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[Beijing] A Natural Disaster

Sono
in grado di sentire i miei polmoni, premendo appena.

Succhiando
la pelle nel mio cervello
l’ossigeno entra dalla finestra
e
finisco a guardare le crepe nel bicchiere

che
ho appena fatto cadere

Oggi
c’erano le nuvole, si vedeva il sole, vento e caldo. Le ragazze
sfoggiano vestiti leggeri e attesa per i fuochi d’artificio.
Tian’anmen, ti ho scritto, è il peso della storia che ci
avvolge. Mi hai chiesto come mai deve essere stata, quando veniva
riempita di gente. Ti ho risposto che avrei preferito immaginarla
appena sgomberata da folle poco gradite. E se potessimo accedere a
numeri e alchimie, ci sarebbe possibile uno sguardo capace di andare
al di là di selciati e corrimani infiniti. (Hanno allentato la
censura. E pensano lo abbiano fatto per i loro articoli. E quel
che è peggio è che è tutto vero
).

Anche
qui vorrebbero infilarci il vestito della festa. Sentirsi esenti, mi
hai detto, per quello sei in Cina. Non ho trovato parole sul
dizionario in grado di esprimere concetti falsi. Ti ho detto di sì
e tu hai continuato a incunearti nei miei esperimenti nervosi. A
Pechino lo stomaco è la Milano Serravalle dipinta di grigio
chiaro, senza curve, ma solo strada calda e piena di pietre che
spaccano i parabrezza nei dossi più imprevedibili. Devo
stendermi e guardare il bianco, per capire dove sono io e dove sei
tu. Oggi l’ennesima spiegazione della mia Cina. Come fosse facile
ricordare tutti gli occhi e le bocche e non lasciarsi distrarre da
alcuni occhi e da alcune bocche. Un cinese mi ha detto di seguirlo e
l’ho fatto. Abbiamo bevuto e fatto delle foto. Avevo la torcia
olimpica in mano. Mi ha detto che gliel’ha portato un suo amico, che
l’ha portata nella cerimonia in non ricordo quale città
cinese. Molto importante, ho pensato. Abbiamo scelto accuratamente le
cose più inutili a cui brindare. Non avevamo motivi di
dubitare di noi. (Uomini col machete sui fuoristrada. Uomini a
piedi nudi lungo la strada).

Avresti
trovato anche tu parecchie soluzioni, tra anime e piante che non
crescono, fiori che non profumano e uomini che non sai come sono
cambiati e non sanno quanto sei cambiata tu. Le bandiere cominciano a
popolare le auto e i taxisti si muovono con l’imparziale bandierina
olimpica, abbassando la testa e sussurrando ok. E ok. E ok. E ok.

You
just slipped through my fingers
And I feel so ashamed
You just
slipped through my fingers

Posted in Pizi Wenxue.


[Beijing] Panic

Hai
detto che mi avresti aiutato stamattina

a
conficcarmi spilli acuti negli occhi.

Ci
siamo agganciati ai soffitti

arrampicandoci
sui muri con le nostre mani ubriache.

Una
sera appoggiata al cofano di un’auto hai detto di non saper valutare
le stranezze. Io fumavo e ti guardavo. Qualcuno era passato e aveva simulato un insulto. Avresti fatto esplodere tutto e mi sarebbe piaciuto
vedere la tua faccia, poco prima di premere il tasto mentre aggiungevi il mio nome al tuo elenco di cose incomprensibili. In questa città
calpestiamo asfalto, come calpestare parte di noi, colorato e
profumato per lozioni cosmetiche per i battistrada delle auto. Da
schiacciare, di fretta, senza voltarsi. Squarci di via, pareti
sconnesse e il tempo. (Quanto a me vedi, le persone non cambiano.
E’ che il tempo, col tempo, le complica più di un po’
).

