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[Cronache di un allenatore di calcio a Pechino] Generale Inverno: VAFFANCULO!

Tu
stai in gamba che vado
come dicono di là dal mare
abbi
cura
abbi cura di te.

E finalmente
possiamo dire di salutare l’inverno di Pechino, che dura sei mesi con
temperature sotto lo zero allucinanti e salutare la primavera.
Insomma, quanto meno i 15 gradi di oggi, piacevoli sotto un bel sole,
finché dura. E ci sarebbero da dire un sacco di cose e legare
centinaia di catenelle, trovate e perse, perché rotolate –
inesorabilmente – in tombini pieni di lercia rumenta. O di quelle
inaspettate, che te le trovi legate al collo e neanche sapevi di
averlo, il collo. Quelle che rotolano via in un inesauribile canto di
felicità. Che poi uno si chiede, quando è stato? Le
lettere non scritte, quelle ricevute d’incanto. Trucchi, magie e le
conseute bestemmie, che ci rendono umani. Troppo umani. Abbi cura di
te, abbi cura. Di te.
Perché
là fuori, c’è un treno di ferro, con il cuore di calce
e il soffio acido di veleno, una valanga d’amore contro un bicchiere
d’aceto…
🙂

Bando
alle ciance, questa è una cronaca di un allenatore di calcio a
Pechino. Domenica iniziamo il campionato dei pischelli, grande
attese, esordi difficili, ma l’importante è partecipare (…)

Poiché
salutiamo l’inverno, carrellata delle compagnie invernali, più
dvd che libri che qui te li tirano dietro e dato il freddo permettono
un sistema di autoriscaldamento perfetto (quelli che più mi
ricordo ovviamente, per dire 2012 non lo metto così come un
libretto della minimum fax sul calcio datomi da un mio grande amico,
ma pieno di cazzate di bilanisti o aspiranti tali. C. grazie per
tutto il resto, naturalmente 🙂

Capitalism
a love story
,
di Michael Moore. Mi è piaciuto assai.

Damned
United
:
la storia di Brian Clough, un Mourinho ante litteram, imperdibile

Transsiberian,
un thriller simile a quanto mi è successo questa estate sui
treni georgiani, con in più trafficanti di droga e omicidi

La
doppia ora
:
sorrentiniano, mi ha proprio colpito

Blindness,
tratto dal romanzo di Saramago, imperdibile

Sherlock
Holmes
,
gotico

Los
segretos de sus ojos
,
un bel noir spagnolo

Libri:

Su
tutti:
Il
Sangue è randagio
di
Ellroy, 820 pagine di goduria totale, eh è il mio autore
preferito in assoluto.
Baaaad
brother
.

La
pattuglia dell’alba
,
di Don Winslow. Non siamo ai livelli de Il potere del cane, ma è
sempre un piacere.

Terrorismo
s.p.a.

Della Napoleoni, più che mai attuale,
Confessioni
di un sicario dell’economia

e il suo seguito,
La
storia segreta dell’Impero Americano

di John Perkins (entrambi), poi
Storia
dell’Iran
,
della Bruno Mondadori, ottima introduzione a future mete,
Storia
della Corea del Nord
,
della Bompiani, altro ottimo suggerimento,
La
Repubblica Impopolare Cinese
,
di Cavalera, ex corrispondente del Corsera a Pechino: una gradita
sorpresa, varie cosette cinesi interessanti, ma cui voglio dedicare
un post ad hoc.

E
domenica:
derby.
Io non ho cugini, ma li saluto ugualmente sperando in una bella torta
pasqualina che ponga fine all’ultimamente fiacco campionato dei
ragazzi.

Sono
i mesi del vento
l’uomo che sogna
l’asino che vola
e il
tempo tutto che va.

Posted in Pizi Wenxue.


Novecento e Uno (secondo capitolo)

Qui la prima parte

2.

E’
notte fonda, ma le luci della Questura sono ancora tutte accese. Non
è come il solito. Di solito vedi qualche luce nei corridoi, ma
negli uffici sono quasi tutte spente, salvo chi è di turno,
nella speranza che non succeda qualcosa proprio quella notte e lo
costringa a muoversi. La Questura di Milano è un piccolo
labirinto, per arrivare agli uffici della Digos devi passare
dall’ingresso principale e poi avventurarti in una delle possibili
sezioni del dedalo: alcune volte ci puoi arrivare passando subito a
sinistra, per rampe di scale sottili e traballanti, dai muri con la
vernice biancastra scrostata, costantemente pervaso dalla sensazione
che ti stiano portando in una celletta per farti un bel santantonio.
Altre volte vieni scortato lungo un corridoio sotterraneo che
attraversa tutta la Questura, fino ad arrivare agli ascensori, di
fianco alle onnipresenti macchinette del caffè.

