Ma dove cazzo sono? E allora sai
abbiam ripreso a masticare questa vecchia rumba, ci siam sorrisi e
salutati e siam rimasti in pista.
$!–
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Emigrante!
Vacillo
per un attimo. Tirare fuori le solite storielle sul nonno armeno? Il genocidio, i turchi, revenge e soldier side. Non
ne vale la pena. E poi il mio sosia sta già mettendo reggae (buono il suo, salentino…),
mica posso millantare troppe somiglianze nello stesso momento, penso.
Torno fuori, o meglio su questa specie di finestrella con un minimo
intruglio di sedie, per respirare che cazzo, uscito di casa ho subito
percepito l’odore. Dell’estate. Del caldo. Del vento caldo. Pechino
d’estate. Che la notte non è giusta, che la notte non è questa. Fai di te quello che vuoi. Fai di te quello che sai.

C’è
la mia amica rasta. Da Shandong. Oh ma io ho fame. Lei no, però
è annoiata, aspetta un’amica, insomma è rasta, aspetta
un’amica e c’è tutto sto cazzo di reggae. Ei, faccio, domani è
il primo maggio. Come dire, insomma, rilassati. Domattina alle 9
lavoro, mi dice. Io
sto pensando al derby, a quelli là. Ho una rabbia. Lei mi
dice, sai qual è il mio nome in inglese? No, le faccio. Zero,
mi dice. Io penso all’adrenalina pre mayday, mi mancano tutt*. E invece vedo
sti stronzi stranieri ubriachi, occhi incollati a culi e tette. Son venuti a suonare, sono venuti ad amare. E di nascosto, a danzare. Ne
arriva uno, secco e rosso, sembra uscito da un pub di Liverpool o insomma qualcosa del genere.

Ci interessa no, questa conferenza? Che tanto il tempo passa anche sotto ai sofà. Da
dove vieni, mi dice il tipo che sembra un abbonato dell’Everton (e ho detto tutto). Shandong, rispondo. Ah ah, dai da dove vieni.
Dallo Shandong, fa Zero. Non ti sembra un locale, uno del posto, scusa, gli dice. Non ci trova simpatici, e per fortuna. Forse un giorno meglio mi spiegherò. Se
ne va e ringrazio con gli occhi Zero. Birra. Fredda. Magari. Passeggiata.
Cibo, fumo, musiche diverse che escono da locali diversi, ubriachi,
ubriache. Detesto sto posto. Un paio di laowai ci dicono qualcosa,
facciamo finta di niente. Mangiamo. Io: due arrosticini. Lei: un
gelato. Giriamo per Sanlitun chiacchierando in un mix di cinese e
inglese che conforta il fatto che continuo a fare lezioni come fossi
un forsennato. Sto bene, ma ho voglia di tornare a casa, camminare per le strade deserte. Pieno di pulotti, anche. Torniamo su. La tua amica? Eh chissà. Seduti su un marciapiede. Poi,
finalmente, arriva.

Mattino,
primo maggio, grigio, pioggia. Guardo un punto distante. In mezzo c’è una compressione di sentimenti, i miei.

Complesso
è questo aroma che ha il caffè,
opaco e
scintillante… ma ormai in te
tostata è tutta l´Africa
e gli dei
si divertono e ridono in fondo,
in fondo agli occhi
di lei…

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[Pechino] Al cinema

Ieri
sera sono andato a vedere City of Life and Death, ovvero
南京!
南京!,
ovvvero Nanjing Nanjing!, pellicola cinese record d’incassi nel
paese.

Il
film è concentrato sulla presa e il ben noto massacro di
Nanjing ad opera dei soldati giapponesi, nel 1937. 30 mila morti e
una città completamente rasa al suolo, nello scheletro
costituito dall’urbanistica e nelle viscere costituito dallo scempio
umano che furono costretti a subire gli abitanti.

Due
ore di violenza il cui apice è costituito, nella mia visione
occidentale, dall’immagine del nazista tedesco presente nella città,
devastato dalla violenza dei soldati giapponesi. Anni fa avevo letto
una lettera di un gerarca nazista presente in Cina, scritta a qualche
gerarca nazista in Germania. Nella lettera si diceva qualcosa tipo,
guarda che questi giapponesi sono davvero degli animali.

Con
me c’era Zlj, autrice di Socialism is Great, nata a Nanjing e particolarmente interessata al film. Oltre ad essere stata oltremodo gentile mi ha aiutato
(non c’erano sottotitoli, ma sinceramente non
erano necessari)
a comprendere dialoghi incomprensibili e a raccontarmi aneddoti
della sua famiglia e di sua nonna e di quel fiume, nel quale vennere
uccisi migliaia di uomini, la cui acqua diventava sempre più rossa. Poi le
immagini hanno cominciato a essere terribilmente ingombranti e non
c’era bisogno di perdere tempo a parlare.