Mi
hai chiamato e mi hai chiesto dell’inquinamento. Come parlare del
tempo e della ferrovia, dei ritardi e delle code e delle biglietterie
che in Italia nelle piccole città chiudono
presto e non sai mai cosa fare. Abbiamo parlato delle stazioni cinesi, piene di gente, come fosse l’unico posto nel quale percepire davvero la quantità di vite che si scontrano da queste parti. I cinesi spingono, si lamentano gli stranieri. Hai sorriso e hai ricordato cosa voleva dire salire sull’8, o sul 12, o sul 20 alle 8 di mattina, mentre il vento genovese ti spazzola i pensieri, il cibo mangiato e il caffè ancora da bere. Mi hai ricordato dove ero, perché sai
fin troppo bene la verità. Abbiamo parlato dello smog,
intuendo la mia ricerca tra le fogne scoperte di odori diversi.
Nebbia gialla a strofinarsi sui muri. (Direi, ho camminato al
crepuscolo per strade strette
). E attraversare la strada,
aspettare segnali, schiacciare persone, sorridere ad automi. Ti ho
detto che andiamo ad iniziare la nostra visita, e farci sconquassare
dalla placida gioia di incontri improvvisati, su marciapiedi
sorvegliati. Stiamo qui per non stare di là. Trovare validi
motivi per non mangiare un panino accanto ad un uomo con
un mitra in mano e un cannone nel cortile. Accontentarsi, compromettersi.

Mi
hai fatto domande precise, ma nel tempo inutile e peccato non
ricordare le esatte parole, perché ti avrei detto che non era
per niente quello che intendevo. E mi sono chiesto come possa essere
che parlo alla gente solo quando non può ascoltare. Ho sentito un freddo improvviso leggendo alcune parole e la pioggia che batteva sui vetri tichettava i secondi che passavano senza che un’idea mi sorridesse da dietro la porta (e la smetterano di menarla con l’inquinamento). Mi hai chiesto del mio lavoro. Abbiamo intrapreso sentieri
scogliosi e non potremo scorgere gli angoli più scintillanti.
Pechino a volte mi ricorda una maschera con uno scialle bianco appoggiato sulle
spalle, come quelle nelle credenze di legno di alcune vecchie donne genovesi.

Posted in Pizi Wenxue.


[Beijing] Toxicity

E
i lavavetri per i miei occhi,

gli
etilometri ubriachi fradici,

i platani decapitati,


i
carri attrezzi con i cuori ammaccati.

Contare
i secondi, smarcare i giorni, tatuarsi i chilometri, incidersi nomi
sulle spalle (come fare e non fare). Entrare nella stanza sbagliata,
scoprirne nuove, rosse caotiche e danzanti, strette tra le dita, stare e andarsene. Potessi dirti quello che nemmeno posso scriverti
esiterei nel farlo.
Imparare a tenere chiusi i respiri, i
profondi passi segreti, parole che parlano di parole sui miei occhi affittati. Mi
hanno detto vai e sono andato. Facile come dirti che quei capelli
arrampicati sopra la testa disegnano architetture tragiche. Costruire
il cubo d’acqua, buio, la quiete del nuotatore, la visuale ingrandita
dal cloro, pezzi di dita bianche, squarci di acqua troppo calda per
acrobazie da trampoli improvvisati (diranno come sono alte le dighe). Tagliare la città e vederne il ventre, la morbidezza delle punte e la puntigliosità dei detriti umani.

E digerirne lo stomaco, a fatica e di corsa, aria condizionata, respiri tossici,
taxi veloci, macchine parcheggiate chissà dove, stazioni di
benzina sconsolate.
Delle nostre conversazioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche (e chiedere: sposteresti un
po’ più in là il tuo ego? Devo guardare le libellule e mi piacerebbe farlo da solo).
Spazi vuoti: non c’è mica niente di male
se vuoi stringerti rimbalzando tra le pietre, bianche, una
sull’altra, appoggiate su travi troppo lente, basse, contenute, avvizzite, quelle dei cessi pubblici. Troppo scure la notte per un passo
imbarazzato e rapido. Rotaie e binari: di che ti preoccupi: sono in transito come un treno merci,
un camion di consegne industriali, materiali di arredamento,
documenti sconclusionati, effemeridi schizzate. (Diranno
che non ho mica vent’anni. Ne ho molti di meno, e questo vuol dire,
capirai, responsabilità). Consegno strettoie e labirinti: al
cuore e alle spalle e all’asfalto. Farò rifare una torre appuntita, alta e riparata, se mai avrai bisogno di scenari improvvisati, erba plastificata, moquette di seconda mano. Mica ci si chiederà dove finiscono i camion di Gondrand, dopo avere consegnato, bestemmiato e rassettato?