 

In
qualsiasi modo tu fossi arrivato negli uffici della Digos in questa
notte qualsiasi, li avresti trovati con le luci tutte accese. Avresti
dovuto vagabondare un altro po’ per tutto il palazzo dalle geometrie
impossibili, per arrivare a una stanza, dalla porta più curata
e dal corridoio più pulito: se avessi potuto accostare
l’orecchio alla porta avresti sentito poco, non avresti sentito
gridare, ma avresti sentito diverse voci parlare lentamente, come a
lasciare sospese le frasi.

Tornando
nei corridoi della Digos avresti trovato i dirigenti della I sezione
attaccato a due telefoni cellulari, in comunicazione con qualcuno
dall’altro lato di Milano:


“Che stai dicendo, Anto’, vediamo di capirci, spiegami che è
successo… Ok, eh vabbé… mo’ due … come? non è
possibile… e dove stanno gli altri? Come quali altri? Dove cazzo li
ha mandati la prefettura? Vabbé, arriva al punto… Non è
possibile, non mi dire cazzate Anto’. Ok, informo il questore.”

La
sequela di bestemmie che segue questa telefonata non rende onore agli
anni di servizio del Primo Dirigente, motivo per il quale li
ometteremo. Ci rende più orgogliosi narrare di come nel
correre verso la stanza con la porta più curata e il corridoio
pulito di poco fa, il nostro funzionario abbia stabilito un
interessante record sui cento metri piani.

Quando
esce dalla stanza, il Primo Dirigente non ha una bella cera, come se
avesse ingoiato qualcosa di andato a male, scende le scale piano,
fino a tornare nel suo ufficio. Chiude la porta al resto delle luci
accese e si accende una sigaretta. Prende i telefoni cellulari e
coordina il rientro dei reparti da San Siro.

Ci
sono notti lunghe e notti un po’ più brevi, e quando si
ricordano momenti densi i secondi tendono ad essere più
elastici di quello che si immagina. E’ una notte lunga nella questura
di Milano, quella dopo il derby Inter-Milan, un morto per strada, i
giornalisti che tempestano di telefonate, e mezza città ancora
in subbuglio.

E’
una notte lunga scandita da arrivi importanti: prima il prefetto, poi
un appuntato che porta un messaggio dalla Caserma Garibaldi, in via
Moscova; uomini vestiti elegantemente entrano e escono dalla Questura
come se fosse casa loro, che verrebbe da chiedersi se non sia il
momento perfetto per un attentato, tutti così intenti come
sono a evitare strafalcioni e dichiarazioni fuori luogo. Telefonate
dai ministri, dagli esponenti politici, tutti che si sbracciano.

Il
Questore vorrebbe solo andare a letto a dormire, come tutti gli altri
esseri umani, ma la notte non accenna a finire, continua nel giorno e
poi in un’altra notte, in telefonate frenetiche e riunioni più
private che pubbliche, in comunicazioni alla famiglia, e nella
lettura delle relazioni di servizio, nelle telefonate ai funzionari
che erano lì, tutti tranne uno, nelle ipotesi e nelle
contro-ipotesi.

Il
Vice Questore Aggiunto del terzo Reparto Mobile di Milano Antonio
Peccarisi è stato ucciso questa notte durante gli scontri che
hanno avuto come protagonisti i gruppi ultras delle squadre
Internazionale F.C. e A.C.Milan. Le prime notizie che abbiamo
raccolto indicano una bomba carta lanciata contro l’auto del militare
come la possibile causa del decesso.

Tutta
la Questura di Milano si unisce nel cordoglio alla moglie del Vice
Questore e alle sue due figlie.”

Da
queste righe in poi, è l’Inferno.

Posted in Pizi Wenxue.


Novecento e Uno (primo capitolo)

non
riesco ad avere pazienza

le
mie mani sudano al vento

quando
perdo

tempo

quando
perdo

tempo

quando
perdo

tempo

 

 

Non
ho tempo di scrivere, allora metto qualcosa di già scritto.
Con il mio socio,
Novecento e Uno,
di H.D Blackswift
. U
n racconto ispirato agli eventi della
notte tra il 2 e il 3 febbraio 2007 a Catania: negli scontri durante
la partita Catania-Palermo, conclusa regolarmente, perde la vita
l’Ispettore Capo Filippo Raciti.

Qualcuno ci riterrà
troppo cinici, qualcuno troppo complottisti, qualcuno privi di
scrupoli, e qualcuno invece sapidi. Ognuno pensi un po’ quello che
crede, ma noi pensiamo che guardare la storia e l’attualità
da un solo punto di vista sia un errore grave, e che i racconti, le
storie possano aiutare il nostro cervello e il nostro cuore a
osservare ciò che ci circonda con un punto di vista meno
scontato e più critico.

 

1.

[play]

Il
fuoristrada azzurro con la striscia bianca gira in tondo nel
parcheggio, inseguendo personaggi vestiti di scuro e incappucciati
che si portano rapidamente sul bordo di questo ring improvvisato tra
macchina e uomini, inseguito da un ragazzo con un giubbotto taroccato
al cento per cento con una scritta in paillettes D & G gigantesca
sulla schiena e un cappuccio di lana bianco che gli copre parte del
volto.