E’
che i giapponesi non hanno mai chiesto scusa
, mi aveva detto un giorno un
ragazzo cinese conosciuto ad Hangzhou, mentre perfino uno che ho conosciuto a Shanghai, un tipo veramente tranquillo, mi aveva raccontato di avere partecipato all’assalto a suon di pietre e bastoni all’ambasciata giappo di Shanghai qualche anno fa. La causa, al solito, l’invasione e le violenze commesse dai giapponesi e il loro imperterrito viaggio annuale al cimitero dei caduti. Criminali per i cinesi, martiri per i giappo…

E così alla fine del
film i cinesi, solitamente vogliosi di uscire in fretta, sono tutti rimasti
dentro a sentire la musica, forte, con tamburi e sti cazzi, e
guardare le immagini di fotografie e vite falcidiate. E’ scattato
anche un minimo applauso. Ci hanno messo quattro anni per fare questo
film, hanno partecipato oltre 20mila studenti come comparse e la sua
novità consiste nel leggere quegli eventi con gli occhi di
alcuni soldati giapponesi. Il regista ha 38 anni.

Non propriamente un buon viatico per la settimana e l’umore, ma insieme al film mi ha rapito l’atmosfera della sala. Ed è la prima volta che capita.

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MayDay MayDay make them pay

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[Pechino] Cose

È
fulmine, è grandine, è polvere, è siccità,
acqua
che rompe l’argine e lascia una riga nera,
al primo piano della
città.

Insieme
ad un’amica ho intervistato un pechinese che ha raccontato storie e
cantato canzoncine dell’antica Pechino, non ho ancora fatto la spesa,
ho provato, in compenso, uno yogurt alla fragola tremendo, ho
ricominciato le lezioni di cinese, provando la sensazione di essermi
dimenticato tutto, i ragazzi dopo la mia partenza hanno perso contro
la Lazio, meritando la sconfitta per altro, ma consentendomi ancora notti in Champions League, non va youtube, o meglio non va senza i proxy e questa cosa in ogni caso è tanto assurda quanto insopportabile, passeggiando per gli hutong sono stato assalito dai
petizionisti, i cittadini cinesi che si lamentano delle autorità
locali giungendo a Pechino a protestare, la cosa mi ha scosso, rattristato e incazzato, ho passato una s p l e n d i d a serata di discorsi, rabbia e passione con un ragazzo italiano e una ragazza catalana, venerdì notte
passando su una strada ho visto un vecchio sommerso da un sacco pieno
di plastica attraversare lentamente l’incrocio, ieri è morto
Franco Rotella, 43 anni, ex calciatore del Genoa, era cresciuto nel
Baiardo, una scuola calcio genovese e aveva esordito a 17 anni nel
Genoa, quando i miei mi avevano chiesto, da piccoletto, dove cazzo
vuoi andare a giocare a calcio così la pianti di sfasciare la
casa, avevo detto, il Baiardo, perché ci aveva giocato
Rotella. Saluto sua moglie e suo figlio, che ha il mio stesso nome e
gioca nei ragazzini del Genoa, come se non non mi
innamorassi ogni giorno delle coincidenze, stasera tornando a casa in
taxi l’autista mi ha offerto una sigaretta, fermi al semaforo a sorridere, ho ascoltato i Ritual of Rebirth, Ethical Disillusion…ho conosciuto una cinese che è anche scrittrice e che mi manda
parecchie cose che scrive, in inglese, e in questo posto ogni volta che ti sembra
di avere capito una cosa ti si apre una voragine di mistero, sono
tornato a mangiare, ovviamente la prima cena pechinese, gli arrosticini dello xinjianese
vicino a Nlgx, il giappo e i ravioli sotto casa, confermo che molti da qui scrivono solo cazzate, sono qui da una settimana e mi sembra già un mese, ho localizzato la prima zanzara della stagione, ho salutato gente che non conosco, mi manca l’umorismo di Dovlatov, ma ho letto un libro fenomenale, Il caso sbagliato di James Crumley e mi è venuta voglia di rileggere American Tabloid, ho affitatto alla biblioteca dell’ambasciata un libro sulle società segrete in Cina (dal 1840 al 1911), ho detto alla tipa cinese che leggeva un libro di Severgnini che secondo me non era il caso, un regista cinese mi ha detto che stanno (tutti) spegnendo il cervello della gente, un altro cinese mi ha detto che sono le persone a cambiare la storia, ho sognato il mio cane, e ho sognato anche un sacco di gente che però ha la faccia di un cane, tranne Il Principe,  ho spedito mail, parlato su skype, inveito contro facebook (non ci sono né ora né mai) e fissato una luce gigante che accompagna i lavori di costruzione di chissà che cosa, fuori dalla mia finestra, di notte.