Repertori
invecchiati da mangiadischi arruginiti e sguardi stellati, produzioni immaginarie di birre spezzate. Fughe e
ripari, svolte e rettilinei, code e traffico e alito e fumo. Danze,
passi stanchi, fuochi desiderati. Cercare sguardi lontani solo per
buttare il mozzicone di sigaretta, sedersi su gradini e aspettare, arrotolarsi le maniche corte e scoprirsi privi di carte buone, ferite a sufficienza, scarpe strette bene. (vieni
con me sulla circonvallazione, che ho voglia di stordirmi un po’ con
i fumi dello smog.)

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[Beijing] Dal Villaggio Olimpico (1)

Sul
villaggio olimpico, da raccontare, ce ne sarebbe per i beati, come diciamo a
Genova. Per ora comincerei con una nota di cronaca. Oggi leggevo le
istruzioni dello scintillante accredito visto dai mille poteri di cui
siamo dotati per queste olimpiadi pechinesi. Lo leggevo in
metropolitana, cui abbiamo accesso aggratis, poco prima di arrivare
al villaggio olimpico. Quando sono arrivato ho visto distese di
poliziotti e gente esausta a terra, seduta, sudata, coricata. Altri
invece ebbri sfoggiavano gli ultimi biglietti acquistabili, dopo
circa 30 ore di fila. Altri: erano ancora in fila! Leggendo le istruzioni multilingua e i ragguagli delle autorità sportive e politiche italiane, mi è capitato l’occhio su
alcune cose scritte circa il visto tipo: "se vogliamo noi, il governo cinese, te lo
togliamo, ti sbattiamo in galera e per otto giorno neanche tu saprai
dove sei, figurarti i tuoi famigliari. Avvocato? Cosa è?"

Pensavo:
la solita esagerazione.

Poi
oggi è successo questo, mentre io altri due impavidi italiani
facevano lo scambio di identità per entrare in zone vietate…

A
reporter and cameraman from Now TV filming the incident were ordered
by public security officers to stop and erase the recording. They
refused and were detained in a police vehicle until a Hong Kong and
Macau Affairs Office representative arrived to mediate.

Now
TV issued a statement accusing the authorities of interfering with
press freedom. It said it was the second time in a week its reporters
were obstructed.

And
then there’s Xinhua’s version of the story which accuses the reporter
of:
1. breaking through the crowd-control barricade
2. kicking
a police officer in the groin

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[Beijing] Geniale: Olympic Security English….

Dalla
guida Olympic Security English, distribuito ai poliziotti cinesi…

How
inconvenient
!…

and
Poor Mr. Leer. He’s an honest man. He can only make Indian pan cake.
He’s never seen a bomb…:-P

from:
shanghaiist and WSJ

 

 

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[Beijing] Ciao Ivan

Ho
saputo solo oggi che Ivan è morto. L’ho scoperto per caso,
navigando in rete, una volta tornato a casa dal villaggio olimpico.
Stavo pensando alle varie mail da mandare ai vari giornali tra i
quali mi barcameno. C’era anche la sua mail nella mia stupida testa
disinformata in questi giorni di spostamenti e giri. Ivan Bonfanti
era un giornalista di Liberazione. E’ sempre difficile trovare in
questo mondo persone disponibili e gentili, ancora più
difficile sembra esserlo nel mondo del giornalismo, dove l’etichetta
“giornalista” spesso appare come un lasciapassare per comportarsi
da stronzi.

Invece lui era sempre gentile.