Tutta
la scena è pervasa di una luce arancione scuro, come la luce
dei lampioni di tutte le città del mondo, una luce che non
illumina, diffonde. Qui e là sprazzi di altri colori che si
stagliano nel nero generale che sembra avvolgere tutto quanto non è
focalizzato dalla telecamera: un bagliore rosso ai margini e bianco
al centro, una spruzzata di giallo più in fondo. A prima vista
sembra l’inferno.

[stop]

[play]

Piazzale
Axum non è mai stato così. Sembra una discarica a cielo
aperto: cartacce, residui, cartucce di lacrimogeni, cestini e
macchine incendiate, i baracchini scomparsi, le bancarelle
inesistenti, il capolinea dei tram completamente deserto. Tutto
intorno, nella luce soffusa che rischiara pochissimo la notte, le
ombre ai margini del parcheggio non si fermano mai: lanciano sassi,
monete, pezzi di cartelli stradali, pezzi di ringhiera della corsia
preferenziale. Ci sono tre camionette della polizia e due jeep, mi
pare si chiamino magnum, che girano in tondo per tenere lontano
questi indemoniati, che nonostante il rischio di farsi arrotare si
scagliano contro i vetri rinforzati delle vetture con spranghe, aste
di plastica, caschi, e se gli riesce qualche pezzo di marciapiede che
dopo un’ora sono riusciti a staccare e portarsi appresso.

[movimento
di camera]

La
vietta tra il lato di ingresso delle tribune arancio dello Stadio
Meazza San Siro, come dice lo speaker della “Silf, finanziamo sogni
e bisogni”, un ritornello imparato a memoria da tutti quelli che
sono andati a vedere una partita a Milano più di una volta, è
deserta, anche se non è bloccata da nessuno: evidentemente
anche il più stupido dei teppisti e il meno furbo dei
poliziotti sa che infilarsi in quella strettoia equivale all’arresto
da un lato o all’assedio sotto una gragnuola di sassate dall’altro.

[movimento
di camera]

Bastano
pochi secondi: un fuoristrada del Reparto Mobile come una biglia su
una pista con curve paraboliche gira due volte su sé stessa
nel parcheggio sul lato Sud dello stadio e si infila nella vietta
accelerando a tutto gas, inseguita da una folla di gente che riesco a
immaginare con gli occhi fuori dalle orbite per la bamba assunta in
dosi massiccie e per l’adrenalina che ti scorre nelle vene, mentre ti
senti una specie di unno alla conquista di non si sa bene quale
impero.

[movimento
di camera]

Un’esplosione
che stordisce il cameraman, la telecamera che balla per un secondo
per poi tornare sulla vietta. L’auto ha sbandato colpita su un lato
dalla bomba carta che lascia come unica traccia di sé
l’impronta nera sulla portiera destra della jeep e brandelli di carta
e polvere da sparo per terra sull’asfalto.

L’auto
continua zigzagando fino a lasciare indietro di qualche decina di
metri gli inseguitori e a sbucare nel piazzale di fronte allo stadio.
Lo zoom della telecamera non è abbastanza potente.

[stop]

[start]

Il
piazzale, presumibilmente prima di tutto questo, come si presenta. Un
filmato da terra, fatto a bassa qualità. Non ci sono altre
immagini. Qualcuno con il telefonino l’ha piazzato su youtube, e da
lì si è sparso, impossibile risalire al primo autore se
non con uno sforzo di indagine che al momento non interessa a nessuno
fare.

L’aria
è satura di fumo, le persone si portano i fazzoletti alla
bocca, o si premono sul viso il passamontagna. Le forze dell’ordine
sono schierate dal lato più lontano del piazzale, verso la
periferia, i teppisti occupano la curva che porta ai parchetti, e poi
verso il vialone lungo il quale fuggire, una mossa suicida, se non si
fosse scoperto poi che tutte le forze dell’ordine erano altrove, dove
non si è ancora capito bene. Figure scure e pixelate hanno in
mano bastoni e segnali stradali, forse pietre, ma non si capisce
bene. Il gesto del lancio è inequivocabile, come anche i gesti
di provocazione nei confronti degli agenti. Gli agenti stanno
lanciando quintali di lacrimogeni, non avendo a disposizione molto
altro. Se ne vede solo l’effetto subito dopo un movimento molto
confuso in lontananza nello schieramento.

Lungo
il vialone, mentre qualche decina di criminali lanciano di tutto
contro le forze dell’ordine, scorre la fiumana dei tifosi normali,
incuranti di quello che sta avvenendo, un episodio come un altro del
piccolo telefilm nel quale rivedono la propria vita.