E
ho ascoltato il nuovo dei PGR.


Gente
che fa buio avanti sera, gente da basto, da bastone, da
galera.
Risuona la parola detona rimbomba in me  cassa
armonica:
far fronte e in marcia tra timori sgomenti e baldanza
festante.

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[Pechino] Cronaca Cittadina

Certo
le circostanze non sono favorevoli


e
quando mai


bisognerebbe
bisognerebbe niente


bisogna
quello che


bisogna
il presente


un
contagio dall’anima


come
pestilenza


decreta
l’evidente


il
tempo che corre


il
tempo moderno


scivola
il piano s’ammassa s’appiatta


livella
l’odierno


terra
di passo di sella di slitta


mal
s’addice alla fretta


sa
che tutto passa


e
tutto lascia traccia

certo
le circostanze non sono favorevoli

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[Partenze] This time tomorrow

Di
sicuro c’è che ieri avrei voluto dormire nella Gradinata Nord
(Genoa – Juve 3-2), per celebrare adeguatamente la Storia.

Di
sicuro c’è che domani riparto per la Cina.

This
time tomorrow where will we be
On a spaceship somewhere sailing
across an empty sea
This time tomorrow what will we know
Well
we still be here watching an in-flight movie show
I’ll leave the
sun behind me and watch the clouds as they sadly pass me by
Seven
miles below ma I can see the world and it ain’t so big at all
This
time tomorrow what will we see
Field full of houses, endless rows
of crowded streets
I don’t where I’m going, I don’t want to see
I
feel the world below me looking up at me
Leave the sun behind me,
and watch the clouds as they sadly pass me by
And I’m in perpetual
motion and the world below doesn’t matter much to me
This time
tomorrow where will we be
On a spaceship somewhere sailing across
any empty sea
This time tomorrow, this time tomorrow

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Viatici

http://www.youtube.com/watch?v=PgBUchDS8Pk

Il
venerdì è Internazionale. Altra cosa che cercare on
line i cappelloni di Rob.

Ognuno
ha il suo viatico per la fossa delle Marianne.

Il
punto più basso della terra.

E
grazie a Toni.

Ci sono situazioni?

Sbilanciami una sigaretta e fai un’opera buona: vammi a piglià
nu ballantain.

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Letture notturne (e 惘闻)

i nostri migliori anni telecomandati

i
giorni pirotecnici


i
manganelli telescopici


sulle
nostre vetrine interiori


tipo
protette da infami


barriere
architettoniche


le
nostre aspirazioni

E’
sempre piuttosto strano leggere libri in cui le storie, che bene o
male si sono vissute, vengono raccontate da chi stava dall’altra
parte.

Accade per la storia, per eventi spiccioli, ma anche per
quella che a torto o a ragione consideriamo “la nostra storia”.
 

Quando
ho visto il libro di un ex celerino sugli scaffali di una feltrinelli romana, ho
mandato un sms al mio socio (qui trovate la sua recensione), scrivendo qualcosa come: diobono, i
ps tutti scrittori sono diventati!

Specie nel periodo di attività di supportolegale, abbiamo
fatto incetta di libri sulla e della polizia: dai corsi che gli
fanno, alla loro organizzazione, mentalità, attitudini. Era un
modo come un altro per capire con chi si aveva a che fare, cercando
esperienze che non fossero solo dirette, ma che ci aiutassero a
capire lo spirito di corpo, l’omertà, il sentirsi fratelli, la loro comunicazione, la loro conoscenza sull’universo che devono affrontare nelle strade, nelle piazze, negli stadi e
l’inaudita violenza di certe azioni.


Si
è aperto un mondo sterminato di informazioni, aiutate, specie ultimamente, dalla
tendenza da parte dei ps a scrivere libri. Di romanzi scritti da poliziotti o ex tali ne ho apprezzao alcuni, Di Cara
ad esempio mi è piaciuto parecchio, e ieri sera dopo un Milano
Genova Santa Margherita Milano, con una fottuta ora in più, ho
attaccato
Genova sembrava d’oro e d’argento,
gentilmente prestato dal mio socio, di tale Giacomo Gensini.