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[Beijing] Morning Bell

Rovistando
tra i futuri più probabili
Voglio solo futuri inverosimili

Aprendo
la finestra sopra netturbini, sopra nottambuli svetta la gigantesca
scritta Phoenix. Tra strade, guardie, negozi e ristoranti. Per
attraversare la strada bisogna fare qualche chilometro e trovare il
ponte. Un ponte non troppo alto, ma dal quale sembra di avere la
vista di una torre. Cambiano riferimenti, anche i nomi delle vie sono
diverse. Tripudio di modernità per queste Olimpiadi tristi, dicono i cronisti. Come se fiori e pulizia, polizia e controlli, potessero sommergere una vitalità che è impossibile descrivere, senza vederla.

La
metropolitana è ancora più in là. Vicoli e snodi
e ogni volta che un taxi svolta sotto ponti in strette e strampalate
deviazioni, non si vede dove sbucherà. La gente cammina e
vorrei fermarli tutti. Sorridono e sembrano sempre pronti a chiedere
se hai bisogno. Ho una borsa di tela nera e una rosa: sono tese come
uno straniamento tutto nuovo, come la continua domanda su cosa fare,
come dire, dove andare. Il volto ottuso del potere è
fastidioso ovunque. Si fanno anche riunioni, interminabili, lunghe.
Piece of cake, dicono gli astanti. Come dire: anche io voglio
la mia fetta di gloria. E i desideri, alla fine, quali sono non lo
so. E tutti sembrano parlare di questo posto. Ricette, pareri,
certezze, conoscenze e consigli.

Poi
cena, concerto, giro, chiacchiere e uno sguardo svia ogni certezza,
scambiando domande, con altre domande, sfuggendo da quei pochi
aspetti conosciuti, per nuovi sentieri di aspre inquietudini, che tanto hai voglia a provarci, ma indietro non si può tornare. E la mia
fortuna, ho pensato, è poter chiedere. E avere chi gentilmente
mi fornisce risposte, sotto forma di altre domande, in un tripudio di
diversi punti interrogativi e angolazioni, mescolando l’Italia alla
Cina, alla ricerca di qualche angolazione nuova sotto la quale
mettere l’asfalto percorso. E come non bastasse creare legami, colori del grano e via immaginando e ricordando, grazie per le Hong Mei…E
ritorna la sensazione solita, quella che giustifica questa mia
stramba vita cinese. Come con quelle palline colorate dai rimbalzi irregolari:
ogni volta che stringo la mano convinto di prenderla, mi sfugge.

Sulla
scia dei carri armati parcheggiati,

senza
toglierci le scarpe,

ci
siamo addormentati.

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[Shanghai] Pensare con la Cina

Quanto
è difficile spiegare, tornati in Italia, la differente
impostazione ai problemi politici da parte dei cinesi?
Tanto.
Quanto è arduo il compito di sviscerare le ragioni per le
quali concetti come democrazia, rivolta e libertà sono
quasi sempre fuori dalla comprensione quotidiana dei cinesi? Ancora
di più. Finora, almeno io, ho proceduto con esempi, aneddoti e
qualcosa di letto e sentito. Ora, filosoficamente parlando, nel suo
libro Pensare con la Cina (Mimesis e grazie a mosquito per
avermelo mandato :-), Francois Jullien me lo ha spiegato a suo modo.
E mi sembra che il tentativo abbia un fascino particolare. Jullien
è un grecista che, alla ricerca dell’eterotopia in
grado di creargli il distacco dal suo oggetto di studio, è
andato in Cina. E ha comparato, come si suol dire.

Partiamo,
ad esempio, dal concetto di
libertà.
Tagliando di netto, se il nostro concetto filosofico di
libertà
nasce
e si modifica nella Grecia antica, come una forma di difesa dai
persiani, in Cina questo non è potuto accadere, perché
è una condizione storica mai verificatasi durante l’antichità
(la Cina sinizzava, non subiva invasioni). Semmai, il concetto
cardine della filosofia cinese è stato quello di
disponibilità,
ovvero l’apertura ai diversi possibili: l’arte di non privarsi di
alcuna possibilità
.