[stop]

[zoom]

[play]

Nella
fiumana si trova di tutto: padri e figli, energumeni vestiti
elegantemente e non, ragazze, vecchietti. Tutti che si allontanano
borbottando per l’interruzione della partita e piangendo per i
lacrimogeni che non risparmiano nessuno.

[stop]

[sposta
il fuoco della camera]

[zoom]

[play]

Un
ragazzino, avrà quindici anni, con la maglia dell’inter a viso
scoperto, una spranga più alta di lui in una mano, parla con
un gruppetto di tre o quattro carabinieri in tenuta antisommossa,
come un drappello abbandonato nel deserto di divise altrimenti blu o
casual, come i vestiti dei teppisti griffati e comprati di fronte a
un megastore in corso buenos aires per vantarsi con gli amici in
periferia. Uno dei carabinieri accenna una pacca sulla spalla, poi si
guarda intorno, il suo sguardo celato dal casco, ma il movimento
della testa è inequivocabile. Il ragazzino si allontana verso
gli scontri, i carabinieri rimangono fermi lì, come invisibili
alla torba di delinquenti che stanno facendo la guerra alla polizia.

[stop]

[cambio
file]

[cerco
il punto]

[play]

Il
derby, mortacci vostri, e stavamo pure vincendo, non vi perdonerò
mai, se non altro per questo. Stavamo per vendicarci del sei a zero
con cui ci hanno umiliato qualche anno fa, e che cazzo vi viene in
mente di fare? Il macello.

Rivedo
la faccia di Maldini e Zanetti che si parlano, capitano a capitano,
le lacrime agli occhi, Farina che tossisce intossicato dai
lacrimogeni. “Non si può continuare, pupi”, dice Cambiasso
al capitano connazionale argentino, il labbiale che viaggia parallelo
alla voce colta di sbieco dai microfoni della telecamera. I giocatori
che scappano nello spogliatoio, di corsa, la telecamera che si sposta
sugli spalti. Curva Sud, tre grossi striscioni che dominano sugli
altri: Brigate Rossonere, Commandos, Warriors, recente acquisto
posizionatosi al posto della disciolta Fossa dei Leoni.

[stop]

[zoom]

[play]

Sugli
spalti c’è agitazione, ma non rissa. Non ci sono forze
dell’ordine, non ci sono giacchette fosforescenti degli steward che
in curva non si fanno vedere. Si intravede qualche vecchietto che dal
secondo anello rosso sputa contro la barriera in vetro, in risposta a
qualche forsennato che picchia con il palmo contro i pannelli
gridando qualcosa. La gente in curva si agita, e si lancia verso le
uscite rapidamente.

[stop]

[zoom
out]

[play]

Il
fumo non viene dalla curva. Il fumo viene da fuori, lo si vede
penetrare attraverso gli ingressi che dalle rampe e dalle scale
portano al secondo anello di San Siro. Da fuori dove non si sa, ma
sicuramente non ci sono forze dell’ordine sugli spalti, e a parte i
cori disgustosi e i fumogeni, non c’è nulla che faccia
presagire la tragedia. Per un attimo sono rimasto convinto che ci
fossero dei lacrimogeni nella curva, ma il fumo dei fumogeni è
diverso.

[stop]

[zoom]

[play]

non
sono lacrimogeni, infatti nessuno si porta il fazzoletto alla bocca,
fino a che non si vede quel fumo diverso entrare dalle scale, come il
boccaporto verso un altro pianeta.

[stop]

Cambio
e ricambio file, giro in Internet come un forsennato per trovare
altre immagini, ma sono sempre le stesse: la ripresa di qualcuno
dalle rampe sul lato delle tribune arancio, più verso la curva
sud che non verso la nord, con una buona visuale su piazzale Axum e
sulla vietta sottostante, ma praticamente nulla verso il piazzale di
San Siro vero e proprio. Il filmato amatoriale. Alcune altre immagini
di piazzale Axum, con l’assalto alle jeep e alle camionette, un po’
di roba incendiata, poco altro.

Se
chi sta svolgendo le indagini sulla morte del Vice Questore Aggiunto
Antonio Peccarisi durante gli scontri seguiti al derby Inter-Milan ha
altre immagini, se le tiene strette. Anche se non si capisce come non
ne sia trapelata nessuna, neanche grazie ai ganci della redazione con
la polizia giudiziaria, neanche con la pressione mostruosa che la
redazione di quegli altri in via Solferino starà facendo su
prefetto, questore, sindaco, presidente del tribunale, ministeri,
governo, fino ad arrivare al Papa. E soprattutto non si capisce
perché ci siano solo 20 persone arrestate quando solo nelle
immagini che ho visto finora ci saranno almeno almeno 100 persone di
cui potrei riconoscere le fattezze anche io, che non sono certo uno
specialista.

Mi
presento, mi chiamo Rodolfo Gualcioni, detto Gianni dagli amici,
faccio il giornalista di cronaca giudiziaria per La Repubblica, sede
di Milano, e non riesco a smettere di guardare queste immagini.