Gensini
è un ex poliziotto e il libro racconta la storia di alcuni uomini
che entrano a fare parte del famoso, ormai, Settimo Nucleo, ovvero il
reparto di celerini creato ad hoc per il G8 genovese. La creme dei picchiatori. E Gensini
sembra essere molto informato su come vennero preparati,
addestrati e su come vennero portati a compiere le loro azioni
durante il G8, il clima che si instaurò (interessante l’aumento vertiginoso delle direttive dei servizi segreti e del tam tam mediatico). Dalla piazza, dalle strade, alla famigerata notte della Diaz. Il
libro si legge in due ore nette: è piatto da un punto di vista
letterario, ma alcune parti, grazie a un gergo non molto
dissimile da quello giovanilistico comune, passano via proprio bene.
Ci sono tipiche trovate umoristiche, si fa per dire, da ps (come il nome dato a due
agnelli, Manga e Nello……), ma quello che ho apprezzato più
di tutto, in fondo, è l’onestà di Gensini nel
raccontare se stesso e i suoi
colleghi.

A
lui non frega un cazzo parlare di mele marce, di deviazioni, di
bruttezza di una vita a rompersi il cazzo guadagnando poco, la patria, il padre di famiglia, la
retorica sincero democratica e tutte queste cazzate, anzi. Lo
chiarisce subito, quando scrive,
non eravamo più i
celerini di Pasolini da un sacco di tempo. E nessuno avrebbe avuto
per noi quella pietà, né noi lo avremmo permesso. Il
clima stava cambiando. Il consumismo, l’ipercompetitività, il
mito del successo, l’individualismo patologico esasperavano le
frustrazioni e acuivano la violenza. […] Prima o poi se l’apparato
voleva sopravvivere, la repressione doveva diventare metodica e
libera dagli ideali delle rivoluzioni del XVIII secolo. Su questo
c’erano pochi dubbi.

E
ancora: quello che condividiamo noi non è la divisa, ma un
segreto. Un segreto sull’umanità e sulla sua miseria. Sullo
squallore della sua cieca violenza, sui suoi egoismi e ipocrisie. Noi
sappiamo cosa c’è dietro la facciata, ed è questo che
ci rende fratelli.

Gensini
racconta con dovizia di particolari l’addestramento e gli attimi di
vita genovese, la carica di Manin sui pacifisti, la rincorsa del venerdì al black bloc, senza mai beccarlo per altro e non perché tra i neri ci fossero dei colleghi (altra mistificazione post giottina…) la carica madre di tutto il g8, quella di
Tolemaide. L’autore non ha problemi a raccontare gli usi illegittimi di
manganelli e altre armi a svelare le sensazioni di un uomo dentro a un casco che non vede altro che fumo e ha solo voglia di menare le mani, di sfogare l’ipocrisia comune e più in generale, spaccare il culo a chi ha davanti, come quando al termine del racconto di una carica, conclude: quelli che restano non sono i più coraggiosi. Sono solo stupidi. Perché noi li tritiamo. Ogni volta, li tritiamo.

Difende il suo corpo, come ogni poliziotto,
ma non ha nessuna voglia di santificarlo, anzi. Semplicemente, sembra
essere la sua conclusione, loro e noi, siamo due ingranaggi necessari
ma non indispensabili di un sistema che sopravvive grazie alla
violenza e a nient’altro.

E’
una società basata sulla violenza, gestita da chi si fa i
cazzi propri e porta la gente a menarsi tra loro. Alcuni legalmente,
altri no, fine.
E
ho apprezzato la lucidità di certi passaggi: una società
individualista non può essere non violenta. Alla fine sopporto
la violenza solo in astratto e solo se riguarda gli altri, meglio se
ipotetici, ma ci mette poco a perdere la testa se riguarda lui. […]
Via Tolemaide è una conseguenza naturale. Noi, se non altro,
ci risparmiamo l’ipocrisia di un sorriso falso. Noi non siamo non
violenti. Noi siamo quello che siamo.

Infine una nota: Gensini la butta lì, nell’ottica di uno scontro che quasi vorrebbe essere ad armi pari, dimostrando acume, quando si chiede, come si a fa mandare centinaia di migliaia di persone in piazza senza un servizio d’ordine? Bella domanda Gensini…

Altro
libretto da viaggio in treno è La forma della paura di De
Cataldo e Mimmo Rafele. L’ho preso nonostante le critiche e le
stroncature. E alla fine mi ha profondamente deluso. Sciatto, mollo
come una panissa
diremmo a Genova, senza ritmo, clamorosamente brutto
in certe parti. Aspetto con ansia che De Cataldo torni a scrivere,
invece di guardarsi allo specchio.