Quindi
io mi sono detto: perché può esserci il socialismo e il
capitalismo insieme? Perché si può fare con entrambi i
mezzi. Cosa? Diventare ricchi, potenti e portatori di un nuovo
concetto di civiltà, specificamente cinese.

I
cinesi non si chiedono:
cosa
è questo?

Si chiedono:
come
posso farlo?

Da
cui proviene il noto e abusato
giusto
mezzo

confuciano, così spesso inteso all’occidentale. Invece, dal
punto di vista cinese, non indica per niente una via di mezzo o una
linea mediana, un bilanciamento o robe del genere. Non è una
cauta attenzione. Indica piuttosto
la
possibilità di fare bene in uno e altrettanto in un altro
degli estremi
.
E’ la base filosofica cinese:
lasciare
sempre aperta un’altra possibilità.

In
questo modo Europa e Cina hanno proceduto su due binari differenti.
Ovvero: in Europa il discorso sulle libertà ha trovato linfa
nel
politico:
da Platone a Montesquie, dice Jullien,
non
abbiamo mai smesso di pensare la libertà politica attraverso
la comprensione dei regimi politici.


@page { size: 21cm 29.7cm; margin: 2cm }
P { margin-bottom: 0.21cm }
–>In
questo modo si sono creati due piani di intelligibilità
: quello
del
politico

e quello
dell’ideale.
Qui è la grande differenza: in Cina
non
ci fu
,
filosoficamente parlando, un
piano
metafisico (né il senso di tragedia niciana,
intendendo
sommariamente la filosofia come rimedio a un male, come direbbe un
mio amico), né, mai, un
Dio.
La verità e l’essere non è un rapporto ricercato. E
allora anche la tirannide, nell’ottica filosofica cinese, va lasciata
correre, fino a che il tiranno non si rovinerà con le proprie
mani. Non esiste una verità. Esistono tante verità
quanto quelle che ognuno pensa di avere, dicono i taoisti. Da qui,
sostiene Jullien, si può comprendere come in Cina, in realtà,
non sia esistito anticamente il concetto di rivoluzione. La parola
usata,
geming,
non significa rivolta, quanto
revocare
il mandato.
Nella
Cina classica questo significava, sostituire una dinastia orrenda,
con una più degna. Ed ecco che se un tiranno deve opprimere il
suo popolo, affinché la situazione cambi, si può
apprezzare la grandezza del pensiero cinese, da un lato, e la sua
debolezza dall’altro. Dire questo, infatti, significava
riportare tutto nel politico, ovvero nei rapporti di forza.

Dati
i rapporti di forza perenni e la mancanza di un piano ideale, Jullien
deduce:
come
può formarsi una dissidenza intellettuale se non è
possibile appoggiarsi a un piano estraneo a quello dei reali rapporti
di forza?
Aggiungerei
che la dissidenza c’è, ma dati i rapporti di forza e la
mancanza di un piano ideale (intellettuale), non ha strumenti
sufficienti per arpionare un piano di comprensione che sia noto ai
cinesi.

Questo
(che non riassunto è più bello) e tanti altri spunti.
In particolare mi ha colpito uno: c
ome
viene vista l’Europa, o meglio,
l’Occidente,
dai cinesi, si chiede Jullien? Come qualcosa di
passato,
di desueto, di astorico, ormai
morto.
E chi è pronto a farsi carico di portare i nuovi valori che
governeranno il mondo? I cinesi, appunto. Da questo punto di partenza
Julienne inizia un percorso fitto tra politica e filosofia, tutto
teso a chiarire come la filosofia del giusto mezzo cinese,
giustifichi e spieghi molto più di quanto siamo disposti ad
accettare. Perché il pericolo non è più che i
cinesi lavorano di più e che si fanno pagare di meno.
In
pericolo c’è il nostro stile di vita
.
E’ per questo che i governi si cagano addosso. Alle difficoltà
economiche si può rimediare, in qualche modo, con sforzi,
rinnovati strilli patriottici, deliranti proclami xenofobi, per
recuperare un’unità di intenti da ultima spiaggia, frustrare
chi sta sotto e assicurare il ceto industriale. Alla sopraffazione
culturale e all’innovazione, però, ci si piega senza colpo
ferire. Storicamente, direi che sarebbe pure giusto.
E
a pensarci bene, in Italia,