Qui la seconda parte.

Posted in Pizi Wenxue.


[Cronache di un allenatore di calcio a Pechino] Autisti(ci)’s Team

Posted in Pizi Wenxue.


Nel mio quartiere…

E’
da tempo che vorrei scrivere dei miei vicini di casa. Allora cercando
di ricordare alcune cose, sono andato a ritroso. E sono arrivato al
quartiere. Che poi è come dire quasi tutta Genova. Quindi mi
limiterò alla zona intorno al mio compound. Lo faccio con lo
scopo, tra gli altri, di strappare due risate al mio socio, troppo
concentrato su minchiate…:-)

Allora
intanto, il mio palazzo. Sembra essere lì per caso, come se
qualcuno si fosse dimenticato di tirarlo giù insieme agli
altri. E’ lì alto e lungo, in mezzo a qualche edificio basso,
una spianata su cui i cinesi fanno i loro esercizietti (tipo
camminare all’indietro, battere le mani, stretching e esercizi vari).
Non tutti i cinesi. Ad esempio il mio vicino di casa si sveglia alle
5 del mattino e fa questi esercizi nel corridoio del pianerottolo.
Una roba lunga e stretta.

Secondo
me fa anche alcuni esercizi proprio davanti alla mia porta, perché
gli piace moltissimo il cazzillo che ho attaccato per
l’anno della tigre: un carattere che indica fortuna prosperità
soldi tanto cibo e allegria, in mezzo a tutti gli animaletti
dell’oroscopo. Non oso immaginare cosa penserebbe se vedesse il
pesciazzo verde (altro simbolo di buon auspicio) che ho appeso in
camera. (Cosa non si fa per la Champions League!)

Ad
ogni modo, quello che il mio vicino di casa compie davanti alla mia
porta, deve essere anche il suo esercizio più faticoso, perché
tornando indietro verso la sua porta, scracchia assai.

Nei
due palazzi accanto al mio c’è il mondo: a sinistra
nell’ordine: un negozio che vende scarpe, ma anche bevande gassate e
credo aggiusti anche i vestiti. Poi un chiosco minuscolo con una
coppia che vende sandwich (confino con la zona più straniera
della città), un negozietto che fa ravioli e pasta del sud, un
posto piuttosto urfido (diciamo pure che è zozzo da far paura)
ma speciale: 12 ravioli al vapore, un piatto di spaghetti saltati con
carne: 12 kuai (1 euro e 20 centsssss). Eh. Buonissimi per altro.

Poi
c’è uno yellow store, ovvero piccola vetrina, interni da
parrucchieri e ragazze sui divani. Il tutto si consuma in camerette
unte nel retro. Poi c’è un parrucchiere vero (c’è
andata perfino mia madre…), poi un negozio che vende di tutto. In
pratica al mattino passo davanti a tutti e li saluto. Col tipo dei
sandwich facciamo anche due discorsi tipo: minchia che freddo, eh si,
non è che oggi nevica, no oggi no, ma domani, alle 17 circa
nevica, ma dieci minuti.

A
destra: c’è un ristorante tibetano. All’entrata di sera due
tizi si vestono da tibetani e cantano. Tutta la sera. Poi c’è
la banca di Pechino, dove pago il telefono e dove ci sono sempre
poliziotti come se fosse scoppiata la terza guerra mondiale,
un’edicola e sul lato un mitico supermarket cinao. Con una cassiera
veramente simpatica con cui facciamo un gioco: lei mi lancia il resto
di monete e io le raccolgo per terra. Prima o poi la uccido.

La
zona dove abito è a ridosso di Sanlitun, zona di ambasciate e
locali notturni, negozi di marche, una schifezza immane. Però
spesso conforta: quando prende lo sbrano occidentale per cui
uccideresti per una fetta di prosciutto è una svolta, perché
ci sono i supermercati con i prodotti occidentali.

La
spesa invece si fa in un piccolo mercato rionale, un po’ più
in là. E’ anche un’ottima scuola di cinese, quando chiedi il
nome di alcuni frutti o verdure sconosciute, o di cui si ignora il
nome in cinese. Per dire, ho imparato a fare il figo con i broccoli:
西兰花[xīlánhuā](ma
me l’ha insegnato un autista dei pulmini della scuola calcio).

Il
mio palazzo ha un’entrata ufficiale. Io non ci sono mai passato.
Passo dal retro. L’ex inquilina mi disse che la portiera è una
che non si fa i fatti suoi. Mai vista. Io sono al terzo piano. Le
scale fanno schifo ma si possono fare alcuni giochi. Qui in Cina le
luci si accendono con un rumore, di solito si batte il piede, cosa
che capita anche quando si torna in Italia per l’abitudine, facendo
la figura dei rincoglioniti, ma anche a rutti, canti contro la samp,
eccetera. Il corridoio dove c’è la mia porta sembra quello di
Shining. E i vicini sono peggio dei nanerottoli del film.