Posted in Pizi Wenxue.


Roma e Magoni

Ci
sono topi tutti in giro, topi tutti intorno,
topi mattina e sera,
topi mattina e giorno.
Sudici topi lucidi, giocano a
nascondino,
fanno tana nel tronco degli alberi,
dentro al
nostro giardino.
Ed io ti ho veduto salire sopra un
altare
e dire una messa da topi e per i topi pregare,
e cucire
ho veduto vestiti da sposa, per nozze di piombo,
e topi gridare e
ballare sulla cima del mondo.

Come
si a fa a spiegare che cos’è un magone. E’ una
sensazione…non brutta, un po’ strana, che in genere va da qui a
qui: più giù è colite, quindi più su è
magone. Non è brutta, però, magari può essere
una specie di struggimento, di senso di…No languore, no. Languore
meglio di no, c’è sempre in agguato Ambrogio col beauty case
pieno di cioccolatini. Non non di languore, di magone. C’è la
parola giusta, usiamola, chiamiamolo magone. Il magone è
quella cosa lì, che ti prende e non riesci a definire;
qualcuno ha inventato questa parola ed è affascinante pensare
a quando nascono le parole. Deve essere un momento straordinario, ci
deve essere un percorso di altre parole che per assonanza o per
significati simili arrivano poi a partorirne delle altre”.

Per
nessun altro, amore avrei spezzato questo beato sogno. Buon tema alla
ragione, troppo forte per la fantasia. Fosti saggia a svegliarmi, e
tuttavia tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi. Tu così
vera che pensarti basta per fare veri i sogni e le favole la storia.
Entra tra queste braccia: e se ti parve giusto per noi non sognare
tutto il sogno, ora viviamo il resto. (J. D.)

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Una giornata al mare

sono
venuto a vedere, quest’acqua e la gente che c’è


il
sole che splende più forte, il
frastuono del mondo cos’è

Sul
paese che non c’è, ho poco, anzi niente, da scrivere. Mi
sembra, semplicemente, di stare dentro una campana di vetro. Invece
mi piace sottolineare alcune coincidenze: ieri sono tornato nella
Nord dopo interminabili mesi e il Principe è tornato a segnare
dopo interminabili giornate…

Una
giornata iniziata così così: presa la ex “macchina
del popolo” (tra l’altro ringrazio (ironicamente) “l’ex popolo”,
ad eccezione di pochi, come il mio socio, delle multe che continuano
ad arrivarmi quando l’auto era, appunto, del popolo. Giusto per non
smentire il compagnume e il suo generale senso di responsabilità.
Chiusa parentesi) non faccio in tempo a uscire da Milano che già
mi fermano i birri. Hellas fa la tranquilla, io anche e dopo
poco si riparte. Mi augurano anche buona giornata e già sento
odori di gufi doriani.

Chi
guarda Genova, sappia che Genova si vede solo dal mare
, dice
Fossati, ma anche dallo stadio non è male. Ravioli dal lato
Sud, per non farsi mancare le buone abitudini, lasciandosi cullare
dall’accento genovese. I ravioli si mangiano in piedi appoggiati a un
muretto qualsiasi del Bisagno, riempiendo di complimenti ogni boccone
e poi si rientra dopo troppo tempo nella Nord. Dietro la gradinata
del Genoa c’è il carcere di Marassi. Sul muro appena
imbiancato una scritta gigante: “di prossima demolizione”.
Sorrido ed entro, pronto alle estreme cabale pre match. Mi disturba
qualche cazzo di roba attaccata sui muri da cui spuntano simboli di
merde vecchie e nuove, ma faccio finta di niente.

Passo
la consueta ora di attesa a leggere ogni tipo di giornaletto che mi
arriva, faccio due chiacchiere, mi inerpico in un genovese d’altri
tempi con due signore che ho alle spalle e poi ovviamente per un’ora
e mezza vivo in uno stato di trance, di cui non ricordo niente. 

Poi
so solo che al gol del Principe ho dato di matto, perché nella
Nord si è ripresa l’abitudine, dei tempi belli, di buttarsi a
caso tra gli altri ad ogni gol. Mi ritrovo vicino a persone diverse,
ci abbracciamo, bestemmiamo di gioia e tutti a casa. E il culo che mi
si spalanca nel paese che sta sprofondando è poter guardare la
classifica per ore, pensando che se mai andremo in Europa bisognerà
mettere su un’agenzia turistica fai da te. E girando la testa,
ogni tanto, posso scorgere quel cazzo di mare che si muove anche di notte e non sta
fermo mai.

Posted in Pizi Wenxue.