adesso, esiste un piano ideale, o ci sono solo rapporti di forza?
Esiste uno sforzo culturale recepito per cambiarli quei rapporti, o
tutto si consuma nell’angolo in cui i rapporti di forza ci hanno
sprofondato?
 

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[Genova] La sentenza di Bolzaneto

Premettendo
che sono contro il carcere e non ci manderei manco i poliziotti e
premettendo che i risarcimenti ci sono stati ed era il risultato
minimo per il quale ci si è sbattuti da 7 anni a questa parte,
la sentenza di Bolzaneto (solo 15 condanne: ridicole) non può
non indurre a cattivi presagi, anche per il processo Diaz che si
avvia alle richieste di pena da parte del pm (probabilmente giovedì
17 luglio), con un giudice che durante il dibattimento ha già
reso chiara la sua posizione, in attesa di scrivere una sentenza storica.

Su Bolzaneto si
era detto che già le richieste di pena erano apparse timide,
caute, basse. Specie se confrontati ai delitti di cui si parlava (tortura) e se confrontati alla mannaia abbattuta contro i
manifestanti a processo (oltre un secolo di pena per 24 persone, con alcuni condannati a oltre 11 anni per avere sfasciato alcune vetrine, oltre due secoli le richieste dei pm di quel processo, senza contare i milioni di euro di risarcimenti richiesti dallo stato).

La
lezione che se ne trae è fin troppo chiara: in quest’epoca in
cui viviamo, agire violentemente contro vetrine e auto (cose) è
più grave che agire violentemente contro persone.

La
lezione storica è che su Genova qualcun altro ha deciso di
scrivere la sua storia
di quei giorni: ad oggi gli unici colpevolo sono i manifestanti. A Bolzaneto c’è stato solo un abuso di potere da parte di pochi invasati, alla Diaz chissà, probabilmente si opterà per condannare i celerini e assolvere i papaveri. E Genova, per lo Stato (e che stato…), sarà chiusa: ci diranno che il g8 è stato un evento durato alcuni giorni, in cui una città è stata devastata, in cui le forze dell’ordine hanno svolto un eroico lavoro, nonostante le poche mele marce che ci sono in ogni gruppo umano sulla terra. Ancora più buio ci sarà su quanto ha significato Genova dal 2001 a oggi.

Oggi
si potrebbe concludere il primo grado del processo per le violenze a
Bolzaneto
, durante il g8 nel 2001
. Un processo lungo, colmo di parti
civile e racconti tragici. Un quadro di insieme che ha mostrato il
clima di impunità
all’interno del quale si sono mossi i
poliziotti, la polizia penitenziaria i carabinieri
e il personale medico, durante quelle
giornate. Il reato di tortura in Italia non esiste: in campagna
elettorale questo fatto ha suscitato grande clamore. Durante il processo però, nessuno si era accorto di niente. Un piccolo comune alle pendici dei Giovi,
stretto tra la campagna che inizia a Pontedecimo e la città
che inizia a Sampierdarena (lo so perché a Bolzaneto ci sono
nato). Una caserma che doveva fungere da carcere temporaneo e che si
è trasformato in un incubo per tanti ragazze e ragazzi.

Oggi dovrebbe arrivare la sentenza, dopo la richiesta di pene da parte dei pm.

Posted in Pizi Wenxue.


[Shanghai] Consigli per l’estate

E
a te, che cercavi il motivo
di un inganno inespresso dal volto,

lei propose l’inquieto ricordo
fra i resti d’un sogno
raccolto.

Mentre
al Sofa Bar, grazie ad Alice e al suo invio di cd :-), mi mettono De
Andrè
quando varco la soglia, commuovendomi…(a Il Pescatore, le ragazze del bar canticchiano il lalalalalala ecc.: prossimo passo: traduzione dei testi di Faber.)