Posted in Pizi Wenxue.


Dalla Cina a Genova, passando per la Val di Susa

Che
uno è tutto preso da Obama e Dalai e compagnia cantante e
invece poi chi ritorna a farsi vedere? Un reduce, dalla parte
sbagliata, di Genova…mini ritratto di Mortola, a capo della polizia
che ha caricato in Val di Susa, scritto per il Manfo di oggi…

Altro
che «a volte ritornano»: ci sono alcuni che sono dei veri
e propri fenomeni di presenzialismo, almeno quando si tratta di
cariche contro manifestanti o vicende in cui il comportamento delle
forze dell’ordine non è chiaro, o finisce poi per essere
indagato della magistratura.

Spartaco
Mortola, dirigente di polizia che mercoledì sera era a capo
della carica contro i No Tav in val di Susa, è un personaggio
«noto» in certi ambienti. E’ infatti uno degli indiscussi
protagonisti degli eventi del g8 di Genova nel 2001 (allora era capo
della Digos del capoluogo ligure) nonché dei risvolti
processuali che ne derivarono.

Mortola
si presenta alle cronache giudiziari nazionali nel novembre del 2004,
quando venne condannato il primo poliziotto del g8, responsabile di
avere menato un minorenne, il cui volto tumefatto fece il giro del
mondo. Mortola, anche lui indagato, venne però assolto e ai
giornalisti presenti in aula si presentò, da par suo: «uno
a zero», esclamò, dicendosi soddisfatto e fiducioso
della giustizia (quel poliziotto condannato, venne poi assolto in
appello).

Quello
non fu l’unico procedimento in cui Spartaco Mortola si trovò
invischiato. Il dirigente della polizia era infatti uno tra i 28
poliziotti (tra cui i vertici dell’allora polizia italiana Francesco
Gratteri, Gilberto Calderozzi, Gianni Luperi) rinviati a giudizio per
il processo per l’irruzione alla scuola Diaz. Mortola, come capo
della Digos di Genova, aveva scortato i reparti speciali alla scuola
per l’azione. Poi, insieme al resto dei papaveri era stato a
bighellonare e farfugliare fuori dalla scuola, mentre il sacchetto
con le due molotov – false secondo i pm, prova suprema del covo dei
black bloc per la polizia – passava di mano in mano.

Proprio
quelle molotov finirono per mettere Spartaco Mortola, assolto poi in
primo grado per l’irruzione alla Diaz, in un nuovo procedimento. Da
indagato. Nel frattempo come tanti altri sotto processo per i fatti
del G8 per lui erano in arrivo cambiamenti (ovvero le promozioni):
prima questore ad Alessandria. Poi, appena esaurito il periodo di
bassa esposizione mediatica, eccolo questore vicario a Torino, una
piazza mica da poco. A riportarlo al centro dell’attenzione però
il mistero più comico e grottesco del processo Diaz: la
scomparsa delle due molotov dagli archivi dei reperti giudiziari del
tribunale di Genova. Il responsabile dell’inchiesta amministrativa,
tale Maddalena, concluse infatti la sua personale indagine ritenendo
che le molotov fossero andate distrutte per un caso fortuito, una
sbadataggine. I pm però ci vollero vedere chiaro. Lo scrisse
anche Il Secolo XIX, il giornale di Genova: «Maddalena
tentenna, e alla domanda su chi era incaricato di consegnare le
bottiglie agli artificieri fa il nome di Spartaco Mortola, ai tempi
del G8 capo della Digos di Genova».

E
così il telefono di Mortola finisce sotto osservazione e le
sorprese non tardano ad arrivare. Sulle molotov non esce più
niente, altro mistero genovese, ma l’utenza telefonica dell’ex capo
della Digos di Genova, regala un nuovo procedimento. L’ex questore di
Genova Colucci chiama infatti Mortola, riferendo di telefonate con Di
Gennaro per aggiustare la sua testimonianza al processo Diaz: «il
capo m’ha dato le sue dichiarazioni. Mi ha fatto leggere, poi dice…
tu devi, bisogna che tu un po’ aggiusti il tiro sulla stampa».
Ne venne fuori un nuovo processo con Mortola e Di Gennaro indagati. I
magistrati avevano chiesto due anni di reclusione per De Gennaro e un
anno e quattro mesi per Mortola, ma entrambi il 7 ottobre dell’anno
scorso, sono stati assolti.

Posted in Pizi Wenxue.


[Cronache di un allenatore di calcio a Pechino] 哥们儿

E
proteggimi dai lacrimogeni e dalle canzoni inutili

Metti
una sera con gli autisti dei minibus con cui portiamo i bambini agli
allenamenti e a casa…quattro pazzi che sciancano con chiunque osi
mettere una freccia, proprio quando LORO devono passare. Per non
parlare di quelle pazze che si apprestano ad attraversare la strada.

Poi
un sorriso sornione.

Hot
pot e in sette, quattro autisti, io, l’altro allenatore e una
temeraria catalana a sfidare la gara di rutti e bicchieri pieni e
svuotati e ribaltati per misurarsi il pene in segno di reciproca
stima: circa 20 birre, 5 bottiglie di vino, una di liquore (la prima
ad essere consumata, tanto per dare l’idea). Orario: 18. Fine: 22.
Condizioni: terribili. E all’arrivo a casa, due articoli da scrivere.
La Cina che ci piace, la Cina che ci riconcilia con la Cina. La Cina
da bere. La Cina.

Insulti
a Obama e un numero spropositato di brindisi a Mao. Scoperta della
serata: Mao era a Yalta! (cit: “Mao è come Stalin, Roosvelt
e Churchill”) e foto di gruppo stile squadra calcistica.

Valzer
smisurato per la stanza in movimento, carezze e sapori che non
c’erano e che quando tornano, sono micidiali nel ricordare il cauto
movimento che fa il cuore in assenza di ossigeno. Passi sparsi. Ed
io, ci metto l’esperienza, come su un albero di Natale.

Posted in Pizi Wenxue.


Out of myself

Avrei
bisogno di storie, risposte fulminanti e sguardi accesi. Invece mi
ritrovo a camminare come un disertore per le strade di Pechino. C’è
anche chi – sorseggiando un animale o un sospiro tra le mani –
non parla e non guarda, neanche saluta se proprio vogliamo andare al
fondo di ogni cosa, riponendo nell’anfratto più infimo dei
propri sentimenti, anche una traccia seppur minima di nostalgia. Sono
i tempi che sono e sinceramente ne ho pieni i coglioni e mi perdonino
le amiche.

Mi
sono rigirato tra le mani per delle ore centinaia di dvd e di cd,
senza saperne scegliere uno. Mi sembrava di essere circondato da
un’umanità, con il nome schietto e preciso di Joncour, quello
che la vita la guarda, come si guarda assorti, una giornata di
pioggia. Lieve e silenziosa. E poi come ti muovi la merda danzante
del mondo si coagula ai tuoi piedi. Se non torni, morirò. Sai che non è vero, ma dirlo mi libera da tormenti e alla fine il mio piloro ne giova. A scanso di equivoci: stai tornando e io non muoio, anzi. Sento quella sensazione da marte in ariete o quel che è: forza, equilibrio e coraggiosa inadeguatezza.

Ho
voglia di storie come quelle di chi partiva e tornava e quando gli
dicevano: com’è la fine del mondo, rispondeva: lontana. Ho
pensato molto a questo posto, ho sempre apprezzato il lieve e
inesauribile rumore del cervello che intuisce qualcosa, salvo
sprofondare in un acquitrino di incomprensione. Ricevere una lettera
e delle foto è un piacere nuovo e mai abbastanza consolidato.
Si piazza lì tra gola e stomaco, non va ne su né giù:
come la sbrisolona.

E
prendiamola tra le braccia, questa vita danzante, lo cantavo, mentre
alla ricerca di segnali comuni, mi rifugiavo in un cesso pubblico
assaporando l’odore umano della socialità, guardando un tipo
cagare accanto a me, più interessato a percepire le mie
dimensioni di saggezza occidentale, che non al giornale e al
cellulare con cui si stava destreggiando nell’arte equilibristica di
sfoderare le viscere a piacere. Poi tornando indietro, giusto per dire: sono tornato, beviamo una cosa sentiamo una canzone e poi vado, guarda un po’, mi hanno chiesto: hey you! There’s a ticket! E allora: devi veramente andare affanculo, ma proprio ti ci devi strozzare con quel tuo cazzo di ticket, spero sia lungo abbastanza per farti un bel nodo e sprofondare nel buco più buio del mondo, perché non stai capendo. Non c’è spazio per la pietà, si tratta di tirare su alcune pietre, alcuni legni. Come fare una boccia ormai lo trovi anche su google, del resto e sono sicuro che c’è anche in cinese.

Poi
c’è anche la malinconia del futuro e la riflessione su quanto
tutto sia, o meno, abbastanza. Chiacchiere, parole, ubriachezze. La
vita spesa davanti al portone in via della pergola, il piacere dei discorsi e quella sensazione inappuntabile: abbiamo ragione. O Pablo scampato all’omino in blu che giunto
sulla porta si blocca. Dove stai andando?O il fattone che urla: fascisti! E i bongos bruciati ai margini della strada, il cui fumo ci riempiva gli occhi di mascara improvvisato e alla fine: ne è valsa la pena, siamo quelle cose lì. Che poi tutto finisce e uno si mette a rapinare le droherie di una volta, quelle che lasciavano la porta aperta davanti alla primavera. Per dire della terapia collettiva: ci saremmo salvati, almeno.