Ecco alcuni
consigli per l’estate:

Yu
Hua, Brothers, Feltrinelli.

Di
Yu Hua, nato ad Hangzhou nel 1960, avevo già scritto e devo
dire che non finisce mai di stupirmi. Il mio scrittore preferito in
assoluto è Saramago (soprattutto quello di Memoriale
del Convento
): Yu Hua in Brothers me lo ha ricordato, grazie alla
narrazione popolare, a molte voci, in in continuo cambiare visione e
narratore, con frasi popolari e uso di parole ricercate e spesso
dialettali. La storia di due fratelli, in una cittadina cinese: tra
spiate al cesso e la consueta tragedia della rivoluzione culturale, a
scuotere rapporti umani e piccoli sogni.

Qiu
Xiaolong, Ratti rossi, Marsilio.

Anche
di Qiu Xiaolong, nato a Shanghai nel 1953, avevo già parlato.
La sua quadrilogia è giunta all’ennesimo atto. L’ispettore
Chen si muove tra Hu e Usa, alla ricerca di ratti rossi corrotti, tra
saloni, club e giri di denaro. Un viatico niente male per chi vorrà
venire a Shanghai, tra consigli culinari e una trama che rispetto al
solito appare più vivace. Per di più il protagonista,
l’ispettore Chen è anche un letterato, poeta, nonché
traduttore del mio poeta preferito, Eliot. Mai come in questo libro
proprio Eliot e il suo Prufrock colorano astrattamente la trama e i
movimenti del protagonista.

Anchee
Min, L’imperatrice Orchidea, Corbaccio.

Anche
la Min è di Shanghai. Nel suo primo libro che lessi, Azalea
Rossa
, ho trovato tre storie di donne, unite da un filo conduttore
leggero, sottile e tragico.

La protagonista di quel libro, una ragazza
guardia rossa che, dopo una passione omosessuale durante la
rivoluzione culturale, troverà nella carriera d’attrice
l’occasione di misurarsi con due donne decisamente famose nella
storia cinese: Jiang Qing, terza moglie di Mao e Cixi, l’Imperatrice
Regnante. Due destini, questi ultimi, accomunati dall’ira dei
cinesi nei confronti di due donne finite male e maledette per
l’eternità.

Tanto che nei libri di testo cinesi, anche i più recenti, Cixi sarà definita in questo modo: fu una mente ineguagliabile nell’ordire intrighi infernali. Non è un caso quindi, che la scrittrice shanghaiese, espatriata negli Usa, abbia usata la figura di Cixi come centro del suo libro, l’Imperatrice
Orchidea.
Cixi, concubina dell’imperatore Xian Feng, prima a dargli un
erede e imperatrice dopo la morte del marito. Un libro sui costumi antichi, le tradizioni e gli intrighi tipici del potere cinese. Da leggere se si sta in
città ad agosto alla ricerca degli intrighi della città
proibita.

Per
chi avesse mire più sofisticate, consiglio tre libretti niente
male: Segreto Tibet di Fosco Maraini, Corbaccio: per questo
libro le parole non sono abbastanza, per esprimerne il calore,
l’interesse e la grande opera di Maraini; La Cina del Novecento di
Samarani (Einaudi) e Storia del Pensiero Cinese di Anne Cheng
(Einaudi). Enjoy.

E
poi sorpreso dai vostri "Come sta"
meravigliato da
luoghi meno comuni e più feroci,
tipo "Come ti senti
amico, amico fragile,
se vuoi potrò occuparmi un’ora al
mese di te"
"Lo sa che io ho perduto due figli"

"Signora lei è una donna piuttosto distratta."

E ancora ucciso dalla vostra cortesia
nell’ora in cui un mio
sogno
ballerina di seconda fila,
agitava per chissà
quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo
cesareo fresco,
pensavo è bello che dove finiscono le mie
dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra.

Posted in Pizi Wenxue.