Avrei
bisogno di una storia che mi mettesse in fila fegato e polmoni,
guerra lampo e fantasia, in un ordine ascendente verso che so, i
dischi di Bowie, mescolando domande a inusuali risposte, senza
trovarmi alla ricerca di una faccia da fare, quando la questione è:
ti piacerebbe vedere un esercito nudo a passeggiare per le vie di Pechino. Ti piacerebbe?
E poi: ma che ti frega dell’Italia! E poi: ma cos’è l’Italia? E poi: forse hai bisogno di affetto, perché non me lo dici? Ti affitto un abbraccio, ti subappalto un bacio, ti posso addirittura comprare una scopata on line. Per capire quanto si è generosi di questi tempi.

E
in tutto questo bell’andare, tra un bicchiere di neve e un caffè
come si deve
, ho una sensazione che trova un rifugio certo,
caldo, scuro e impercettibile: un’irata sensazione di peggioramento,
di cui non so parlare e non so fare domande, ho un’irata sensazione
di peggioramento, di cui non so parlare e non so fare domande, ho
un’irata sensazione di peggioramento, di cui non so parlare e non so
fare domande…

 

Posted in Pizi Wenxue.


Quindici anni fa

 

29
gennaio 1995

Ciao
Spagna!

 

Posted in Pizi Wenxue.


Atomica cinese

Si
è levata dai deserti in Mongolia occidentale
una nuvola di
morte, una nuvola spettrale che va, che va, che va…
Sopra i
campi della Cina, sopra il tempio e la risaia,
oltrepassa il
Fiume Giallo, oltrepassa la muraglia e va, e va, e va…

Sopra
il bufalo che rumina, su una civiltà di secoli,
sopra le
bandiere rosse, sui ritratti dei profeti,
sui ritratti dei
signori
sopra le tombe impassibili degli antichi imperatori…

Al
quarto anno cinese, sono tornato a Pechino e dopo un minuto in
aeroporto, Il Nescional airrrpourt, già speravo in un
conflitto atomico che potesse disperdere queste terre in migliaia di
piccoli punti nell’universo. E che andassero su Pandora o dove cazzo
vogliono: mi bastava immaginare i cinesi finire in miliardi di pezzi,
loro e le loro ottuse convinzioni, per stare meglio, loro e gli ammmericani e gli italiani tutti. Estinzione, estinzione, estinzione…Tipo che nel
foglio per quella cazzo di febbre di merda, devi metterci anche il
posto occupato nell’aereo, sennò non passi. Vabbè. Sono
le regole del paese!

Poi
invece giunto a casa, ho risentito gli odori, i rumori (tipo il mio
vicino che scracchia e sembra morire ogni volta, o quelli al piano di
sopra che ogni giorno trapanano, martellano, scuoiano maiali, uccidono
serpenti, girano film d’azione) e sono andato al negozietto sotto
casa. Vedere la zia tirare fuori acqua e sigarette, senza che io le
chieda niente oppure il tipo di Zio Tonino, la bettola uighura di fiducia, che si addormenta davanti a un miliardo di tazze di the caldo bollente. Eh faceva meno 15 quel giorno. E ho pensato: ok, questa ora è casa mia. Oppure
andare in banca e pagare il telefono, al supermercato e comprare le
schifezze liofilizzate e il latte nei sacchettini con la tipa che mi
tira i soldi e si lamenta dei vecchi che ci mettono venti minuti a
tirare fuori la tesserina del cazzo. Non so come, la spietatezza di
questo paese, a volte terrorizza, a volte quasi commuove.

Ho
dovuto dimenticare in pochi attimi tutto il godere godere di
Barcellona, la stanchezza del viaggio e sono finito subito sotto un
treno, dimenticando l’atomica, due stronzi bastardi che mi
ridevano in faccia mentre in bici affrontavo la bora siberiana
contraria al mio bell’andare. Poi l’allenamento con i pischelli e il
prossimo campionato, insomma il solito delirio cinese.

Poi
è scoppiato sta bolla di google, la terza guerra mondiale, di bit, cyberwar e cazzi e mazzi. I buoni di Mountain View
hanno fatto un bel casino niente da dire. Fino a che non mi hanno
avvisato che la mia mail era stata spiata da tanti simpatici
occhietti, obbligandomi a cambiare la password (cosa che del resto
faccio sempre da queste parti). Non solo perché mi hanno
anche ranzato intere vagonate di mail, in primis quelle su un’intervista a
un dissidente, fatta tempo fa e sulla quale sto scrivendo, tra mille
difficoltà, un pezzo. Mi sono guardato allo specchio e avevo
la faccia viola, come un’unica grande vena scoppiata sulla fronte.

E
allora ho rivisto l’Atomica. O forse dipende tutto dalla crisi del
Genoa.

p.s.
Un saluto a Cezanne…in casanza. E un msg agli amici che hanno perso
il mio numero di cellulare: mi fate sapere qualcosa di lui? Grazie.

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